Azzeccata e significativa la scelta di affidare il ruolo di Goliarda Sapienza a Valeria Golino, che ha appena girato L'arte della gioia (2024), e avere come protagonista un'ottima attrice come lei, così pienamente immersa nell'immaginario della scrittrice, è una gran fortuna per il film di Martone, che poi trova anche in Matilda De Angelis, nei panni di Roberta, un'interprete validissima e, da bolognese, sorprendente anche per il suo perfetto romanesco. Meno determinante nella storia il ruolo di Barbara, in cui comunque Elodie non sfigura.
Goliarda e le più giovani Roberta e Barbara sono state compagne di prigione nel 1980 a Rebibbia e il loro legame è rimasto molto forte anche oggi che sono fuori, come recita il titolo.
Ognuna di loro è stata in galera per motivi diversi: la prima ha rubato dei gioielli, poi rivelatisi essere di bigiotteria, in un salotto buono della città; la seconda è un'habituée che entra ed esce di prigione da anni e ha quattro processi che pendono sulla sua testa; la terza invece non vuole più rientrarci e ha persino aperto una gioielleria grazie al compagno che invece è ancora dietro le sbarre.
Dopo quell'esperienza, il rapporto di sorellanza tra di loro si è cementato, nonostante i differenti approcci alla vita.
Goliarda vive nel suo mondo, tra scrittura, pensieri e relazioni umane, mentre la ricerca di un lavoro da ultracinquantenne ed ex detenuta appare sempre più complessa. Il manoscritto de L'arte della gioia, confinato in un cassone insieme a lettere e altre carte della sua vita, affiora nella storia, soprattutto perché ritenuto lungo e troppo tradizionale. L'unica eccezione è il parere dell'attore Angelo Pellegrino, il marito di Goliarda, che infatti nel 1998 riuscirà a farlo pubblicare a sue spese, a oltre vent'anni dalla sua redazione e a due dalla morte della scrittrice.
In carcere Goliarda è gentile con tutte, tranne con chi l'aggredisce immotivatamente, e ha un siparietto anche con quella che tutte chiamano "la Sensitiva" e che lei vede - con la consueta propensione verso gli altri unita all'altrettanto caratterizzante visione malinconica - come una Marylin che è riuscita ad invecchiare.
È difficile spiegarlo, ma nel suo idealismo di vita vissuta considera quel luogo una "università", un luogo di conoscenza, in cui bisogna andare per imparare tanto sull'umanità. Ed è quello che proverà a spiegare, senza troppo successo, anni dopo, nel 1983, al cospetto di Enzo Biagi, in una televisione per nulla pronta ad ascoltare una descrizione del carcere come luogo d'amicizia e delle carcerate come elegia della fantasia e del desiderio (vedi). Per Goliarda, lo dice a chiare lettere al marito, "con loro a Rebibbia era una libertà pazzesca" e quel senso di libertà lo avverte ancora quando incontra Roberta e Barbara in città, perché in fondo, lo ripete a un Biagi perplesso, "il carcere è come il fuori".
Roberta è sempre un fiume in piena: la vita brucia dentro di lei e passa le giornate dando e prendendo tutto, come se non ci fosse un domani. Si accende quando incontra amici che hanno una macchina con cui girare, ma se non ci sono fa da sola, ne prende una "in prestito" e, fosse per lei, lascerebbe persino un biglietto con i ringraziamenti, ma ha smesso di farlo per non rischiare l'arresto con troppa facilità. In contrasto con la famiglia e con la madre in particolare, che ha sempre preferito i maschi di casa a lei, Roberta interpreta la propria vita come una continua avventura e, anche in carcere, crea finzioni, organizza fughe e nell'ora d'aria legge Il lungo addio (Chandler 1953): le storie di Philp Marlowe sembrano perfette per la sua personalità.
La sua relazione con Goliarda è costantemente ambigua: quella donna per lei è una madre, un'amica, un'amante? Di certo è un punto di riferimento, anche se i loro temperamenti sono distanti: la calma serafica e gli atteggiamenti di Goliarda spesso la fanno infuriare. D'altronde Roberta si infuria anche con Barbara, che fuori dal carcere vorrebbe una vita tranquilla, magari in coppia con il compagno: una vita inconcepibile per Roberta, che vede in questo un tradimento della loro sintonia.
Barbara in prigione era la donna che generava invidia in molte donne: la sua bellezza statuaria ed esotica veniva spesso letta come ostentazione e sfida alle altre meno appariscenti, mentre a lei basta bagnarsi il corpo alla fontana durante l'ora d'aria per attirare gli improperi di Trasteverina (Luisa De Santis).
