martedì 15 ottobre 2024

Vermiglio (Delpero 2024)

È un ottimo film quello di Maura Delpero che, al suo secondo lungometraggio (dopo Maternal, 2019), sceglie di raccontare una storia ambientata nel piccolo centro di Vermiglio, andando a recuperare un po' della sua autobiografia (è il paese in cui visse suo padre), ma anche un cinema e un'estetica che tanto ricordano Ermanno Olmi e il suo L'albero degli zoccoli (1978). Così come il grande precedente, che a Cannes vinse la Palma d'oro, anche la sua opera è recitata in dialetto ed è stata giustamente celebrata dalla critica, aggiudicandosi il Leone d'argento - Gran premio della giuria a Venezia (trailer).
A Vermiglio, oggi in provincia di Trento, siamo sulle montagne del nord-est italiano, e non nella campagna lombarda, ma la Lombardia è vicina, Milano è comunque il grande centro a cui ci si riferisce quando si pensa a una città dove le logiche di paese possano essere lontane.
La cascina della pianura bergamasca diventa una casa trentina, l'epoca non è più l'ultimo scorcio del XIX secolo, ma gli anni '40 di quello successivo, eppure mentalità, dinamiche sociali, familiari e rapporto col sacro sono pressoché gli stessi, praticamente intatti da secoli. In un immaginario simile, però, il piccolo paese della Val di Sole è sconquassato dalla guerra, ormai al termine (
tra 1944 e 1945), che ha portato via tanti ragazzi: alcuni tornano, altri non torneranno più, ma i parenti aspettano con la speranza e l'impotenza di fronte a eventi più grandi di loro. La guerra, la neve, i diversi dialetti, peraltro, fanno istintivamente pensare ancora a Olmi e al bellissimo Torneranno i prati (2014), pur se quello era ambientato nella Prima guerra mondiale.
A Vermiglio la vita va avanti e 
Cesare Graziadei (Tommaso Ragno), marito di Adele (Roberta Rovelli) e padre di dieci figli, ha la fissità di un patriarca a cui tutto ruota intorno, moglie, figli e studenti, dato che lui è il maestro del paese, che insegna ai bambini e, di sera, anche agli adulti, una sorta di guida e di filosofo della comunità. Il suo ruolo ha un peso sociale e, come in tutti i paesi simili, è al pari del sindaco, del maresciallo (si pensi alla commedia all'italiana e a film come Pane, amore e fantasia, Comencini 1953), del parroco. E non caso, in Vermiglio, di queste altre figure vediamo solo quella religiosa, come ideale prosecuzione e contemperamento dei valori imparati nella famiglia.
Tra i più piccoli ci sono Pietro (Enrico Panizza), i gemelli Tarcisio (Luis Thaler) e Giacinto (Simone Bendetti),  Ada (Rachele Potrich), Flavia (Anna Thaler, sorella di Luis), i cui giovanissimi interpreti sono stati pescati tra gli abitanti della zona e di Vermiglio stessa.
Nella famiglia protagonista è da poco entrato Pietro (Giuseppe De Domenico), un soldato siciliano che in guerra ha salvato la vita al nipote di Cesare e che fatalmente si innamora, ricambiato, della figlia maggiore del suo ospite, Lucia (Martina Scrinzi), con cui inizialmente comunica attraverso bigliettini con dei cuori e poi convola a nozze, senza rivelare che in Sicilia aveva già sposato una donna in precedenza...
L'ottima sceneggiatura ha tra i tanti picchi i bellissimi dialoghi a luci soffuse, quando i figli di Cesare sono a letto: le femmine da un lato, che si interrogano sull'amore di Lucia e sul proprio futuro; i maschi dall'altro, con Dino a fare da surrogato di un adulto per i più piccoli.
