martedì 24 dicembre 2013

Dietro i candelabri (Soderbergh 2013)

Finalmente Steven Soderbergh!
Uno dei grandi "artigiani" di Hollywood stavolta ha alzato decisamente l'asticella, raggiungendo le vette che probabilmente non raggiungeva da Sesso, bugie e videotape (1989), realizzando quello che se forse non può essere annoverato come un capolavoro è comunque un grandissimo film.
La storia è quella di Liberace, al secolo Władziu Valentino Liberace (1919-1987), pianista d'origine italo-polacca divenuto celebre negli Stati Uniti tra gli anni '50 e '70 come pianista e showman (recitò persino nella celebre serie TV di Batman ).
Il film si concentra sugli ultimi dieci anni della sua vita e in particolar modo sulla relazione con Scott Thorson (un bravissimo Matt Damon), giovane del Wisconsin, durata dal 1977 al 1983, prima che Lee, questo il nomignolo usato dal protagonista, poiché Walter voluto dal padre lo trovava intollerabile, venisse colpito dall'AIDS che avrebbe posto fine alla sua vita.
La tematica omosessuale è naturalmente portante nella pellicola, ma a Soderbergh va il merito di non renderla totalizzante, dando spazio a tanto altro: ai rapporti di forza su cui si tiene in piedi una coppia, all'ascesa dell'amore, alla fase discendente e a tutte le conseguenze che questa comporta, sopratutto in casi che coinvolgono celebrità e ricchezze.
Strepitosa l'interpretazione di Michael Douglas, che recita dopo aver sconfitto il tumore (e pensare che inizialmente per il ruolo era stato scelto Robin Williams), e che rinuncia al suo status di sex symbol etero, un coraggio che a Hollywood non tutti avrebbero, e ci regala una queen incredibile, sopra le righe e davvero indimenticabile nei suoi caftani coloratissimi (uno significativamente decorato con le code di pavone). I costumi diventano ancor più scintillanti quando Lee è sul palco, dove si ammirano pellicce con strascichi che avrebbero fatto invidia al grande Freddy Mercury, e dove non manca mai il candelabro in vetro di Boemia sul pianoforte che dà il titolo al film, che il protagonista "indossa" anche in forma di anello non proprio sobrio,
e che rivela di aver ripreso da L'eterna armonia (1945), la pellicola di Charles Vidor sulla vita di Chopin. Questa è una delle poche citazioni cinematografiche, cui si aggiunge almeno quella della notte degli Oscar del 1982, occasione in cui Lee suona un medley, consapevole che il "giovane" Vangelis avrebbe vinto la statuetta per la colonna sonora di Momenti di gloria, e che i premi principali sarebbero invece andati a Sul lago dorato
Splendida la scenografia, sintetizzata nell'espressione "kitsch imperiale" con cui lo stesso Lee definisce il suo arredamento, fatto di eccessi rutilanti, in cui trovano posto lenzuola dorate ed enormi quadri con i ritratti di se stesso e di sua madre. Qua è la spiccano anche statuette di celebri nudi: scusate la deformazione, ma si riconoscono la Venere di Milo, il Galata morente, ma soprattutto il David, evidente icona gay, sia nella versione di Michelangelo che in quella di Bernini. 
Ottima la sceneggiatura, che regala perle che ci offrono in poche battute una sintesi della filosofia di vita di Lee, che oltre a cambiare spesso i suoi protegée, reputa tre le cose per cui vale la pena vivere "la cucina, il sesso e lo shopping"; chiama Scott come uno dei suoi cagnolini preferiti, Baby Boy; sentenzia che "avere troppo di una cosa buona è meraviglioso", ma soprattutto, di fronte al disagio di Scott per il suo bisogno di vedere film porno con interesse, afferma che "Il disgusto è nel disgustoso", in una versione rivisitata del più celebre "la bellezza è negli occhi di chi guarda", che diventa anche la sintesi dell'intero progetto di Soderbergh, che in un'intervista al New York Post ha dichiarato che "il film era inizialmente previsto per un'uscita cinematografica, ma la storia era troppo gay per gli studios di Hollywood".
I veri Scott Thorson e Liberace
Esilaranti alcune altre battute, come quella in cui viene preso in giro uno degli amanti non troppo intellettuali di Lee, "uno spogliarellista campestre che si metteva i tanga al contrario"; quella del dottor Starty, il chirurgo plastico gay di fiducia, interpretato da un perfetto Rob Lowe, che non manca di ricordare come suo slogan che le drag queen quando nascono dicono che "l'imitazione è la forma più alta"; ma anche quella della madre di Lee (Debbie Reynolds), che rivelando a Scott che suo figlio in realtà aveva un gemello morto alla nascita, lo avverte quasi come un monito "che perfino nella pancia voleva più degli altri".

La discreta regia di Soderbergh diventa, infine, autoriale in almeno tre casi: quando la mdp segue un malore di Scott, rimandando allo spettatore un'immagine instabile e sfocata; nella bella sequenza in cui Scott al funerale di Lee lo vede "ascendere" al pianoforte (in una scenografia che tanto ricorda il finale de Il senso della vita dei Monty Pyhton); e quella in cui Lee ricorda un suo ricovero per problemi ai reni nel giorno dell'assassinio di Kennedy.
Fu questa, peraltro, l'occasione in cui capì che Dio non ce l'aveva con lui per la sua condotta di vita, altrimenti lo avrebbe chiamato a sé, rendendolo definitivamente libero dai sensi di colpa della morale cattolica. Ed è proprio l'etica puritana che fa da sfondo ad un'epoca, oggi solo in parte lontana, in cui l'omosessualità di Lee e Scott non poteva essere dichiarata, che propinava Liberace al grande pubblico come un latin lover, celebrando suoi improbabili amori con le donne sui rotocalchi e persino sulla sua autobiografia ufficiale, fino alla morte, quando il suo avvocato (un bravissimo Dan Aykroyd), si ritrova a negare l'evidenza dichiarando come causa del decesso un arresto cardiaco. 
È anche per questo che Dietro i candelabri merita di essere visto come film sulle contraddizioni della libertà statunitense perché, va ribadito, "il disgusto è nel disgustoso"!

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