La poesia del ribaltamento. Questa espressione potrebbe riassumere da sola l'ultimo, bellissimo film, vincitore della Palma d'oro a Cannes, di Hirokazu Kore-eda, probabilmente il miglior regista nipponico degli ultimi anni e sicuramente uno dei migliori cineasti del momento.
Ebbene sì, prendete tutto ciò che Yasuhiro Ozu ci ha insegnato e fatto vedere per decenni sul sistema familiare in Giappone e capovolgetelo, immaginando qualcosa di molto più vicino alla grottesca vita dei personaggi di Brutti, sporchi e cattivi (Scola 1976): ne verrà fuori una casa disordinata, non pulita, trabordante di oggetti, abitata da una famiglia non propriamente tradizionale, che solo all'apparenza è costituita da una nonna, dei genitori, dei figli (trailer).
In realtà, infatti, man mano che la vicenda va avanti, ci si rende conto che quello sgangherato gruppo familiare non ha legami determinati dal sangue ma, questo è sicuro, ha amore e complicità in abbondanza.
Nulla nella quotidianità dei protagonisti può essere considerato un esempio, ma nonostante ciò è impossibile non stare dalla loro parte. Kore-eda, con questo film, sembra recuperare i Saiki, la famiglia di ceto popolare che in Father and son (2013) faceva da contrasto a quella borghese protagonista, metterli al centro della storia e spingere ancora di più sulle caratteristiche che li rendono così diversi da tutti gli altri.
Osamu Shibata (Lily Franky, che già in Father and son aveva un ruolo simile), quello che dovrebbe essere il pater familias, insegna al piccolo Shota (Jyo Kairi) ad effettuare piccoli furti, certo del fatto che "la merce che è in un negozio non è ancora di nessuno"; ed è così che fanno la spesa per la casa, nella divertente sequenza iniziale del film.
Nessuno ha un lavoro stabile: Osamu vive di espedienti e lavora a giornata, ma basta un piccolo infortunio ad una gamba per renderlo felice di non doverlo fare per un po', tanto più che alla sola idea dell'indennità Nobuyo (Sakura Andō), la sua compagna, considera un peccato che non se la sia rotta.
Lei lavora in una lavanderia, con un orario ridotto da un contratto di solidarietà; mentre la terza persona adulta è la giovane Aki (Mayu Matsuoka), che lavora in un locale in cui si esibisce per eccitare uomini sconosciuti vestendosi da collegiale, o nel quale, più semplicemente, "va ad agitare le tette", come dice nonna Hatsue (Kirin Kiki).
È paradossale, ma in questo contesto facilmente comprensibile, che l'unica sicurezza economica sia fornita proprio dalla pensione della nonna, un'anziana donna sempre sorridente che trova naturale tagliarsi le unghie durante la cena, bere birra la sera, giocare alle slot machine e ricattare il figlio dell'uomo di cui è vedova per racimolare qualche altro soldo.
A queste cinque persone si aggiungerà una sesta, Yuri (Miyu Sasaki), una bambina che Osamu prende con sé poiché viene maltrattata dai propri genitori, con la stessa semplicità con cui si raccoglie un fiore. La piccola sarà amata come non le era mai capitato, e poco importa se né lei né tantomeno Shota andranno mai a scuola, poiché gli viene spiegato che ci va "solo chi non ha la possibilità di studiare in casa". D'altronde anche Yuri, col tempo, imparerà a rubare nei negozi e ad essere un'abile complice per il suo nuovo fratello maggiore, che le insegna tutto.
Eppure questa incredibile famiglia ha dalla sua il valore della scelta, come precisa più volte la sceneggiatura, che contrasta con la casualità che di solito determina la composizione di una famiglia. In un bel dialogo sulla spiaggia, Nobuyo illustra all'anziana Hatsue il concetto secondo il quale quando si sceglie con chi stare si è più liberi o che comunque "quando scegli tu il legame è più forte", e più avanti lei stessa dirà, rivendicando il suo ruolo materno, "non si è madri solo perché si è partorito".
L'accordo tra i membri di questa strana famiglia, in effetti, è scientifico: è vero che Hatsue sostenta gli altri con il suo denaro, ma come precisa lei stessa "con voi mi sono fatta un'assicurazione, perché non ho nessuna intenzione di morire da sola": quell'assicurazione che Osamu propone di chiamare "polizza antimorte solitaria".
