La madre che dà il titolo alla pellicola (Kim Hye-ja) - non sapremo mai il suo nome - è una donna di mezza età che vive in funzione di suo figlio, Do-joon (Won Bin), un ragazzo con disabilità intellettiva, che si accompagna spesso all'amico Jin-tae (Jin Goo), che lei considera un poco di buono.
A confermarglielo un episodio di grande rischio, in cui Do-joon, mentre gioca con un labrador, viene quasi investito da un'auto, e lei, osservando la scena mentre taglia dell'erba secca, si ferisce a una mano. La donna, però, dà la colpa dell'accaduto alla scarsa attenzione di Jin-tae; e la sua mania di controllo, accresciuta e giustificata dallo stato del figlio, non fa che aumentare, diventando ossessiva. È solo una premessa, ma ci dice tanto dell'atteggiamento della madre nei confronti del figlio.
Do-joon viene spesso preso in giro dai compagni anche per i suoi rapporti con l'altro sesso: "non hai mai dormito con una ragazza", gli fanno notare, e colpiscono a segno, poiché in effetti dorme ancora con la madre (e la mdp lo mostra rannicchiarsi in posizione fetale accanto alla donna, accrescendo la disturbante sensazione di legame morboso tra i due).
Tutto questo gli frulla in testa quando si avvicina a una coetanea, Mi-na (Chun Woo-he), alla quale lo chiede esplicitamente. La ragazza poco dopo morirà, ma la mdp non ci dice nulla dell'avvenimento e il resto della pellicola si fonda sul dubbio che Do-joon possa o meno essere l'assassino. Ad aggravare la situazione, una seconda morte, di Moon Ah-jung (Moon Hee-Ra), trovata senza vita su un terrazzo e con i lunghi capelli che penzolano al di qua della ringhiera (un po' Samara di Ringu, Nakata 1998, e The Ring, Verbinski 2002, per intenderci).
Lo spettatore viene così condotto, in una sorta di "labirinto empatico", a cambiare posizione prendendo di volta in volta le parti della donna oppure ritenendo suo figlio un assassino.
Do-joon è il principale indiziato e viene arrestato, la polizia è convinta di aver chiuso il caso, ma sua madre non si arrende e, nell'ansia di gestire tutto, prova anche a placare, senza successo, l'odio delle famiglie ferite nei confronti del figlio, andando persino al funerale di una delle vittime.
Come la donna, anche Jin-tae non crede nella colpevolezza dell'amico ed è convinto sia stato incastrato. Per lui esistono solo tre moventi per un omicidio, denaro, passione e vendetta, e per questo, dopo le scuse ricevute dalla madre di Do-joon, il suo consiglio è lapidario e sembra rivolto anche a noi che guardiamo: "non si fidi di nessuno, nemmeno di me".
Una delle vittime è nota perché vendeva il proprio corpo per un piatto di riso e il suo cellulare, con cui era solita fotografare i propri clienti, diventa un oggetto da trovare a tutti i costi per la madre di Do-joon. E l'incontro di questa con la nonna della ragazza appare profondamente hitchcockiano, anche se qui la vecchina è ancora viva e non un teschio con i vestiti come la mamma di Norman Bates in Psycho (1960). E alle analogie con il capolavoro del maestro del brivido contribuiscono anche le luci e la musica, firmata da Lee Byung-woo.
E, decisamente hitchcockiana, è anche la bellissima sequenza piena di suspence in cui la donna entra con una mazza da golf - e la mente va subito a un altro capolavoro coreano come Ferro tre, Kim-ki duk 2004 - in casa di Jin-tae che dorme con la sua ragazza.
La tensione è altissima e una bottiglia d'acqua inavvertitamente toccata dalla madre di Do-joon inizia a versare liquido sul pavimento: un problema apparentemente secondario che però in una casa orientale diventa determinante, dato che i letti sono dei futon e basta poca acqua per raggiungere una mano fuori dal letto.
La tensione è altissima e una bottiglia d'acqua inavvertitamente toccata dalla madre di Do-joon inizia a versare liquido sul pavimento: un problema apparentemente secondario che però in una casa orientale diventa determinante, dato che i letti sono dei futon e basta poca acqua per raggiungere una mano fuori dal letto.
In tutto questo, oltre all'incontro della donna con un testimone di uno degli omicidi, anche un flashback contribuisce a dipanare la matassa: Do-joon era ancora un bambino e la madre in piena depressione...
La regia non lascia nulla al caso e la mdp è posizionata sempre con estrema cura: si pensi ad esempio alle inquadrature in carcere con il motivo ripetuto degli "specchi infiniti". La camera è chirurgica, così come lo è la fotografia di Hong Kyung-pyo.
Il film di Bong Joon-ho è crudele, colpisce lo spettatore su temi ancestrali come il rapporto madre-figlio e tiene col fiato continuamente sospeso. Conduce per mano e poi abbandona, è capace di dare convinzioni e di smentirle subito dopo, ma soprattutto dimostra quanto la giustizia umana sia fallibile e, per questo, non possa essere davvero giusta. Tutti, anche gli spettatori, potrebbero fare errori, seppur in buona fede, poiché spesso la realtà non è come sembra.
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