Yorgos Lanthimos, con questo remake del sud-coreano Save the Green Planet! (Jang Joon-hwan 2003), si conferma il regista più splendidamente "malato" degli ultimi anni regalandoci ancora una volta una distopia verosimile e calata nel presente in una società in cui la follia di alcuni può determinare l'incubo di molti.
Bastano pochi fotogrammi, come per i grandi autori, per capire che siamo di fronte a un'opera del regista greco, che racconta l'ennesima storia claustrofobica in grado di attanagliare lo spettatore, che però stavolta alla fine viene premiato con un twist che lo fa ridere tanto, trasformando un thriller/horror violento e oppressivo in un film comico e surreale (trailer).
In Bugonia la claustrofobia, che tanto caratterizza altre pellicole di Lanthimos (si pensi alla casa di Dogtooth, 2009; o all'albergo-istituto per single di The Lobster, 2015), è immediata e suggerita sin dalle prime immagini che mostrano le api allevate nelle loro arnie da Teddy Gatz (Jesse Plemons) e da suo cugino Don (Aidan Delbis).
I due vivono confinati in una grande casa di campagna in Georgia, nella piccola contea di Fayette, socialmente ed economicamente dominata dalla multinazionale farmaceutica Auxolith, il cui amministratore delegato è Michelle Fuller (Emma Stone).
Il montaggio alternato iniziale mostra tutta la differenza delle vite dei protagonisti: da una parte la disordinata casa dei cugini, trasandati, sporchi, sudati, dall'altra la perfetta e scintillante villa hi-tec di Michelle, bella, ben vestita, inappuntabile. Tutti si allenano, loro in maniera scomposta in cucina, lei con tanto di personal trainer nella propria palestra privata.
La villa della donna manager, peraltro, è ripresa dal tipico fish-eye espressionista e disturbante di Lanthimos, che spesso gli è servito a deformare la realtà - ad es. La favorita (2018) e Povere creature (2024) - e che qui ce la mostra, di fatto, nell'ottica di Teddy e Don, complottisti che vedono nemici ovunque e che la considerano un'aliena.
I due, infatti, decidono di rapirla (indossando maschere col volto di Jennifer Aniston) e di torturarla per salvare l'umanità ("vogliono farci diventare come le api"). In realtà il progetto è di Teddy, che ha sua madre (Alicia Silverstone) in ospedale in stato vegetativo, cosa di cui incolpa l'azienda di Fuller, per la quale lavora anche lui nel settore delle spedizioni, mentre il cugino lo segue ciecamente, complice gli evidenti ritardi cognitivi. Il tutto, poi, dovrà avvenire di lì a quattro giorni, l'unità temporale della pellicola, scandita da sipari che precisano il conto alla rovescia, che termina con l'eclisse lunare che, come da tradizione antipositivista, è il momento più indicato per un cataclisma planetario. L'arcaica fiducia nell'astrologia, poi, fa il paio con la considerazione degli studi di Michelle, laureata in chimica e psicologia, e quindi per Teddy una perfetta indottrinata dell'università, istituzione da lui considerata un sistema di truffa che maschera la vera realtà.L'obiettivo è che grazie al sacrificio di Michelle la società inverta la direzione distruttiva che ha intrapreso e in qualche modo "rinasca". Ed è qui il riferimento classico del titolo del film, che rimanda all'episodio delle Georgiche di Virgilio (IV, 528-558), con protagonista il pastore e apicoltore Aristeo, che sacrifica due tori affinché dalle loro carcasse possano rinascere le api, secondo quel fenomeno di generazione spontanea della vita, creduto reale fino al XVII secolo, chiamato appunto bugonia.
Tra le immagini più belle dell'intero film c'è senza dubbio quella in bianco e nero, a metà tra realtà e pensiero di Teddy, che ricorda (immagina?) la madre fluttuare in aria, mentre Michelle prova a spiegare quanto è accaduto con i medicinali sperimentali somministrati alla donna. L'immagine, straziante e allo stesso tempo spaventosa, lo ritrae come un bambino inespressivo che tiene i fili di ideali palloncini, attonito come la bimba del celebre murale di Banksy (Balloon Girl, Londra 2002), anche se lui tiene stretto e non lascia andare quei fili, a cui invcce dei palloncini è legato il corpo della madre.
