venerdì 13 giugno 2025

La trama fenicia (Anderson 2025)

Wes Anderson è sempre di più Wes Anderson!
La trama fenicia è decisamente un film d'autore nel senso pieno del termine, poiché basta un solo fotogramma per riconoscerne la paternità e, come accade quasi sempre con il regista di Houston, alcune immagini meriterebbero di essere incorniciate e di stare appese come dei quadri.
Per chi scrive, l'immagine del bagno piastrellato e perfettamente asettico, kubrickiano - ma ormai potremmo anche dire andersoniano - su cui appaiono i titoli di testa, è già da considerare un capolavoro a sé stante: una vasca con il protagonista che legge e mangia sdraiato in acqua, mentre delle infermiere-assistenti, abbigliate in total white con tanto di cuffiette, lo servono e lo curano dopo l'ennesimo disastro aereo (trailer). Lì intorno gli altri sanitari svolgono altre funzioni, come il bidet che fa da ghiacciaia per lo champagne, mentre su un mobile va il giradischi.
Anderson crea un altro dei suoi mondi surreali, in cui le cose avvengono come in un fumetto, con personaggi che compiono azioni straordinarie, come cadere con gli aerei senza morire, e in ambienti simmetricamente perfetti: il caos in Wes Anderson torna sempre all'ordine di una mdp che riprende il mondo in prospettiva centrale. Poetica e forma, nel suo cinema, sono un tutt'uno.
E i personaggi sono gli unici elementi che possono mettere in crisi questa perfezione, come nella splendida inquadratura con il fratellastro del protagonista, lo zio Nubar (Benedict Cumberbatch) seduto di lato sul suo divano.
Stavolta è il 1950 e Anatole "Zsa Zsa" Korda (Benicio del Toro) - ispirato all'armeno-britannico Calouste Sarkis Gulbenkian (1869-1965) - è un grosso magnate che fa paura a interi stati e la sua vita è in costante pericolo: subisce attentati aerei continui, da cui esce pressoché illeso e col fare un po' stanco dell'eroe invincibile, che si scrolla di dosso un po' di polvere e passa oltre con un semplice "pfui". 
E poco importa se quella polvere è rappresentata da qualche organo uscito dal corpo che tiene in mano come se fosse la pipa per un lord d'altri tempi.
Persino Inghilterra e Stati Uniti lo temono, in riunioni internazionali iconizzate in grosse tavole rotonde che rimandano a scene degne de Il dottor Stranamore (Kubrick 1964) e attorno alle quali la mdp gira... e gira ancora.
La primogenita di Korda è la novizia suor Liesl (Mia Threapleton), a cui il magnate vuole lasciare la guida del suo impero, ma per farlo deve convincerla a non prendere i voti. Gli altri nove figli maschi, invece, ancora piccoli, sono anonimi nella trama del film e fanno da riempitivo scenografico. 
Quando li cita, poi, l'elenco dei nomi fa istintivamente pensare alla sequenza del capofamiglia proletario de Il senso della vita dei Monty Python (Jones 1983). E che i Python siano nell'immaginario di Wes Anderson non ci sono dubbi (es. The French Dispatch, 2021).
Nei tanti disastri aerei, Korda perde anche il precettore di casa, per i tanti figli e utile anche a lui, in un ennesimo dettaglio che lo apparenta ai grandi signori del passato. Quello che lo sostituisce è Bjorn Lund (Michael Cera) che, fatalmente, si innamorerà di Liesl.
Nei vari viaggi, Zsa Zsa Korda, per ottenere i fondi del suo ambizioso progetto - non è così rilevante di che progetto si tratti, basti pensare che uno dei commerci più importanti del suo impero è quello dei rivetti! - incontrerà il principe Farouk (Riz Ahmed), con cui giocherà le proprie chance sfidando a basket Leland (Tom Hanks) e Reagan (Bryan Cranston), in una situazione di completa ed esilarante surrealtà nonsense; Marseille Bob (Mathieu Amalric), Marty (Jeffrey Wright), la cugina Hilda (Scarlett Johansson) e, infine, il fratellastro Nubar che Zsa Zsa considera non umano, ma biblico. 
