I vari passaggi di titolo, però, non snaturano l'essenza di una pellicola dal sapore retro che ha i toni epici di alcuni grandi film degli anni '70, penso soprattutto a I giorni del cielo (Malick 1978), con tocchi di eroismo western che fanno pensare a Per un pugno di dollari (Leone 1964) e quindi, inevitabilmente, al suo precedente di cui di fatto è il remake, La sfida del samurai (Kurosawa 1961). Che il film rappresenti una storia scritta e sceneggiata nei nostri tempi, lo dimostrano principalmente i personaggi femminili, che hanno un ruolo determinante nella dinamica degli eventi narrati (trailer).
Nel film di Nikolaj Arcel non siamo né negli Stati Uniti né in Giappone, bensì nella Danimarca della metà del Settecento, nella quale il capitano Ludvig Kahlen (Mads Mikkelsen), uomo di umili origini nato da una donna e da un nobile che non lo ha riconosciuto - da cui il bastarden del titolo - chiede alla tesoreria reale di affidargli il terreno brullo della brughiera nello Jutland per coltivarlo e, in caso di riuscita, il riconoscimento di un titolo nobiliare. La richiesta viene accordata da parte dei funzionari solo perché l'impresa viene ritenuta impossibile e perché la sola idea che qualcuno ci stia provando può tenere buono il re.
Oltre gli ostacoli naturali che è costretto ad affrontare, Ludvig si imbatterà nel signorotto del luogo, Frederik de Schinkel (Simon Bennebjerg), un ragazzo che esercita il potere in maniera sadica, con accessi di violenza e d'ira e che si comporta come se la brughiera fosse sua, tra l'indifferenza complice dell'aristocrazia. È innamorato della cugina, figlia del re di Norvegia, Edel Helene (Kristine Kujath Thorp), che invece ha un'evidente simpatia per Ludvig; tratta tutti come sottoposti e considera dei traditori un uomo e una donna che hanno scelto di andare a lavorare per Ludvig.
D'altro canto il capitano deve fronteggiare anche i preconcetti più beceri dettati dall'ignoranza, come il razzismo nei confronti della zingarella Anmai Mus (Melina Hagberg), che per il colore più scuro della sua pelle viene ritenuta una strega da tutti quelli che arrivano in brughiera a lavorare per lui.
Naturalmente, nonostante le difficoltà, Ludvig, che prima di avere fortuna nell'esercito tedesco era un semplice giardiniere, riuscirà a coltivare quel terreno con le patate, conosciute in Germania, l'unico ortaggio che può crescere in certi climi così sfavorevoli per l'agricoltura. Vincere, però, non sempre rappresenta un trionfo, poiché "le cose raramente vanno come immaginiamo"...
La terra promessa è un film epico e allo stesso tempo cupo, elementare nella trama, che ricalca le fiabe e le storie dell'eroe osteggiato in tutti i modi che supera le difficoltà per raggiungere un obiettivo che ai più sembra irraggiungibile, e con una morale tradizionalista e piuttosto scontata sull'amor vincit omnia di virgiliana memoria.
Come detto, però, la novità rispetto ai film dello scorso secolo è l'elemento femminile, qui dominante sin dal titolo del romanzo di Jessen, e che è rappresentato non solo dalla popolana Ann Barbara, ma anche dall'aristocratica Edel Helen e dalla piccola Anmai Mus. Quest'ultima, nonostante la giovane età, ha già una grande autodeterminazione che le permette di allontanarsi dal villaggio zingaro da cui proviene scegliendo di stare nella casa di Ludvig, a cui resterà legata anche quando questo si troverà ad allontanarla a causa della superstizione dei suoi coloni, e infine sceglierà la propria via una volta divenuta adolescente. Edel Helen è la promessa sposa di de Schinkel per volere del padre, che fiuta un matrimonio valido per gli interessi di famiglia, ma è pronto a cambiare idea se la figlia gli proporrà un altro partito altrettanto vantaggioso.
La ragazza dimostra il disprezzo nei confronti del cugino più volte, nonostante l'inevitabile posizione subalterna, ma alla fine la complicità con Ann Barbara sarà quella più liberatoria della storia. Ann Barbara in questo è davvero un'eroina leoniano-tarantiniana, qualcosa a metà tra la Jill McBain di C'era una volta il West (1968) e la Black Mamba di Kill Bill (2003, 2004): per anni stuprata da de Schinkel, fuggita con suo marito, resa vedova dallo stesso signorotto, per anni accumula l'odio nei suoi confronti diventando la più importante alleata di Ludvig, con cui intesserà persino una relazione amorosa.
Ludvig e de Schinkel, invece, risultano i personaggi più piatti e unidimensionali del film, nonostante la solita ottima interpretazione di Mikkelsen. Rappresentano il Bene e il Male senza sfumature, come in un perfetto western: da una parte l'eroe silenzioso e calvinisticamente pieno di fiducia in sé e nel lavoro, l'uomo chiuso in se stesso e incapace di comunicare i propri sentimenti in maniera aperta, ma anacronisticamente liberale e antirazzista; dall'altra il cattivo, insicuro e squilibrato, capace solo di atti di violenza quando contraddetto o frustrato dai successi altrui, eccitato dalle torture inflitte, che rappresentano l'unico modo di affermare se stesso, peraltro convinto che "Dio è caos... la vita è caos", ma da una posizione di assoluto privilegio. Anche Ludvig subirà le sue angherie e le sue torture, proprio come il Sanjuro/Toshiro Mifune di Kurosawa e il Joe/Clint Eastwood di Leone nei due film gemelli già citati.
La regia di Arcel è buona ed è accompagnata da un'ottima fotografia di Rasmus Videbæk, che sfrutta gli immensi paesaggi della brughiera e inquadra scorci luminosi dalle porte della grande casa di campagna in cui vive Ludvig, con dei surcadrage che fanno pensare subito ai grandi western di John Ford, e apre dei fish eye sul cielo plumbeo che incombe in maniera angosciante sulla terra. Le sequenze girate con il solo ausilio delle candele, in stile Barry Lyndon (Kubrick 1975), sono dei piccoli capolavori che rimandano alla pittura fiamminga, alle opere seicentesche di Georges de la Tour e di Gerrit von Honthorst. In un caso specifico, poi, quando Ludvig, Ann Barbara, Anmai Mus e il prete cenano alla luce di un piccolo lume che dà sulla tavola, la citazione de I mangiatori di patate di Van Gogh è fin troppo evidente, anche se i personaggi mangiano solo latte di capra e avena, perché i venti sacchi di patate serviranno per la coltura della brughiera.
Bastarden è un western che si tuffa nel passato, nel cinema di un tempo, con un'epica tradizionale aggiornata sul femminismo attuale, proprio come accadeva, in maniera ancora più dirompente e innovativa, nel bel film di Viggo Mortensen uscito lo stesso anno, The dead don't hurt.





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