giovedì 7 novembre 2013

Minority Report (Spielberg 2002)

E iniziamo con uno dei miei primi tentativi... una stroncatura di Minority Report scritta allora per Filmscoop, pubblicata il 9 gennaio 2004, e capace di generare diverse polemiche tra i lettori del sito, che si divisero in chi voleva il mio scalpo, chi sosteneva la libertà d'opinione e chi, tutto sommato, era d'accordo (divertente rileggere oggi le reazioni che scatenai: leggi).
Non l'ho più rivisto, chissà se oggi sarei più tenero di dieci anni fa... quanti anni sono passati!

Anno 2054 a Washington D.C. Qui John Anderton è a capo della polizia pre-criminale, un'istituzione che in sei anni ha praticamente ha annullato il numero di omicidi in città. Il sistema funziona grazie ai "Precog", tre persone su cui esperimenti scientifici hanno generato la particolare capacità di prevedere azioni delittuose. John ricostruisce gli omicidi visti dai Precog e riesce a neutralizzarli poco prima che vengano commessi.
John è un uomo che crede in questo progetto, anche perché coinvolto da vicende personali: la scomparsa di suo figlio di sei anni Sean ha modificato la sua vita, è stato lasciato dalla moglie, ha iniziato ad assumere droghe e vive nel ricordo del passato.
Tutto viene messo in discussione quando John scopre l'esistenza di un "rapporto minoritario" (quello che dà il titolo al film), una sorta di disaccordo tra le tre previsioni dei Precog.


Qualunque commento al film non può prescindere da un sonoro "ed ora basta!". Steven Spielberg continua a "sprecare" soggetti di altissimo livello realizzando film che non convincono, che si presentano come capolavori tecnici intrisi di aggiunte buoniste di cui non si sente assolutamente il bisogno.

Agli appassionati di cinema non resta che rimpiangere il mancato affidamento di un soggetto di questo tipo ad altri registi che avrebbero colto meglio la weltanschauung di Philip Dick (chi scrive pensa a David Cronenberg, ma non solo).
Tutti ricordiamo quanto fatto da Spielberg all'ultimo capolavoro in nuce di Stanley Kubrick, quell'A.I. che con il regista statunitense si è trasformato in una semplice favola tecnologica a metà tra Pinocchio e E.T.
A Spielberg non è bastato, e pensare che in diverse interviste aveva più volte precisato che era giunto il momento di fare film che piacessero a lui e non più solo al pubblico, come gli avevano chiesto fino a quel momento: delle due l'una, o quello che piace a lui ormai coincide totalmente con le esigenze del botteghino (e quindi non vediamo alcuna differenza), oppure non ha più nulla da comunicare tranne un perfezionismo tecnico che gli va comunque riconosciuto. E poi, in una superproduzione come questa, c'era veramente il bisogno di alcune pubblicità così poco occulte?


Tra le sequenze indimenticabili c'è sicuramente quella dei ragni-spia azionati per identificare Tom Cruise-John Anderton appena operato agli occhi. Qui si riconosce il cinema propriamente detto, quello classico, che non ha bisogno di troppe parole, perché‚ sono le immagini a spiegare tutto. La mdp segue questi piccoli robot che vanno ad identificare tutti i corpi caldi presenti nell'edificio in cui Anderton si è rifugiato: lo spettatore così è accompagnato per le condotte, sotto le porte e nelle stanze degli inquilini. Il controllo identificativo è vissuto da questi come un'esperienza consueta, con esilaranti momenti in cui scopriamo litigi tra moglie e marito, un anziano signore seduto sul water, che vengono identificati senza scomporsi troppo per poi riprendere subito dopo le attività interrotte per un solo istante.

La prova degli attori è discreta, ma inevitabilmente subordinata al carrozzone costruitogli intorno. Tom Cruise ripete pedissequamente la parte di Mission Impossibile, molto brava la Precog interpretata da Samantha Morton, gli altri sono poco più che dei semplici figuranti. Una menzione speciale per la recitazione gelida e perfetta dell'eterno Max von Sidow, vera e propria icona: la sua presenza sembra essere l'unico legame tra Minority Report e la storia del cinema.

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