Le ambientazioni degli incontri, che si aprono sempre con l'offerta di una bomba a mano (perché no?!), sono sempre diverse, quadri di videogiochi, come il traforo per una galleria ferroviaria in costruzione, il deserto, un cantiere edile, la giungla, una ricca residenza, ma nella scenografia tornano anche aerei, treni, navi, ecc.
Korda in uno di questi incontri d'affari, si ritrova anche nel bel mezzo di un attacco terroristico, che non guasta a confondere le acque di uno spettatore sempre più disorientato, se ancorato alla trama. Tra l'altro, durante l'assalto subito nel suo night club degno di Casablanca (Curtiz 1942), Marseille Bob trova il modo di lamentarsi, senza scomporsi troppo, per i danni procurati ai soffitti. 
E, a proposito di surrealismo, qua e là, in bianco e nero, vediamo i sogni del protagonista, che si ritrova in cielo, tra le nuvole, sotto processo, difeso dal suo avvocato (Willem Dafoe), al cospetto di Dio (sotto il copioso trucco c'è Bill Murray seduto su un trono gotico e sotto un'abside romanica), ma anche delle mogli, alla principale delle quali (Charlotte Gainsbourg) porta in sacrificio un cervo dal cui ventre escono monete d'oro. 
Di cosa parla il film? Che scelga lo spettatore, a Wes Anderson e a chi scrive interessa relativamente: è una spy-story, un road-movie, una storia sulla ricchezza, sul rapporto padre-figlia, su un progetto ambizioso? Vanno bene tutti e nessuno, in fondo l'essenza della pellicola è nella sua stessa struttura ipertrofica, geometrica, divertente, dissacrante e artistica.
Zsa Zsa in aereo legge, e legge saggi sul Rinascimento, come Important patrons of the High Renaissance, con Giulio II della Rovere in copertina, o sulle armi antiche, Armour e armours
Il suo gusto anticheggiante si rispecchia nella sua residenza, caratterizzata da ambienti enormi, mostre di porte e camini in marmo istoriato, degni dei saloni monumentali del quattrocentesco palazzo Venezia, anche se le fonti dichiarate sono la cinquecentesca Villa Farnesina e il settecentesco Marmorpalais di Potsdam (e gran parte del film è girato nello Studio Babelsberg della cittadina tedesca, quello in cui fu girato Metropolis, Lang 1927, tra gli altri). 
Anche il balconcino interno alla sala, una sorta di cantoria rinascimentale anch'essa, è decorato con trafori polilobati e la sua unica funzione è proprio quella di mostrare i nove figli di Korda quando vengono nominati. Il marmo, poi, è l'elemento distintivo anche della razionalissima sala da bagno del protagonista, dove la vasca è un blocco scolpito nello Yorkshire, e che con quei grandi anelli, anch'essi scolpiti, tanto ricorda ancora il '400 romano e le vasche antiche (forse provenienti dalle Terme di Caracalla) che allora vennero poste davanti a palazzo Venezia e che poi finirono in Piazza Farnese, dove sono tuttora.
Zsa Zsa è una sorta di Charles Foster Kane di Quarto Potere (Welles 1941) in versione imprenditoriale, che entra di diritto tra i grandi ricchi della storia del cinema. Spietato e convinto assertore della schiavitù, è ovviamente anche un collezionista rapace, come in effetti fu anche Calouste Gulbenkian, dalla cui raccolta è nato l'omonimo museo di Lisbona (link). 
Cosicché, nella rutilante e curatissima scenografia di Adam Stockhausen e Anna Pinnock, vediamo tante opere d'arte: polittici, tele, statue, corami, ecc. 
Liesl circondata di opere d'arte
In un'inquadratura con Liesl al tavolo, ne vediamo vari tutti insieme accatastati: Korda tiene sul tavolo un teschio da Esercizi Spirituali di sant'Ignazio da Loyola, pronto alla bisogna, e sullo sfondo un rilievo incorniciato, una Venere in marmo, dei ritratti olandesi, La lotta dei cani di Juriaen Jacobsz (1678, Amburgo, Kunsthalle).
