Sean Baker ribalta l'idea del principe azzurro che "salva" la sex worker in una commedia politicamente scorretta che diverte e mantiene il ritmo alto per tutta la sua durata (2h30' che volano).
Anora è un bel film, ma inevitabilmente su quest'opera peseranno i cinque Oscar appena vinti, un numero che sembra davvero eccessivo (leggi ICSB sulla notte degli Oscar). La cosa più buffa è che li abbia presi Sean Baker e mai Quentin Tarantino, a cui la pellicola deve quasi tutto, come d'altronde dichiarato dallo stesso regista durante la cerimonia di premiazione al Dolby Theatre al cospetto del genio di Knoxville, che, è il caso di ricordarlo, ha vinto due soli Oscar come sceneggiatore in collaborazione con Roger Avary per Pulp Fiction e per Django (trailer).
E senza Tarantino Anora non sarebbe esistito perché forse non ci sarebbe stata la protagonista, la brava Mikey Madison (in C'era una volta a... Hollywood, 2019, era una delle ragazze di Charles Manson), ma anche perché una serie di situazioni assurde e surreali vengono direttamente dal suo cinema. Un omaggio, poi, Baker lo inserisce anche in sceneggiatura, facendo dire alla stessa Anora, quando le viene chiesto il significato del suo nome, che in America non si bada a certe cose, con la stessa rassegnazione con cui in Pulp Fiction Butch/Bruce Willis diceva a Esmeralda Villalobos, che gli aveva fatto la stessa domanda, "i nomi americani non vogliono dire un cazzo!" E allo stesso tempo, accordandosi sulla parte economica, tra i due si ripete anche un celebre scambio di battute che in Pretty Woman si rimpallavano Richard Gere e Julia Roberts: "avrei accettato per duemila", "sarei arrivato a quattro.
Anora, per tutti Ani, lavora all'Headquarters di New York come intrattenitrice di clienti, che vengono eccitati a pagamento dalle ragazze che ballano e ancheggiano eroticamente davanti a loro, per poi decidere se andare oltre o meno nei privé. Con uno di loro, Ivan, per gli amici Vanya (Mark Ėjdel'štejn), Ani trova un accordo a quindicimila dollari al giorno per frequentarsi anche fuori dal locale: il ragazzo è bello (ricorda Timothy Chalamet), è straricco (è il figlio delll'oligarca Nikolaj Zakharov) ed è russo, lingua che parla anche lei, poiché sua nonna era arrivata in America da lì.
Tra i due si genera una chimica entusiasmante che li porta a vedersi sempre più spesso, anche se per gli amici di lui, Anora resta la sensualissima escort che fa sesso con Ivan. Eppure a Las Vegas quasi per gioco - o meglio per dispetto ai genitori di Ivan che vorrebbero torni in Russia per lavorare - i ragazzi si sposano in un'anonima White Chapel, immancabilmente illuminata da luci ad anello per i selfie (gli ormai famosi Ring Light).
La libertà, che Vanya ha ostentato fino a quel momento, svanirà in men che non si dica, poiché il golden boy sarà braccato prima da Toros (Karen Karagulian), uomo di fiducia del padre, accompagnato da una coppia di scagnozzi, Gaṙnik (Vače Tovmasyan) e Igor (Jurij Borisov), e poi dall'intervento dei genitori.
Obiettivo dichiarato, ovviamente, l'annullamento di un matrimonio che rischia di mettere a rischio il patrimonio di famiglia, dando forma e sostanza all'anatema della collega invidiosa di turno, Diamond che, al momento dell'annuncio di Anora, le augura al massimo due settimane di felicità coniugale. E la profezia dell'antagonista - che accorpa il ruolo delle sorellastre di Cenerentola - rientra perfettamente nel canovaccio fiabesco del film, seppur ribaltato.
La trama, anche grazie a un montaggio serrato e davvero funzionale al film, è esplosiva e divertente e si dipana in un susseguirsi di sequenze che danno il meglio di sé nell'assurdità di situazioni che si aggrovigliano sempre di più complicando le cose, di fatto, a tutti i personaggi.
Ivan è il ragazzino viziato che gioca a fare l'adulto, ma solo finché gli adulti non arrivano davvero; Toros è una sorta di padrino a cui i genitori lo hanno affidato e che si ritrova per l'ennesima volta a doverlo tirare fuori da un guaio, che però stavolta ha evidentemente delle dimensioni maggiori del solito; Garnik è il suo fedele assistente che si porta dietro Igor, un ragazzone dal cuore tenero, l'unico a compiere gesti di gentilezza nei confronti di Anora, di cui si innamora ma dalla quale è profondamente disprezzato (arriva a dargli del gopnik, la tipica offesa russa per i membri delle classi sociali più basse); i genitori di Ivan hanno atteggiamenti differenti e, mentre la mamma è inviperata e sconvolta, il padre (Aleksej Serebrjakov) prova commiserazione per il figlio e trova sempre più divertente il piglio con cui Anora, squarciato il velo fiabesco del principe azzurro, tiene testa a sua moglie, Galina (Dar'ja Ekamasova).
La regia è buona, la mdp non si limita a riprendere i fatti e talvolta assume, tramite il fish eye usato per deformare gli spazi, un ruolo espressionista finalizzato a empatizzare con i personaggi catapultati in circostanze incredibili.