Ada è un personaggio eccezionale: la sua devozione sembra in cerca di santità, sgrana il rosario a letto, si fa "torturare" con una piuma dalla sorella per penitenza, scrive fioretti in cui si dichiara pronta alle punizioni più turpi, che le vediamo mettere in pratica, non senza un po' di ilarità. Questo rigore la porta a giudicare tutto con estremo cinismo ed è proprio lei a dare a Pietro dell'analfabeto (sic, perché maschio), ritenendo quella la vera motivazione del cuore al posto delle frasi sui biglietti per Lucia, mentre Flavia risponde "magari è romantico lo stesso".
Ed è sempre Ada a vedere messe a soqquadro le proprie certezze per la simpatia, che forse è qualcosa di più, nei confronti della bella e ribelle Virginia (Carlotta Gamba), che fuma di nascosto nel pagliaio e fa discorsi che la turbano, spingendola verso ulteriori penitenze. Un accenno a una tematica impossibile solo da immaginare in quel tempo e in quello strato sociale, che pertanto costringe Ada a limitarsi all'osservazione di un vecchio album di donne nude trovato in casa a uso maschile.
La stessa ragazzina - che non a caso vorrebbe diventare un sacerdote non per infliggere punizioni ma per dire la propria ed essere ascoltata da tutti - in confessione dichiara al parroco di non voler "comprare" bambini quando crescerà, per evitare i 40 giorni di purificazione che la terrebbero lontana dalla chiesa. Ed è una frase, peraltro, che con quel verbo permette un'importante riflessione linguistica su una scelta che equipara differenti dialetti (in napoletano, per esempio, è "accattare 'nu criaturo"), secondo un tipico espediente moralistico che fa ricorso a un eufemismo per annullare la connotazione scabrosa e sessualmente "sporca" della nascita di un neonato.
Pietro, invece, prima di addormentarsi chiede a Dino "che roba è?", dopo aver sentito parlare durante il giorno dell'anima, che permette di andare in cielo dopo la morte e senza ali. Ed è sempre lui a spiegare i diversi personaggi del presepe a Pietro e a considerare la Sicilia un luogo fantastico, tanto più dopo che Cesare gli mostra la cartina geografica, dove in corrispondenza di quella regione vede le arance e, poco più giù, i leoni, ritrovandosi a fantasticare sui leoni siciliani, nonostante il padre precisi che quella è l'Africa. 
A Pietro, forse, viene affidata la frase più agghiacciante e che riassume il senso della guerra. Il ragazzo, proprio su domanda del futuro suocero in classe, dopo la lettura de La spigolatrice di Sapri (Mercantini 1858) e il famoso "eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti", spiega con voce tremante e incerta "è come se sei vivo, però non proprio; è come se sei tu, ma non sei più tu".
In osteria, ritrovo sociale laico al maschile per antonomasia, i benpensanti sono pronti a giudicare chi scappa dalla guerra, usando con facilità e disprezzo il termine disertore, e gli viene risposto che parlano con così tanto pressapochismo solo perché hanno saltato entrambe le guerre mondiali. E sarà proprio lì, che dopo lo scandalo acclarato e finito sui giornali, la presenza di Cesare sarà ignorata dagli altri avventori, in un'ennesima sequenza di silenzio particolarmente eloquente.
Con la stessa leggerezza, in casa, luogo del ritrovo al femminile, le donne giudicano ragazze e ragazzi, figli e non, dal punto di vista etico, cosicché abbondano detti popolari e offensivi, quali "chi va al mulino s'infarina", pronunciati sempre con il senno di poi, laddove lo scandalo a cui è costretto il gruppo familiare è considerato più importante del dolore di chi lo causa essendone vittima e che, a giochi fatti, subisce anche le accuse delle persone più vicine. Ma d'altronde, in una società in cui le donne stesse ripetono che "l'uomo è il timone", altre soluzioni per l'affrancamento dalla famiglia d'origine non ce ne sono oltre al matrimonio e alla maternità.
La chiesa (che è quella di Comasine - Peio), fatalmente, è l'unico luogo dove uomini e donne si incontrano, anche se come secoli prima la loro interazione si limita agli sguardi, dato che sono costretti a seguire la messa separati e distanti.
