martedì 24 dicembre 2024

Napoli - New York (Salvatores 2024)

La tratta del titolo è quella dell'emigrazione che tra l'unità d'Italia e la Seconda guerra mondiale spinse oltre cinque milioni di italiani a trasferirsi negli Stati Uniti per cercare fortuna e che prima dei titoli di coda diventano diciannove, aumentando la forbice dal 1861 al 1985 e probabilmente considerando anche altri paesi di destinazione (vedi).
A fare quel viaggio, in questo caso, sono due ragazzini che restano sulla nave e che si imbarcano per l'America quasi per caso: Carmine e Celestina, senza radici, partono nella speranza di raggiungere a New York la sorella di lei, Agnese Scognamiglio, andata nella Grande Mela per sposare John Wilkins, un soldato conosciuto durante la liberazione (trailer). I due troveranno la ragazza, ma non la serena famiglia che si aspettavano, poiché le cose sono andate diversamente. La vicenda di Agnese sarà strumentalizzata dalla politica ma, pur se per una bieca causa propagandistica, verrà fatto il bene di tre italiani in difficoltà.
Napoli - New York è la dimostrazione di come un soggetto importante possa essere ridotto a poco più di una macchietta e trasformato in una storia buonista e patinata, con una spolverata di femminismo, poco approfondito e superficiale.
Gabriele Salvatores, infatti, recupera un soggetto neorealista che Federico Fellini aveva scritto a quattro mani a metà degli anni '40, prima di diventare regista, con Tullio Pinelli e che non divenne mai un film, ma il risultato non convince e sembra strizzare l'occhio molto più al successo di Paola Cortellesi e al suo C'è ancora domani (2023) che al genio riminese, peraltro senza la freschezza e l'ironia della regista romana.
A prescindere dall'inevitabile confronto con quello che la storia avrebbe potuto essere nelle mani di Fellini, la pellicola indugia sui buoni sentimenti, su una visione oleografica di quegli anni, senza brillare né dal punto di vista visivo, né da quello narrativo.
Siamo nel 1949 e un terremoto devasta le condizioni di Napoli, già piegata dalle conseguenze della guerra. In questo contesto la piccola Celestina (Dea Lanzaro) perde la casa dove viveva con la zia Aurelia, uccisa dal terremoto e, rimasta sola, decide di vivere con il poco più grande Carmine (Antonio Guerra), per cercare di sbarcare il lunario insieme. Il ragazzino è uno scugnizzo in piena regola: vive di espedienti, fa piccoli lavoretti per gli americani e tira avanti. È così che conosce George (Omar Benson Miller), cuoco afroamericano della nave Victory, che vuole vendere sottobanco un cucciolo di giaguaro. La nave, attraccata a Napoli, è in attesa di ripartire per Nuova York, ed è guidata dal capitano (Tomaso Arana) e dal commissario di bordo Domenico Garofalo (Pierfrancesco Favino), personaggio fondamentale nel prosieguo della storia per Carmine e Celestina che, ormai a bordo, vengono aiutati da George, riconoscente al silenzio di Carmine, e dallo stesso Garofalo, che prenderà a cuore la loro situazione insieme alla moglie, Anna (Anna Ammirati). I due fanciulli subiscono il razzismo degli altri sulla nave e a New York (gli italiani rubano e maleodorano), ma poi basta un mazzo di carte per far felici tutti. Agnese (Anna Lucia Pierro), invece, grazie ai giornali filoitaliani, come quello diretto da Joe Agrillo (Antonio Catania), diventa un simbolo...
Qua e là, sapendolo, si intuisce che ci sia Fellini dietro il soggetto. Tra le vie di Napoli, per esempio, Celestina si imbatte in una prostituta che la invita a entrare in casa e in un laido protettore, che sembrano usciti da Le notti di Cabiria (1957) o da Roma (1972). 
I due bambini protagonisti, dopo le prime difficoltà, si inseriscono a meraviglia nella vita della Victory: danno una mano in cucina, giocano a carte, trasformandosi all'occorrenza in perfetti bari, e Carmine impara persino a giocare a basket con George seppure, in assenza del canestro, debba accontentarsi di lanciare il pallone contro la scritta "Victory" (davvero un simbolo del genere qualcuno ha pensato fosse meglio di montare un canestro nella scenografia?).
Il film cade nel romanticismo dozzinale più volte e in particolar modo quando ci mostra Carmine e Celestina affacciati dal ponte della nave con un cielo disseminato di stelle, in un tentativo che, a voler sforzarsi nel pensare cinematograficamente, prova senza successo a unire il neorealismo fantastico di Zavattini e De Sica (es. Miracolo a Milano, 1951) a Titanic (Cameron 1997). Persino il suicidio di una donna sulla nave non riesce a comunicare pathos e la disperazione risulta mitigata e patinata.
Molto bella, invece, l'identificazione che la piccola Celestina fa della Statua della Libertà con la Madonna, a cui si affida pregando una volta arrivata a New York, in una sorta di sincretismo iconografico che da solo racconta tanto della sorpresa dei tanti italiani che sbarcavano a Ellis Island. L'aspetto sacro, peraltro, viene riproposto nelle vie di Little Italy, dove si svolge la processione di san Gennaro con tanto di banconote attaccate al busto del patrono di Napoli.
La sorpresa dei due giovanissimi protagonisti, che una volta in strada sgranano gli occhi, mentre la mdp gira intorno a loro in tutte le direzioni aumentando quello straniamento, viene ulteriormente amplificata da una citazione musical-cinematografica: la colonna sonora qui prevede la mitica Be My Baby dei Ronettes, che per ogni cinefilo è indissolubilmente legata ai titoli di testa di Mean Streets (Scorsese 1973), che si svolgeva proprio per le strade di New York.
Per fare da contraltare all'entusiasmo iniziale e a segnare il mutamento d'umore dopo le prime difficoltà, il brano scelto, invece, è la cover di Somewhere da West Side Story (1961) realizzata da Tom Waits.
Un'altra citazione arriva grazie alla condizione dei due ragazzini che, non sapendo come rintracciare Agnese, si ritrovano seduti e sconfortati su degli scalini, come Charlie Chaplin e Jackie Coogan ne Il monello (1921) o come, di conseguenza, Lamberto Maggiorani ed Enzo Staiola in Ladri di biciclette (1948), ma qui qualcuno si avvicina e fa loro l'elemosina.
Il riferimento più evidente al cinema italiano, però, è a Paisà (1946). Il capolavoro di Rossellini è in programmazione in una sala newyorchese e Celestina, mentre vaga per la città, riesce a vederlo grazie a una coppia che si intenerisce guardandola osservare la locandina, e le compra il biglietto. In sala la bambina si alza in piedi e urla i nomi reali dei personaggi ripresi dalla pellicola, che lei conosce benissimo, mentre in sottofondo ascoltiamo un'altra cover, Wonderful Life, nella versione di Katie Melua. 
Un paio di curiosità: sulla nave, e poi a Little Italy, vediamo sughi in scatola e altri generi alimentari tipicamente italiani - leggiamo anche i marchi del Bel Paese (1906) della Galbani (1882) - che proprio in quegli anni si diffusero anche in Italia grazie agli emigrati in America, come perfettamente raccontato in un recente e documentato podcast a tema cucina e luoghi comuni da sfatare come DOI  (Denominazione d'Origine Inventata, di Alberto Grandi e Daniele Soffiati). Più avanti un poster ricorda i mondiali di calcio e l'Italia, con due stelle in basso, segno dei mondiali vinti con ignominia dalla nostra nazionale nel 1934 e nel 1938, anche se l'uso della stella per segnare le vittorie del titolo iridato verrà introdotto dal Brasile solo nel 1968 (in Italia si utilizzò per i dieci campionati vinti dalla Juventus, ma comunque dal 1958).
Per rimanere sull'aspetto documentario, anche se in barba alla filologia, dato che va a recuperare un testo dell'ottobre 1919, durante il processo ad Agnese il film rispolvera la relazione dell'ispettorato per l'immigrazione del Congresso degli Stati Uniti sugli immigrati italiani:

«Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Molti puzzano perché tengono lo stesso vestito per settimane. Si costruiscono baracche nelle periferie. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano in 2 e cercano una stanza con uso cucina. Dopo pochi giorni diventano 4, 6, 10. Parlano lingue incomprensibili, forse dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l'elemosina; spesso davanti alle chiese donne e uomini anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano sia perché poco attraenti e selvatici, sia perché è voce diffusa di stupri consumati quando le donne tornano dal lavoro. I governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, di attività criminali».

E gli italiani, al momento dell'arrivo della nave, ci vengono mostrati in carovana, con le valigie di cartone, osservati con un certo disagio e disappunto dai newyorchesi, un atteggiamento che torna spesso nel film, come nella sequenza già citata dell'elemosina o persino nella pasticceria in cui non si servono italiani per puro razzismo.

È proprio questo aspetto di relativismo delle condizioni umane, e di quella che potremmo definire "didattica sulla percezione del nuovo e del diverso", che in questo momento storico appare il più grande merito della nuova pellicola di Salvatores, che durante il processo fa dire a Celestina "non sei straniero, sei povero, chi è ricco non è straniero da nessuna parte". Per tutto questo il suo valore è indiscutibile e andrebbe proiettata nelle scuole... il cinema migliore però è altrove.

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