La fine dell'idillio tra Anora e Ivan, che tornato a casa passa le giornate tra sesso, droghe, videogiochi e sigaretta elettronica, segna l'inizio del frullatore narrativo in cui la pellicola assume i caratteri da incubo per i protagonisti e del divertimento per lo spettatore. La concitazione di Toros e dei suoi uomini, messi in moto dai genitori di Ivan dalla Russia, infuriati per l'ennesima marachella del figlio tecnicamente negli Stati Uniti per studiare, è costruita alla perfezione: Toros è un armeno ortodosso e sta partecipando come padrino a un battesimo quando arriva la telefonata che lo mette in allarme tanto da lasciare bambino e invitati nella cappella e partire per sistemare la situazione, novello "Wolf risolvo problemi" in versione impacciata e colpevole.
Nel frattempo Garnik e Igor sono già arrivati nella villa di Ivan, dove hanno provato a gestire una situazione ingestibile, poiché mentre la furia del rampollo Zacharov si è placata al solo sentir nominare i genitori, quella di Anora è aumentata sempre di più: volano calci, pugni, morsi, persino il candelabro a sette braccia (ortodosso e simile alla menorah ebraica) che distrugge un quadro, altri oggetti preziosi vanno in frantumi e il rutilante arredamento da milioni di dollari del salone ne esce letteralmente devastato.
Sembra davvero una scena di un film di Tarantino, con la ragazza in modalità vendicativa, fermata solo con la forza da Igor, tra placcaggi, posizioni ambigue e il filo del telefono usato come corda per legarla. Questo è lo scenario che Toros si ritrova davanti agli occhi al suo arrivo. Anora si vede togliere l'anello che le ha dato Ivan e urla rape (stupro), sperando che qualcuno accorra... e quell'anello avrà un importante ruolo nella trama. È, se vogliamo, l'orologio di Christopher Walken in Pulp Fiction o l'accendino de L'altro uomo di Hitchcock, un oggetto dispositivo che starebbe bene nel bellissimo libro di Antonio Costa (La mela di Cézanne e l'accendino di Hitchcock, Torino 2014).
Nel frattempo Garnik e Igor sono già arrivati nella villa di Ivan, dove hanno provato a gestire una situazione ingestibile, poiché mentre la furia del rampollo Zacharov si è placata al solo sentir nominare i genitori, quella di Anora è aumentata sempre di più: volano calci, pugni, morsi, persino il candelabro a sette braccia (ortodosso e simile alla menorah ebraica) che distrugge un quadro, altri oggetti preziosi vanno in frantumi e il rutilante arredamento da milioni di dollari del salone ne esce letteralmente devastato.
Sembra davvero una scena di un film di Tarantino, con la ragazza in modalità vendicativa, fermata solo con la forza da Igor, tra placcaggi, posizioni ambigue e il filo del telefono usato come corda per legarla. Questo è lo scenario che Toros si ritrova davanti agli occhi al suo arrivo. Anora si vede togliere l'anello che le ha dato Ivan e urla rape (stupro), sperando che qualcuno accorra... e quell'anello avrà un importante ruolo nella trama. È, se vogliamo, l'orologio di Christopher Walken in Pulp Fiction o l'accendino de L'altro uomo di Hitchcock, un oggetto dispositivo che starebbe bene nel bellissimo libro di Antonio Costa (La mela di Cézanne e l'accendino di Hitchcock, Torino 2014).
La successiva fuga di Ivan trasforma il film in una corsa contro il tempo notturna, in cui il variegato gruppo composto dai tre uomini e da Anora, ormai sempre più conscia di aver sposato un bambino viziato, vaga per per le vie di New York (Coney Island, Manhattan e ovviamente Brighton Beach, il quartiere russo di Brooklyn), in una sorta di Fuori orario (Scorsese 1985) in salsa tarantiniana. Una salsa che si arricchisce di nuovo, quando Garnik vomita in auto e pulirla velocemente diventa lo stesso problema che in Pulp Fiction avevano John Travolta e Samuel L. Jackson dopo aver spappolato il cervello di una ragazzo con un colpo di pistola.
La colonna sonora, che Sean Baker ha dichiarato di aver scelto un po' a caso, ascoltando la radio in macchina con la moglie, inanella brani un po' vintage come Greatest Day (Take That 2008, ma qui nel remix di Robin Schulz e Callum Scott) e All the Things She Said (t.A.t.U. 2002), e altri più recenti come Daddy AF di Slayyyter (2019), Sally Walker di Iggy Azalea (2019) o la più romantica Dreaming dei Blondie (2016).
Anora, però, difficilmente resterà in mente nel tempo, se non per la vittoria dei cinque Oscar. La pellicola d'evasione funziona per il tempo della visione, ma non dà molto altro allo spettatore.
Le tante statuette, viene da pensare, gli sono stati assegnate proprio per questo, gli altri film facevano riflettere troppo e ognuno di essi colpiva capisaldi del potere statunitense: Emilia Perez e The Substance il maschilismo, la questione razziale e la società dell'apparire; The Brutalist il sogno americano; Civil war la guerra (e non è nemmeno stato candidato); Io sono ancora qui decisamente troppo politico in un momento come questo. Ma ovviamente la responsabilità non è di Anora, che rimane un buon film, piacevole e divertente, ma del poco coraggio dell'Academy Award... ma non è certo una novità.
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