giovedì 23 giugno 2016

Una vita difficile (Risi 1961)

Uno dei tanti bellissimi film di Dino Risi incentrato su una vicenda che attraversa la storia d'Italia dei quindici anni che vanno dalla fine della Seconda guerra mondiale al 1961, anno in cui la pellicola viene girata e che ormai vedevano un'Italia in ripresa e in pieno boom economico. 
Una commedia perfettamente riuscita, dura e profondamente critica nei confronti della società e della politica italiana dell'epoca, in un momento di massima ispirazione per Dino Risi, che l'anno dopo vedrà uscire forse il suo più celebrato capolavoro, Il sorpasso...
Il film si apre con un'immagine che il cinema italiano non ha mostrato spesso, un inconsueto Alberto Sordi con la barba. È Silvio Magnozzi, giovane giornalista della resistenza, che scappa dalla tipografia in cui stanno stampando "La Scintilla", per l'arrivo dei tedeschi.
In poche battute sappiamo così in che momento storico siamo e da che parte è il protagonista, che cerca rifugio nell'albergo del Leon d'oro, dove la figlia della padrona, Elena (Lea Massari), lo aiuta portandolo al sicuro in un vecchio mulino, nonostante le riserve della madre che lo consegnerebbe ai nazisti per non avere grattacapi.
Il luogo in cui  è ambientato l'inizio del film è un po' meno intuitivo: è chiaro che siamo in Lombardia, ma che il paesino sia Lenno - mai nominato -, lo rivela un'inquadratura in cui vediamo Silvio, in fuga, passare di fianco al battistero romanico dedicato a San Giovanni della cittadina lombarda.
Silvio ed Elena naturalmente si innamorano, ma la guerra e gli ideali, e soprattutto una certa paura del nodo matrimoniale (qui Sordi torna sé stesso!), spingono Silvio a fuggire senza dir nulla alla ragazza e a tornare con i compagni della Resistenza, a cui dirà di essere stato curato da una "vecchia". Le strade dei due si incroceranno alcuni anni dopo, quando il giornale per cui Silvio lavora a Roma, lo invia insieme al collega Franco (Franco Fabrizi) proprio sulla stessa riva del Lago di Como, per cercare il tesoro di Dongo, sequestrato a Mussolini dopo l'arresto...
Risi gioca con il tempo e lo fa con grande maestria: un esempio su tutti i tre mesi in cui Elena e Silvio vivono nascosti nel mulino, che nella pellicola passano in un attimo, segnato però da un'ellissi da film comico dell'era del muto: sopra il letto c'è un prosciutto di cui, dopo la dissolvenza, è rimasto solo l'osso! 
Ma sono tante le trovate, le sequenze divertenti, ben girate e perfettamente scritte (soggetto e sceneggiatura sono di Rodolfo Sonego). Una è quella già citata, in cui Sordi torna il personaggio di sempre, quando Elena gli rivela che in quel letto nel mulino i suoi nonni ci hanno dormito per 40 anni, e lui prorompe in un incredulo "quarant'anni? Sempre insieme?"; Elena, che al ritorno di Silvio, ha già la valigia pronta per Roma, nonostante si sia fidanzata con un ricco proprietario terriero della zona; Silvio che la porta nella sua casa romana, una stamberga che si apre con un calcio asinino (esilarante!).
Naturalmente i personaggi attraversano i momenti più importanti della storia d'Italia, e non solo, di quegli anni: l'armistizio, il referendum monarchia-repubblica, l'attentato a Palmiro Togliatti, la morte di Stalin. Silvio, impiegato ne "Il lavoratore", giornale finanziato dal movimento operaio, non si vuole arrendere al conformismo sociale che impera: si sposa con Elena in Campidoglio ed è significativo che quando lei rimane incinta le dica che ci sono paesi nel nord Europa in cui le donne possono scegliere di non avere figli (argomento che in Italia sembra essere ancora oggi un tabù, come dimostra il recente Sbagliate). 
Risi, però, non si fa sfuggire uno dei tradizionali tormentoni della comicità italiana e così il rapporto tra Silvio e la suocera Amalia (Lina Volonghi) è foriero di altri momenti da commedia: i due sono in netto contrasto, ma spesso Silvio è costretto a cedere, come nel goffo tentativo di laurearsi in architettura, carriera che non gli interessa affatto, ma che gli assicurerebbe un posto di lavoro a Cantù Cermenate ("ma come, io vivo a Roma e vado a vivere a Cantù Cermenate?"). La sua rivincita arriverà solo il giorno del funerale di Amalia, durante il quale si presenterà con una fiammante automobile, simbolo di una posizione sociale ormai raggiunta, e il cui clacson naturalmente suona come quello più famoso della storia del cinema italiano, che Gassman suona a ripetizione proprio ne Il sorpasso (Risi 1962). 
Il massimo sogno di Silvio, però, rimane quello di pubblicare un romanzo autobiografico - intitolato Una vita difficile - che, dopo aver fallito con l'editoria, prova a riciclare come soggetto cinematografico in una sequenza che costituisce l'occasione per i cameo di Vittorio Gassman, Silvana Mangano e Alessandro Blasetti, che interpretano se stessi e allontanano Silvio, ormai noto in tutta Cinecittà come uno scocciatore patentato. 
Funziona in maniera esemplare anche la colonna sonora, i cui brani sono spesso a tema con quello che avviene sullo schermo. Così, quando Silvio, tornato sul Lago di Como, telefona ad Elena, sentiamo Perduto amore (In cerca di te); e nel corso del film altri pezzi italiani come Tulipan, Dove sta Zazà, Vola colomba, Resta cu mme, Maruzzella, Piove, ma anche classici stranieri, tra cui Lili Marlene, immancabile in contesti di Seconda guerra mondiale, e capolavori come In the mood, Besame mucho, Brazil, Only you.

