Mohamed Hamidi e la leggerezza. Il regista algerino racconta una fiaba bucolica con i toni della commedia, sottolineando il valore delle differenze e l'arricchimento che queste possono rappresentare per ciascuno di noi.
Fatah (Fatsah Bouyahmed) è un contadino di un piccolo villaggio algerino che parte per la Francia con la sua mucca di razza tarina Jacqueline, per portarla al salone dell'agricoltura di Parigi. Eccetto il viaggio in nave, il suo obbiettivo è arrivare nella capitale a piedi, un'intenzione che gli permetterà di conoscere diverse realtà francesi (trailer). Farà tappa a Marsiglia, dal cognato Hassan (Jamel Debbouze), sposato con una donna francese di cui in Algeria non sanno nulla; siederà al tavolo di una festa di paese con alcuni sconosciuti che, involontariamente, gli complicheranno la vita; conoscerà il conte spiantato Philippe (Lambert Wilson), che vive in un castello che non può più permettersi. Con lui instaurerà una bella amicizia nonostante la clamorosa differenza sociale e culturale. Dopo le difficoltà diventerà un eroe, grazie anche al fondamentale contributo dei social, che renderanno virale l'immagine di lui e della sua mucca, ma soprattutto la sua frase mantra: "è tutta colpa della pera".
Una trama semplice, che parte dal basso, si sviluppa in varie peripezie - che arrivano persino al carcere - e si conclude nel trionfo del protagonista. Hamidi gira un road movie decisamente atipico, con una mucca co-protagonista (più di lui recentemente ha fatto solo Skolimoski, che con Eo ha messo un asino al centro del suo film).
Fatah è un mito per la sua gente - basti pensare che a scuola i bambini imparano i numeri contando i giorni trascorsi dalla sua partenza -, ma in un attimo tutto cambia e persino sua moglie Naima (Hajar Masdouki) non vuole più parlargli a telefono. La sua vita, in effetti, cambia per colpa della pera, ha accettato di bere quello che pensava fosse analcolico, e rimettere le cose a posto con la sua gente non sarà semplice.
Tanti i momenti divertenti.
Fatah copre gli occhi di Jacqueline quando vede un macellaio trasportare un'intera costa di bovino, convinto che possa farle impressione; canta I will survive in francese con vocalizzi algerini; si spaventa quando vede la testa di un animale impagliato; fotografa ragazze in minigonna e, quando gli viene detto "sembra che non ne hai mai viste", non può che annuire; e anche sull'igiene personale può essere sorprendente: "mi sono lavato tre giorni fa, fino a martedì sto a posto".
Il confronto con Philippe è l'accostamento più stridente, tra due mondi lontani, in cui le distanze sono apparentemente inconciliabili.
Ed è proprio partendo da questa certezza che deriva il terrore di Fatah di essere lasciato dalla moglie, anche se in fondo sembra piuttosto legato alla propria incapacità di essere indipendente ("non so nemmeno dov'è la cucina"). Eppure, la serietà della situazione è subito stemperata dalla lettera per Naima che Philippe gli propone di scrivere insieme, per tentare di ricucire con lei. Fatah trova disdicevole ogni frase romantica, si vergogna, non è nelle sue corde, nella sua cultura non si dicono frasi dolci a una moglie ed è visibilmente imbarazzato dai continui suggerimenti di Philippe ("mia adorata no, lei è mia moglie, troppe smancerie!").
Ancora più definitivo ed esilarante lo scambio sulla depressione, concetto pressoché incomprensibile per il contadino algerino: "anche tu hai la depressione? Qui ce l'hanno tutti la depressione, ma cos'è, una moda?" E alla risposta di Philippe che si sente oppresso dai problemi, la sua reazione è ancora più diretta e senza appello: "I problemi? Allora in Algeria siamo i campioni del mondo della depressione, abbiamo più problemi che abitanti".
Ed è proprio a Philippe che spetta la citazione cinematografica più evocativa del film. Dopo aver ospitato Fatah nel suo castello, una sera gli cita La vacca e il prigioniero (Verneuil 1959), il cui protagonista, interpretato da Louis Fernandel, ha un rapporto con la vacca che gli ricorda quello del suo ospite con Jacqueline. Fatah, peraltro, durante la visione del film, si commuove come se fosse davanti a tutt'altro tipo di pellicola, e se ne va senza troppe spiegazioni ("sono troppo sensibile come arabo").
Philippe è un alieno non solo per Fatah, ma anche per suo cognato, che non può comprendere tutta quella gentilezza nei confronti di un uomo e, di conseguenza, lo ritiene gay. Come se non bastasse, con il suo linguaggio privo di filtri, non solo glielo chiede direttamente, ma aggiunge di aver capito la sua perversione per la calvizie di Fatah.
La vache, questo il titolo originale della pellicola, non è un film indimenticabile, ma è in grado di divertire il suo pubblico e di farlo riflettere, a patto di abbassare i toni critici e accettando anche un po' di macchiettismo che raggiunge il suo culmine quando il protagonista grida "Viva la Francia, viva la Tour Eiffel e Notre Dame".
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