Proprio su un camino c'è L'equatore di Magritte (Berlino, Staatliche Museen, 1942). Alcune di queste opere vengono citate nei titoli di coda, con tanto di collocazione museale. Sono veri e propri crediti, poiché si tratta di opere prestate dagli istituti che li detengono appositamente per il film, una rarità che negli ultimi anni era accaduta, per esempio, con La migliore offerta (Tornatore 2013). Tra questi, oltre ai dipinti di Jacobsz e di Magritte, entrambi in Germania, ci sono altre opere scelte in luoghi vicini a Potsdam, dove il film appunto è stato girato, come la Natura morta per colazione di Floris Gerritsz van Schooten (Amburgo, Kunsthalle) e il Bambino seduto (Edmond Renoir) in abito blu di Renoir (1889), appartenuto a Greta Garbo e oggi al Musée Bonnard di Le Cannet, in Provenza.
Un'inquadratura con il dipinto di Renoir
Tra le opere riprodotte, invece, ci sono anche un busto di Socrate (quello dei Musei Capitolini?) o la famosa tela di Paolo e Francesca di Ary Scheffer (Londra, Wallace Collection, 1835), mentre in una scena il maggiordomo trasporta un dipinto cubista (Braque, Picasso?) e uno surrealista (André Masson?). 
Ma non sempre è tutto così chiaro... mai fidarsi di Wes Anderson, che per Grand Budapest Hotel (2014) fece realizzare un Klimt e per il cortometraggio La meravigliosa storia di Henry Sugar (2023) un Kandinsky.
Stavolta tocca a una tela di Rubens, Gli amori di centauri, conservata proprio al Museo Gulbenkian. Di questa, a cui vengono riservate diverse inquadrature, tra cui una in solitaria, gli scenografi hanno fatto realizzare una copia di taglio verticale (l'originale è orizzontale) eliminando la seconda coppia di centauri in secondo piano (v. oltre).
Un'inquadratura con il dipinto di van Schooten
Tante le frasi di una sceneggiatura scoppiettante grazie a personaggi dissacranti, scritta dallo stesso regista. Su tutti ovviamente quelle di Korda, che a Liesl prima riporta le parole del padre, "Se qualcosa ti ostacola, travolgilo. Questo il consiglio di mio padre prima di diseredarmi", e poi, quando si sente spiata, le dice seraficamente: "non si chiama 'spiare' se si è genitori, ma avere cura".
La fotografia di Mario Delbonnel e la musica scelta da Alexandre Desplat - tanto Stravinskij, ma anche Bach e Ravel, tra gli altri - completano il pacchetto di perfezione della consueta factory andersoniana.
Il dipinto di Magritte in scena con attori e regista
Il finale è la morale di una fiaba edificante, tutto da vedere, anche perché in netto contrasto con il resto della storia e quindi disordinato, confuso e improvvisamente caldo: una scena che sa di bambocciata seicentesca, ma che resta comunque andersonianamente irrealistica.
Fare una critica a Wes Anderson perché nelle sue immagini c'è poco realismo e naturalismo, così come meravigliarsi di una narrazione tenuta in secondo piano rispetto alla messa in scena, significa non conoscere il suo cinema o meglio, aspettarsi che se lanciassimo una penna in aria, questa non ritornasse a terra... che poi è proprio quello che succede nei suoi film!




Le principali opere d'arte nel film


Rubens, Amori di centauri, 1635, Lisbona, Coll. Gulbenkian
Juraen Jacobsz, Lotta tra cani, 1678, Amburgo, Kunsthalle

Floris Gerritsz van Schooten, Natura morta per colazione,
XVII sec., Amburgo, Kunsthalle
P.A. Renoir, Ritratto di Edmond in abito
blu
, 1889, Le Cannet, Musée Bonnard









René Magritte, L'equatore, 1942, Berlino, Staatliche Museen












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