lunedì 3 marzo 2025

Io sono ancora qui (Salles 2024)

L'Oscar al miglior film straniero racconta una storia poco nota al grande pubblico alle nostre latitudini, dove il concetto dei desaparecidos è soprattutto collegato alla dittatura in Argentina, come è naturale che sia, dati numeri di quel fenomeno. Questo non toglie che la stessa cosa avvenne anche in Brasile, dove la dittatura militare iniziò nell'aprile del 1964, durò fino al marzo del 1985 e colpì i dissenzienti in maniera durissima, bieca e sotterranea, come ogni regime.
La storia raccontata da Walter Salles è quella dell'ingegnere Rubens Paiva (Selton Mello), ex onorevole del governo brasiliano come membro del partito laburista, che provò a opporsi fino alla fine al cosiddetto "regime dei Gorillas", e che, dopo nove mesi lontano dal Brasile, nel 1965 riprese a vivere con la sua numerosa famiglia a Rio de Janeiro, in una bellissima casa a un passo dal mare. La sua scomparsa, il silenzio, l'incertezza spostano la centralità del film su sua moglie, Eunice (Fernanda Torres), e sulla sua grande forza, sulla sua capacità di resistere e di mantenere salda la dignità personale (trailer).
Il film inizia nel 1970, mentre la vita scorre apparentemente facile per i Paiva, nonostante la situazione politica: Eunice gestisce la casa insieme alla governante, Zezé (Pri Helena), i cinque figli, Veroca (Valentina Herszage), Eliana (Luiza Kosovski), Nalù (Bárbara Luz), Beatriz (Cora Mora) e Marcelo (Guilherme Silveira) vivono nell'agiatezza e costantemente in spiaggia. Il piccolo Marcelo trova anche un cagnolino abbandonato e lo porta a casa, dove sarà per tutti Pimpao. Che il film spesso indugi proprio sul più piccolo dei Paiva non è un caso, perché è tratto dal suo libro di memorie Sono ancora qui (2015). 
Oltre Rubens ed Eunice, Veroca, che sta per iniziare l'università, è la più consapevole di ciò che sta succedendo in Brasile, e vive sulla sua pelle lo schieramento di forze dell'ordine e i controlli continui a lei e ad amici, perché portano i capelli lunghi, vestono in maniera stravagante e hanno la colpa di incarnare l'idea del terrorista medio nell'immaginario comune del tempo. Sono giorni difficili, poiché ci sono stati due sequestri di ambasciatori, tedesco e svizzero, e la città è una polveriera. La situazione peggiora e degli sconosciuti arrivano in casa e chiedono a Rubens di seguirli per alcune domande, mentre alcuni di loro restano in casa con Eunice e i figli della coppia per controllare la zona. Anche Eunice e ed Eliana saranno portati altrove per delle domande e incarcerate nell'attesa che possano rivelare dettagli di un'attività segreta contro il regime. Rubens, però, non ha mai detto nulla a casa...
La pellicola di Salles - in passato noto soprattutto per Central do Brasil (1998) e I diari della motocicletta (2004) - è divisa in tre parti: una prima che racconta l'idillio di una famiglia felice, fin troppo priva di nei, una perfezione amplificata dall'incombere della dittatura a un passo; una seconda che racconta il dramma di quel regime, limitandosi agli effetti devastanti all'interno della famiglia; una terza, ambientata nel 1996 e nel 2014, con i Paiva che hanno ormai trovato un nuovo equilibrio a San Paolo. Eunice non ha perso il suo piglio di contestatrice, che però ha cambiato direzione, e così dopo essere tornata all'università ora tiene conferenze contro lo sfruttamento dell'Amazzonia. Sono quelli gli anni in cui il governo dichiara ufficialmente che Rubens è stato ucciso dal regime tra 21 e 22 gennaio 1971 e rilascia ad Eunice l'agognato certificato di morte, una verità che incredibilmente sa di giustizia e in qualche modo dà felicità a lei e ai suoi figli. Nel 2014, invece, la famiglia è riunita, Eunice ormai molto anziana (morirà nel 2018 a 89 anni), ma col sorriso di chi ha fatto davvero tutto per non perderlo mai...
Tante le inquadrature che rubano l'occhio, dai surcadrage di porte e finestre, alle vedute a cannocchiale della grande casa vuota, o a una bellissima ripresa dall'alto della scala interna. 
La mdp si muove all'europea e durante i dialoghi rinuncia sistematicamente all'alternanza di campo e controcampo, privilegiando il movimento orizzontale da un personaggio all'altro; "vive" in soggettiva con i sequestrati, quando vengono incappucciati dai membri in borghese dell'esercito: lo schermo diventa buio e l'angoscia è condivisa con lo spettatore, che sente solo il respiro affannoso del malcapitato di turno.