Due sequenze, però, meritano un'analisi più approfondita, poiché testimoniano meglio delle altre la valenza sociale e politica del film.
La prima è quella del 1946, sera in cui i risultati del referendum del 2 e 3 giugno sanciscono la nascita della Repubblica. Silvio ed Elena stanno passando la serata da un ristorante ad un altro in cerca di qualcuno che li faccia cenare a credito  - uno dei ristoratori, Giovanni, ha la voce di Ferruccio Amendola! - ma, dopo essere stati allontanati da diversi locali, incontrano il marchese Capperoni, un vecchio amico di famiglia di Elena che li porta a casa dell'anziana principessa Rustichelli. Qui, oltre a scoprire di essere stati ammessi solo per evitare di essere in tredici a tavola, si rendono conto di essere gli unici repubblicani tra monarchici in fibrillazione per le votazioni e per la sorte del re (la principessa se ne preoccupa come se fosse un parente!). E rimarranno davvero soli dopo le notizie della radio che hanno fatto alzare gli altri commensali, mentre loro continuano a mangiare e a festeggiare,  complice anche uno dei camerieri, felice di riempirgli i bicchieri per il doveroso brindisi sulle note dell'inno nazionale.
Il sogno dell'uguaglianza sociale che i ceti meno abbienti identificano con la Repubblica, però, tramonterà presto, poiché i poteri forti, quello politico, quello industriale, quello nobiliare e quello religioso, troveranno il modo di fare quadrato anche con la nuova forma di governo, come dimostra l'ultima splendida e amara sequenza, ambientata nella villa del commendator Bracci. Qui, tra gli invitati, ci sono anche quelli che tutti credevano sconfitti dopo il referendum: uno di questi è il principe che sedeva a tavola a casa Rustichelli, mentre un cardinale è addirittura l'ospite d'onore. Non c'è più posto per chi ha partecipato alla Resistenza, ed è indicativo come Silvio, che in passato non si era "venduto" a Bracci, pur accettando di farlo per riabilitare la sua posizione agli occhi di Elena, non riesca a rimanere fedele al padrone di fronte alle umiliazioni come invece sa fare Franco, servile e privo di spina dorsale, ma perfetto per far soldi e carriera nel nuovo sistema...
Silvio, invece, mantiene ancora una volta la sua dignità, d'altronde già in precedenza, con una delle battute migliori del film, ci aveva tenuto a precisare che la sua vita difficile non è una vita sfortunata: "non è vero che sono sfortunato, io non ho mai cercato la fortuna!"

Nessun commento:

Posta un commento