La sceneggiatura ha delle linee che non si dimenticano, soprattutto quelle affidate ai bambini, diretti benissimo e sostenuti dalla regia e da un gigante come Tommaso Ragno al loro fianco. 
Il personaggio di Cesare è combattuto tra il pragmatismo quotidiano, che lo impegna nel mantenere tutto com'è ed è sempre stato, e la tentazione di elevarsi, tra lo studio e soprattutto la musica, che ascolta con passione e che permette alla colonna sonora, composta da Matteo Franceschini, docente al Conservatorio di Castelfranco, di arricchirsi anche di brani classici come il Notturno in Do minore di Chopin o le Stagioni di Vivaldi, che segnano il tempo dell'azione.
La sua durezza è quella tipica di un uomo di quei tempi. Da maestro dei suoi stessi figli ha un rapporto conflittuale con Dino (Patrick Gardener), che a suo avviso deve dare più degli altri proprio perché è suo figlio, mentre per le ragazze la scelta è ancora più complessa: Flavia è la migliore della classe e le riesce naturale - come quando la vediamo leggere davanti al padre Pianto antico di Carducci -, motivo per cui potrà proseguire gli studi, mentre la tanta applicazione di Ada non le permette di "eccellere", un tormentone che la condanna.
Delpero gira benissimo - coadiuvata dalla splendida fotografia di Mikhaïl Krichman - e ci regala veri e propri quadri che lasciano tanto per estetica e per la capacità di osservazione di una mdp mai banale. In alcuni casi vediamo personaggi racchiusi, in perfetti surcadrage, all'interno di porte o di riquadri di finestre inglesine; in altri, paesaggi innevati e privi di persone che si accordano con brani di musica classica e cori da chiesa. La forza della natura a certe latitudini ha sempre il sopravvento sulla piccolezza dell'uomo.
L'utilizzo degli spazi per delimitare le inquadrature torna in un bellissimo split screen naturale che, a camera fissa, ci mostra un muro centrale che divide da un lato la cucina e dall'altra la camera da letto dove Adele dà alla luce l'ennesimo bambino, circondata da tutti i figli, in una scena di realismo ottocentesco che affonda le sue origini nella lunga tradizione iconografica che rimonta alle nascite della Vergine e di Giovanni Battista.
Il bacio di Pietro e Lucia
Tra le riprese in campo lungo, poi, ce n'è una che lascia il segno. È il momento del primo bacio tra Pietro e Lucia, seduti davanti a una cascina in un panorama innevato e silenzioso. L'immagine già da sola appare come un dipinto fiammingo con piccole figure immerse nel biancore della neve. Chi guarda empatizza con i personaggi e vive un'esperienza sinestetica, avvertendo il freddo, il silenzio, il calore della passione, la paura di essere scoperti. E lì il punto massimo della regia di Delpero che, hitchcockianamente, mette lo spettatore in uno stato di conoscenza superiore a quello dei personaggi stessi, poiché quella che sembra una ripresa oggettiva subito dopo si trasforma in una soggettiva di Ada, che li sta osservando. A differenza loro, solo noi sappiamo che sono stati scoperti.   
Mi piace chiudere con una delle tante immagini che sicuramente Ermanno Olmi, scomparso nel 2018 (leggi), avrebbe amato di questo film così nelle sue corde, perché in grado di dire tanto di una società povera con pochissime parole: Lucia si sposa con l'abito che fu della mamma e, mentre Adele glielo fa indossare, prima di accorgersi di una pancia più pronunciata di quanto dovrebbe (facendole capire di aver capito con i soli sguardi), le dice che il "bianco è per i ricchi".
Intimità, consapevolezza e semplice pragmatismo in pochi fotogrammi, all'interno di un anno, quattro stagioni che possono cambiare la vita di tutti, tra la fine di una guerra, nascite, morti, unioni, rotture e tanto dolore. 

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