Varie sequenze restano in mente alla fine del film. L'urlo delle donne in carcere "fuori, fuori", la compagna di cella, detta "James Dean", che una volta uscita canta Sinnò me moro di Gabriella Ferri con chi è ancora dentro, in una sequenza decisamente pasoliniana.
E poi Goliarda che si aggira per la città, che riflette sulle proprie relazioni ("è sempre negli amori per le donne che mi perdo, con gli uomini è più facile") o la sua capacità di estraniarsi dal conflitto. Così, quando Roberta e Barbara si scontrano, lei preferisce entrare in bagno e avvolgersi nella plastica della tenda della doccia (un wrapped in plastic degno di David Lynch e del suo Twin Peaks, che sa di prefigurazione della morte, quando venne trovata senza vita sul pianerottolo di casa).
Anche la successiva doccia delle tre protagoniste, come momento che sugella la loro amicizia, al pari della cena nel retrobottega, dove la fantasia al potere di Goliarda immagina un futuro lontano in cui verranno trovate lì, tutte e tre, come "mummiette" di un'epoca precedente alla guerra nucleare.
Diverse le location romane sfruttate per il film, a partire dal carcere di Rebibbia, in parte ricostruito in studio e in parte utilizzato davvero, come nel caso dell'ingresso e del cortile; per proseguire con piazza Euclide, uno dei centri focali del quartiere Parioli, che vediamo più volte, perché luogo di incontro per Goliarda e Roberta, che lì si danno spesso appuntamento in un bar. Sull'edificio più rilevante della piazza, la basilica del Sacro Cuore Immacolato di Maria progettata da Armando Brasini a partire dal 1923, anche la sceneggiatura spende una battuta pronunciata con il piglio istintivo e tutto romano di Roberta: "ma quanto è brutta sta chiesa?"
E proprio ai Parioli visse Goliarda Sapienza, in via Denza, come dice nel film a un tassista. In quello stesso appartamento Martone è riuscito a girare alcune sequenze, con la dichiarata emozione di Valeria Golino, che lì era già entrata quando da ragazza conobbe davvero la scrittrice, partecipando alle riprese di Storia d’amore di Citto Maselli (1986), il regista che con Goliarda era stato diciotto anni.
Oltre a una "location fantasma" citata solo dalla sceneggiatura, che colloca il negozio di Barbara in via dell'Acqua Bullicante 251, anche se non vediamo esterni di quella zona del Prenestino, tra gli altri luoghi facilmente riconoscibili ci sono anche piazza del Popolo, dove le due donne siedono in un altro bar, lo storico Caffè Canova, al civico 16, una vera e propria istituzione romana, ma anche la stazione Termini, riportata all'inizio degli anni '80 dalla scenografia che ripropone i grandi orologi del tempo, i tabelloni e i cartelli di allora, ma non fa nulla per coprire i percorsi tattili per ciechi sulle banchine, che al tempo erano di là da venire.
Della stazione, tra l'altro, Martone ci regala anche alcune inquadrature belissime, fotografiche, che immortalano le ombre e le luci in un'alternanza di pieni e vuoti delle arcate in travertino, che tanto ricordano l'arte di De Chirico.
Proprio all'interno di Termini, nella finzione, l'ennesimo bar frequentato da Goliarda e Roberta è invece un altro famosissimo locale, a Roma dal 1955: la pasticceria siciliana Dagnino, in realtà situata nella Galleria Esedra, a poche centinaia di metri di distanza dalla stazione.
La struttura del locale, su due livelli, si adatta perfettamente al ruolo di un bar dove è possibile consumare qualcosa guardando dall'alto i tabelloni orari e le persone che si affrettano nel corridoio centrale della stazione, ma che invece è quello della galleria a un passo da piazza della Repubblica.
E infine Porta Maggiore, altro luogo inconfondibile della città, non solo per il grande accesso delle mura aureliane, ma anche per lo snodo viario che da decenni rappresenta, e che nel film si arricchisce di una scritta visibile proprio sulle mura che dividono la piazza dal quartiere di San Lorenzo, che rapisce lo sguardo di Roberta, poiché sembra riassumere in una frase la sua filosofia di vita: "le ore del nostro presente sono già leggenda".
E Martone rende la leggenda splendidamente vintage quando fa ballare Goliarda e il marito Angelo sulle note della meravigliosa In a sentimental mood di Duke Ellington, che poi accompagnano le tre donne in auto, capelli al vento, fino al mare di Fregene e Maccarese... poesia pura.
💕
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