Eppure alla fine, Un film fatto per Bene, presentato all'82ª Mostra del cinema di Venezia, diventa altro, un F for Fake (Welles 1973) che fonde realtà a finzione che si avvicina a L'uomo che uccise don Chisciotte (Gilliam 2018), raccontando splendidamente un fallimento. E non c'è dubbio, è una pellicola riuscita, poiché diverte e fa riflettere, ripercorrendo le tappe del cammino artistico di Maresco, avvolgendo lo spettatore nella magia di chi sa andare totalmente fuori dai binari, tra grottesco, ossessività e citazionismo.
Il titolo, apparentemente in contrasto con tutto questo, ha in quel Bene maiuscolo la chiave del gioco di senso: Carmelo Bene amava Cinico TV, programma televisivo cult a cavallo tra anni '80 e '90 di Daniele Ciprì e Franco Maresco, che definiva "calcio in culo al linguaggio", ed è proprio lui che aveva l'idea di un film su san Giuseppe da Copertino.
Il regista palermitano recupera quel progetto e mette in scena la storia del santo ignorante, che nella prima metà del Seicento dalla Puglia arrivò nelle Marche, si fece francescano e subì persino due processi del Sant'Uffizio per abuso di credulità popolare, lui frate privo di istruzione celebrato per miracoli, guarigioni, estasi e levitazioni.
Naturalmente la parte dedicata al santo è solo una porzione del montaggio, che alterna queste scene in un bellissimo bianco e nero - identitario del cinema di Maresco, qui fotografato da Alessandro Abate - alle parti di documentario (non sempre reale) sulla sua vita, alternati alle interviste su quest'ultimo progetto da parte di Umberto Cantone, amico del regista e co-sceneggiatore del film.
Rivediamo momenti di Interno notte, la trasmissione che a fine anni '80 andava in onda sull'emittente palermitana TVM (Tele Video Market), dove nacque proprio Cinico TV, che poi passò su RaiTre grazie a Enrico Ghezzi.
Il ventennale binomio con Daniele Ciprì che si interruppe nel 2008, dopo aver concepito un cinema rigoroso e indimenticabile con opere come Lo zio di Brooklyn (1995), Il ritorno di Cagliostro (2003), ma soprattutto Totò che visse due volte (1998), censurato, proibito nei cinema, colpito dai benpensanti e dal moralismo, considerato vilipendio alla religione e condannato per volgarità, blasfemia, offesa al buon costume. Nel film sentiamo persino Franco Zeffirelli, intervistato sul tema allora, pronunciarsi duramente contro il film. Proprio grazie a Totò che visse due volte, peraltro, in Italia venne finalmente cancellata la legge sulla censura totale (anche per gli adulti) con un disegno di legge voluto da Walter Veltroni.
E poi venne l'attività "da solista" di Franco Maresco, con due film-documentario che hanno lasciato il segno come Belluscone - Una storia siciliana (2014) e La mafia non è più quella di una volta (2019).
Ma Carmelo Bene in questo nuovo film? Carmelo Bene c'è, e non solo nell'idea originaria, ma anche grazie a un attore che, nella finzione della finzione, viene scelto da Maresco per interpretarlo, e poi nel tubo catodico. Se nel primo caso, in una tavolata degna di un Bunuel aggiornato sul grottesco palermitano, la cosa migliore è un merlo che in gabbia canta Franco Califano (La musica è finita), nel secondo davanti alla tv in cui vediamo recitare il grande attore salentino, il regista piazza alcuni incolti, che addestra a non pensare: "siete il minimo sindacale del pensiero... voi dovete depensare!" Siamo davvero a un passo da quello che era Cinico Tv, e lo stesso vale per un presentatore in abito bianco sulla terra brulla in cui viene inscenata la vicenda di Giuseppe da Copertino (Bernardo Greco), o per il tassista di fiducia di Maresco, il signor Conticelli che, mentre parla, alterna le frasi a versi di preghiere che le chiudono in maniera ossessivo compulsiva ("Gloria a Dio", "Gloria al Signore", ecc.), gli stessi disturbi che fanno temere al regista l'invasione degli ultracorpi o ripetere il rituale semestrale del taglio di capelli sempre nella stessa stanza d'albergo di Palermo.
I momenti più esilaranti, però, restano quelli di Giuseppe da Copertino, e inevitabilmente si pensa a cosa sarebbe stato il film se fosse stato girato completamente su quel tema. Giuseppe, che perlopiù si accompagna al suo asino, Carmelo, partecipa alla processione di santa Rosalia, durante la quale il catafalco con la statua della santa viene portato da bisognosi, storpi e pellegrini malmessi, che tanto ricordano gli omologhi che seguivano Zenone/Enrico Maria Salerno ne L'Armata Brancaleone (Monicelli 1958). Il futuro santo, poi, nelle sue estasi mistiche, si lascia andare a radiocronache del Palermo in cui imita Sandro Ciotti, e ha qualche problema tecnico durante una levitazione, che finisce in una fragorosa caduta dall'alto, girata in soggettiva, un po' come il tentato suicidio di Alex in Arancia meccanica (Kubrick 1971).
Rezza e Bernardo Greco nell'esilarante omaggio a Bergman |
Oltre Pasolini, le parti in b/n, dato il tema, non possono non far pensare a Francesco, giullare di Dio (Rossellini 1950) e c'è spazio anche per le visioni mistico-estatiche trattate in maniera felliniana.
La fotografia di Alessandro Abate ci regala persino cieli incombenti che al crepuscolo ricordano quelli di John Ford, mentre il nichilismo di Maresco trova sfogo in un una lunga carrellata sulle tombe di un cimitero, durante la quale la sua voce parla di Carmelo Bene, di misantropia, di opposizione alla tecnologia, il tutto chiosato da un eloquente "nulla ha senso". L'odio per un certo di tipo di televisione poi, si scaglia contro Marzullo, uno che "in un paese normale venderebbe pop corn".
La musica infine fa parte del citazionismo del film, che passa dal jazz - Maresco è un grande studioso di storia del jazz - con brani come Sing, Sing, Sing di Benny Goodman (per i cinefili indissolubilmente legato a Woody Allen, usato ad esempio per Misterioso omicidio a Manhattan, 1993 e Harry a pezzi, 1997), alla celeberrima Matthaeus Passion che in una sala cinematografica, con il bianco e nero e la tematica religiosa, per quanto irriverente, non può non far pensare al Vangelo secondo Matteo (Pasolini, 1964).
Daniele Ciprì non resse al nichilismo di Maresco, Andrea Occhipinti è stato decisamente a rischio di non produrre più il film. Non ci sono grossi dubbi sulla difficoltà di un personaggio come Franco Maresco, ma ce ne fossero tanti altri di film come questo!
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