La mdp di Kore-eda riprende tutto da molto vicino, agendo come un microscopio capace di rivelare i singoli dettagli di una realtà davvero sui generis, ma che nonostante tutto non perde completamente il contatto con la tradizione, come rivela il piccolo altare casalingo che Hatsue ha dedicato al marito defunto, che però in una casa come quella è nascosto tra i tantissimi oggetti stipati.
A questo realismo ostentato la mdp rinuncia in pochissimi casi, ma in uno di questi lo fa per trasformarsi in un occhio espressionista: ci mostra dall'alto, in campo lungo, un parcheggio nel quale Osamu e Shota giocano al tonno che caccia un pesce, suggestione che il bambino trae da una fiaba. Anche questa, peraltro, dice molto della famiglia protagonista, poiché nel racconto del tonno che può essere sconfitto da un gruppo compatto di pesciolini, è facile leggere una metafora della forza data dall'unione dei singoli membri di quel gruppo scalcagnato (la fiaba cita Swimmy, libro per bambini scritto e illustrato nel 1963 da Leo Lionni, olandese che si unì al Futurismo su invito di Marinetti. vedi).
In un altro frangente la mdp sceglie un punto di vista insolito: i componenti della famiglia sono seduti sul bordo dell'engawa, quello spazio liminale tra l'interno e l'esterno delle case nipponiche, con una tettoia, ma privo di parete, ad osservare i fuochi d'artificio; il regista, e noi con lui, li osserva dal cielo, da dove quei fuochi stanno colorando la notte, ma nulla di quello spettacolo verrà ripreso dalla cinepresa, che si ostina ad inquadrare quei sei personaggi, come ha fatto per tutta la pellicola.
N.B. Proprio mentre scrivo questa recensione, apprendo che il 15 settembre, dopo una lunga malattia, è morta Kirin Kiki, la splendida Hatsue di questo film, che tra i tanti ruoli della sua carriera, iniziata nel 1970, aveva lavorato con Kore-eda nei suoi film più recenti: in Father and son (2013), in Little sister (2015), e anche in Ritratto di famiglia con tempesta (2016).
In Un affare di famiglia osservatela mentre mangia un'arancia davanti all'assistente sociale, succhiandone anche la buccia, ma continuando a fissare l'uomo davanti a sé, o mentre in spiaggia si cosparge le gambe di sabbia... non la dimenticherete.
In realtà, infatti, man mano che la vicenda va avanti, ci si rende conto che quello sgangherato gruppo familiare non ha legami determinati dal sangue ma, questo è sicuro, ha amore e complicità in abbondanza.
Nulla nella quotidianità dei protagonisti può essere considerato un esempio, ma nonostante ciò è impossibile non stare dalla loro parte. Kore-eda, con questo film, sembra recuperare i Saiki, la famiglia di ceto popolare che in Father and son (2013) faceva da contrasto a quella borghese protagonista, metterli al centro della storia e spingere ancora di più sulle caratteristiche che li rendono così diversi da tutti gli altri.
Osamu Shibata (Lily Franky, che già in Father and son aveva un ruolo simile), quello che dovrebbe essere il pater familias, insegna al piccolo Shota (Jyo Kairi) ad effettuare piccoli furti, certo del fatto che "la merce che è in un negozio non è ancora di nessuno"; ed è così che fanno la spesa per la casa, nella divertente sequenza iniziale del film.
Nessuno ha un lavoro stabile: Osamu vive di espedienti e lavora a giornata, ma basta un piccolo infortunio ad una gamba per renderlo felice di non doverlo fare per un po', tanto più che alla sola idea dell'indennità Nobuyo (Sakura Andō), la sua compagna, considera un peccato che non se la sia rotta.
Lei lavora in una lavanderia, con un orario ridotto da un contratto di solidarietà; mentre la terza persona adulta è la giovane Aki (Mayu Matsuoka), che lavora in un locale in cui si esibisce per eccitare uomini sconosciuti vestendosi da collegiale, o nel quale, più semplicemente, "va ad agitare le tette", come dice nonna Hatsue (Kirin Kiki).