Teddy è l'ennesimo personaggio mentalmente fragile e in grado di compiere azioni folli del cinema di Yorgos Lanthimos, e la sua vittima non può che comportarsi come una donna condannata per stregoneria diversi secoli fa. Assecondare la follia del suo carceriere, come accadeva ad esempio anche a James Caan/Paul Sheldon con Kathy Bates/Annie Wilkes in Misery non deve morire (Reiner 1990), è l'unica possibilità che sembra avere Michelle.
Ed è questa continua sfida psicologica che genera l'acme della prova attoriale di Jesse Plemons, che vive il dramma della sofferenza per la madre e i continui cambi di umore in base al confronto con la sua vittima e, soprattutto, di Emma Stone, che dapprima rivendica la propria libertà da lucida manager consapevole di avere un ruolo cruciale in quella società, per poi passare a interpretare l'andromediana calata nella realtà parallela che Teddy ha costruito nella sua mente per lei.
La sceneggiatura fornisce ai cinefili diverse citazioni. Viene ovviamente nominato Matrix (Wachowski 1999), forse il film più importante dell'ultimo quarto di secolo su un futuro distopico in cui la realtà in cui l'uomo vive, peraltro schiavizzato dalle macchine, è fittizia. Non a caso Teddy cita anche la tana del bianconiglio (in inglese semplicemente rabbit hole), che è sì Alice nel paese delle meraviglie e più recentemente un dramma di David Lindsay-Abaire (2005), adattato per il cinema da John Cameron Mitchell (2010), ma è soprattutto una delle più celebri battute del film delle due registe transgender, con cui Morpheus/Laurence Fishburne offre le pillole blu e rossa a Neo/Keanu Reeves per scegliere la dimensione fittizia o quella reale del loro mondo (vedi).
In uno dei momenti di massima furia, infine, Teddy urla a Michelle "Questo non è Morte di un commesso viaggiatore!" in riferimento all'opera di Arthur Miller (1949) che incarna l'ossessione del sogno americano per il successo.
Anche la colonna sonora rientra nella logica citazionista e così, durante le scosse elettriche con cui Michelle viene torturata, lo stereo vintage di casa Gatz manda a tutto volume - come ne Le Iene (vedi) accadeva con Stuck in the middle with you (Stealers Wheel, 1972) - Basket case dei Green Day (1994). Il video di quella canzone era ambientato in un sanatorio mentale e il testo si chiedeva "It all keeps adding up / I think I’m cracking up / Am I just paranoid or am I just stoned?" ("Tutto continua a sommarsi / Penso che sto per esplodere / Sono solo paranoico? / Sono solo fatto?").
Tanti i dettagli assurdi dello sfrenato complottismo di Teddy, che, ritenendo Michelle un'andromediana, le rasa i capelli perché le considera antenne che possono rivelare la sua posizione alla nave madre ("sono come GPS", spiega a Don); la copre di crema antistaminica; e per evitare i suoi possibili blandimenti ha già in precedenza deciso di effettuare la castrazione chimica su di sé e sul cugino.
Michelle per Teddy è colpevole anche di aver causato l'asservimento tecnologico e di rappresentare "il male assoluto delle multinazionali".
Come in tutti suoi film, dall'allegoria dell'ipocrisia borghese di Dogtooth (2009) a Kind of Kindness (2024), dove il primo episodio vedeva protagonista proprio Jesse Plemons, angustiato dagli ordini del suo capo, la critica sociale di Lanthimos arriva forte e chiara anche questa volta. Ed è particolarmente evidente nelle frasi con cui Michelle Fuller punta alla manipolazione psicologica dei dipendenti della propria azienda, che, a suo avviso, devono lavorare il più possibile, ma senza che questo possa essere percepito come una pressione da parte dei capi, bensì per loro scelta. Un intento programmatico che tanto somiglia a quello che realmente si prefissano i dirigenti in molti ambienti in cui la logica del profitto e del denaro è l'unico obiettivo perseguito, nonché l'altare a cui viene sacrificato il benessere lavorativo e la vita stessa del personale.
Nel surreale e comico cinismo di Lanthimos c'è un futuro privo di speranza, in cui il perimetro della realtà non conosce confini, a differenza di quello della Terra piatta…








Non ho visto il film originale, ma Lanthimos (insieme a PT Anderson e Ari Aster) è il più fedele cronista della deriva trumpiana... non sarà il suo miglior film, ma "Bugonia" è un film molto più importante di quello che si pensa.
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