L'angoscia e il senso di totale insicurezza è continuo e deflagra nel luogo dove avvengono interrogatori e torture. Salles non ci mostra mai nulla, ma il terrore aumenta proprio per quello: si sentono urla in lontananza, si vedono macchie di sangue rappreso sul pavimento, quando un uomo schiaccia con il piede un mozzicone di sigaretta. E così, sono clamorosamente liberatorie, la sequenza della doccia di Eunice quando ritorna a casa: l'acqua non toglie solo lo sporco in quella scena, ma è simbolo di tutto ciò che va eliminato di quell'esperienza, pur nella consapevolezza che non se ne andrà mai.
Tra i momenti che evidenziano l'oppressione del regime e la costante preoccupazione c'è quello durante la festa di Veroca, quando nell'istante di massima gioia, dalla spiaggia, Eunice vede passare una camionetta piena di soldati e il suo volto cambia... Più avanti sarà ancora peggio, quando vedremo un gruppo di soldati cantare durante l'addestramento: il pensiero va subito a Full Metal Jacket (Kubrick 1987), ma qui le parole sono ancora più agghiaccianti ("basta il popolino che si lamenta, manganelli e benzina"). 
La cinefilia si avverte nella passione di Veroca, che non si separa mai dalla sua cinepresa per filmare alcuni dei momenti più importanti della sua vita e che ha il mito di Blow Up (Antonioni 1966). Anche per questo sceglie di andare a studiare sociologia a Londra. Quando invia una bobina a casa per raccontare come sta andando la sua vita nella capitale inglese, il parallelo con il cinema è totale: c'è il video proiettato sullo schermo e la lettera che fa da "sceneggiatura" alle immagini. 
Il parallelo con il processo filmico continua, poiché quella lettera viene letta da Rubens alla prima visione, e poi, quando Marcelo chiede di rivedere tutto dall'inizio, è Eliana a rileggerla, come in un doppiaggio in postproduzione, con una voce e un'interpretazione diversa. Che proprio in quel momento arrivi il suono del campanello che cambierà la vita all'intera famiglia è ancora più significativo.
In quel filmato, peraltro, descrivendo le case a schiera, Veroca cita ancora Blow up di Antonioni, che comunque non è il suo unico resgista di riferimento: a giudicare dai poster in camera, tra i suoi prediletti ci sono anche Hitchcock (Psycho, 1960) e Godard (La Chinoise, 1967).
Londra, inoltre, per Veroca, è soprattutto i Beatles ovviamente, e non può mancare l'iconico attraversamento delle strisce pedonali di Abbey Road, ma che gli anni ormai siano i primi '70 ce lo dimostra anche la passione per i T-Rex, che nel 1972 spopolarono con Children of the Revolution.
La musica contribuisce anche a dare l'idea di una serenità diffusa in casa Paiva, e così, alla festa di addio di Veroca, che poi proseguirà in spiaggia, tutti ballano sulle note di un brano brasiliano, nonostante la festeggiata voglia qualcosa di europeo. Ma anche più avanti una canzone è protagonista: Eliana e Nalù ballano in maniera suadente sulle note del celebre duetto tra Serge Gainsbourg & Jane Birkin, Je t'aime...moi non plus, per decenni simbolo dell'amore sensuale e della libertà sessuale. La sceneggiatura sottolinea lo scarto generazionale e un'amica di Eunice, guardandole, esclama con paternalismo "per fortuna non conoscono il francese". 
La musica rende umani anche i membri dell'esercito che entrano in casa dei protagonisti, uno dei quali si sofferma a guardare degli Lp tra i quali sembra apprezzare un disco di Caetano Veloso e subito dopo la famosissima copertina di In The Court Of The Crimson King dei King Crimson (1969).
E più avanti, nel bagaglio di Veroca, di ritorno dall'Inghilterra, vedremo anche una musicassetta di B.B. King.
Io sono ancora qui, prima dei titoli di coda, ricorda che nessuno dei colpevoli, pur se vivo, è mai stato arrestato per quei crimini. Non resta che ringraziare Marcelo Pavia per aver scritto un libro che raccontasse questa storia, Walter Salles per averlo tradotto in un film quantomai necessario, Fernanda Torres per averci regalato un'interpretazione strabiilante.

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