È paradossale, ma in questo contesto facilmente comprensibile, che l'unica sicurezza economica sia fornita proprio dalla pensione della nonna, un'anziana donna sempre sorridente che trova naturale tagliarsi le unghie durante la cena, bere birra la sera, giocare alle slot machine e ricattare il figlio dell'uomo di cui è vedova per racimolare qualche altro soldo.
A queste cinque persone si aggiungerà una sesta, Yuri (Miyu Sasaki), una bambina che Osamu prende con sé poiché viene maltrattata dai propri genitori, con la stessa semplicità con cui si raccoglie un fiore. La piccola sarà amata come non le era mai capitato, e poco importa se né lei né tantomeno Shota andranno mai a scuola, poiché gli viene spiegato che ci va "solo chi non ha la possibilità di studiare in casa". D'altronde anche Yuri, col tempo, imparerà a rubare nei negozi e ad essere un'abile complice per il suo nuovo fratello maggiore, che le insegna tutto.
Eppure questa incredibile famiglia ha dalla sua il valore della scelta, come precisa più volte la sceneggiatura, che contrasta con la casualità che di solito determina la composizione di una famiglia. In un bel dialogo sulla spiaggia, Nobuyo illustra all'anziana Hatsue il concetto secondo il quale quando si sceglie con chi stare si è più liberi o che comunque "quando scegli tu il legame è più forte", e più avanti lei stessa dirà, rivendicando il suo ruolo materno, "non si è madri solo perché si è partorito".
L'accordo tra i membri di questa strana famiglia, in effetti, è scientifico: è vero che Hatsue sostenta gli altri con il suo denaro, ma come precisa lei stessa "con voi mi sono fatta un'assicurazione, perché non ho nessuna intenzione di morire da sola": quell'assicurazione che Osamu propone di chiamare "polizza antimorte solitaria".
La mdp di Kore-eda riprende tutto da molto vicino, agendo come un microscopio capace di rivelare i singoli dettagli di una realtà davvero sui generis, ma che nonostante tutto non perde completamente il contatto con la tradizione, come rivela il piccolo altare casalingo che Hatsue ha dedicato al marito defunto, che però in una casa come quella è nascosto tra i tantissimi oggetti stipati.
A questo realismo ostentato la mdp rinuncia in pochissimi casi, ma in uno di questi lo fa per trasformarsi in un occhio espressionista: ci mostra dall'alto, in campo lungo, un parcheggio nel quale Osamu e Shota giocano al tonno che caccia un pesce, suggestione che il bambino trae da una fiaba. Anche questa, peraltro, dice molto della famiglia protagonista, poiché nel racconto del tonno che può essere sconfitto da un gruppo compatto di pesciolini, è facile leggere una metafora della forza data dall'unione dei singoli membri di quel gruppo scalcagnato (la fiaba cita Swimmy, libro per bambini scritto e illustrato nel 1963 da Leo Lionni, olandese che si unì al Futurismo su invito di Marinetti. vedi).
In un altro frangente la mdp sceglie un punto di vista insolito: i componenti della famiglia sono seduti sul bordo dell'engawa, quello spazio liminale tra l'interno e l'esterno delle case nipponiche, con una tettoia, ma privo di parete, ad osservare i fuochi d'artificio; il regista, e noi con lui, li osserva dal cielo, da dove quei fuochi stanno colorando la notte, ma nulla di quello spettacolo verrà ripreso dalla cinepresa, che si ostina ad inquadrare quei sei personaggi, come ha fatto per tutta la pellicola.
N.B. Proprio mentre scrivo questa recensione, apprendo che il 15 settembre, dopo una lunga malattia, è morta Kirin Kiki, la splendida Hatsue di questo film, che tra i tanti ruoli della sua carriera, iniziata nel 1970, aveva lavorato con Kore-eda nei suoi film più recenti: in Father and son (2013), in Little sister (2015), e anche in Ritratto di famiglia con tempesta (2016).
In Un affare di famiglia osservatela mentre mangia un'arancia davanti all'assistente sociale, succhiandone anche la buccia, ma continuando a fissare l'uomo davanti a sé, o mentre in spiaggia si cosparge le gambe di sabbia... non la dimenticherete.
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