venerdì 5 luglio 2024

Marnie (Hitchcock 1964)

Nel 1956, Alfred Hitchcock, dopo le tante bionde protagoniste dei suoi film, su tutte Joan Fontaine e Ingrid Bergman, venne abbandonato da una delle sue attrici più iconiche, forse quella a cui era più legato: Grace Kelly sposò il principe Ranieri e divenne principessa di Monaco rinunciando alla carriera cinematografica. E così sir Alfred dovette mettersi alla ricerca di una nuova attrice-feticcio e la scelta ricadde sulla bella Nathalie Kay Hedren, notata per classe e stile nel 1961, in uno spot televisivo per la bevanda dietetica Sego.
Il maestro del brivido scelse per lei anche il soprannome, mutuandolo dal nomignolo che usava il padre, d'origine svedese: da tupsa (piccola) a "Tippi" il passo fu breve e con questo nome l'attrice interpretò due dei grandi capolavori degli anni Sessanta dell'immensa filmografia del regista britannico, Gli uccelli (1963) e Marnie (1964). A dire il vero, per Marnie Hitch provò ancora a convincere Grace Kelly, ma senza successo e, alla fine, a impersonare Margareth Edgar, la donna cleptomane e fobica protagonista della pellicola, fu proprio Tippi Hedren, ma con l'acconciatura e, soprattutto, lo chignon di Alexandre de Paris, lo stesso parrucchiere di Grace, che mandò sul set la sua collaboratrice Gwendoline (trailer).
Stavolta il regista, per questo thriller psicologico, cedette al fascino del bestseller e scelse di adattare l'omonimo romanzo di Winston Graham (1961), un'eccezione in una carriera in cui il cineasta di Leytonstone ha scientemente scelto solo romanzi poco noti, e spesso di bassa qualità, in modo da poter avere campo libero sull'immaginario dello spettatore. La molla, come dice a François Truffaut nel celebre libro-intervista Il cinema secondo Hitchcock (1966), fu l'idea di un amore feticista, al pari de La donna che visse due volte, lì per una donna scomparsa, qui per una ladra. A desiderare Marnie c'è l'affascinante Mark Rutland, interpretato da Sean Connery, alla sua unica esperienza con Hitchcock, che lo scelse dopo averne visionato il girato del suo primo James Bond, ancora non uscito (Agente 007 Licenza di uccidere, Young 1962).
Il film ruota soprattutto sulla loro relazione, che a tratti si trasforma in un amore obbligato, una partita di scacchi che Mark conduce dall'inizio alla fine, lasciando come unica possibilità di rifiuto a Marnie l'alternativa della prigione. Uno scacco matto in piena regola. Oltre loro due, un altro personaggio fondamentale è la mamma di Marnie, Bernice Edgar (Louise Latham), la donna che ha cresciuto sua figlia da sola, che si è prostituita nell'appartamento in cui vive ancora oggi, in un palazzo di mattoni rossi che dà sul porto di Baltimora, dove i bambini giocano in strada e sul cui sfondo campeggia un'enorme nave, in uno dei fondali più famosi della filmografia di Alfred Hitchcock. 
Tra l'altro, il cognome Edgar è un voluto omaggio a Edgar Allan Poe (e Bernice è un suo racconto) e Hitchcock, in un famoso articolo uscito su Picturegoer nel 1960, dall'eloquente titolo Perché ho paura del buio, ricorda che "è perché mi piacevano così tanto le storie di Edgar Allan Poe, che ho iniziato a fare film di suspense".
Senza Bernice e la sua rigidità non capiremmo gran parte dei disturbi di Marnie, che prova un disagio incredibile quando vede il colore rosso (sia quello dei gladioli o dell'inchiostro che le macchia la camicetta), ha paura di tuoni e lampi, è gelosa di una bambina a cui la madre fa da baby sitter, si vanta di non avere contatti con gli uomini ed è terrorizzata dalla possibilità che sua madre pensi che la sua carriera avanzi solo perché è l'amante del datore di lavoro.
A contrastare la sua freddezza nelle relazioni con gli altri e soprattutto con l'altro sesso, che Marnie ormai concepisce come naturale, c'è invece un amore caldo e dolce per i cavalli, per il suo amato Florio, che dimostrano anche a Mark la possibilità di sbloccare emotivamente la donna di cui si è innamorato.
Hitchcock dedica spazio a questo elemento e qua e là usa il suo tocco inimitabile e tecnicamente curato. Mark e Marnie vanno all'ippodromo e un uomo ha la sensazione di aver già conosciuto quella donna in passato e, per guardarla meglio, da lontano arrotola il giornale a mo' di cannocchiale e la mdp riprende in soggettiva il volto di Marnie racchiusa in un iris per rendere la soggettiva di quell'uomo. 
Marnie, dice ancora il regista inglese a Truffaut, è un film legato "alla coscienza di classe", un amore apparentemente impossibile tra un uomo ricchissimo e una ragazza che viene dal nulla (anche se sa andare a cavallo e non esita a partecipare a una caccia alla volpe): indagare questo nulla significa scoprire traumi e disagi. Dall'altra parte Mark si innamora di lei e della sfida che rappresenta: è probabilmente l'unica donna che non gli si concede (e in questo la scelta di Sean Connery, con la sua fisicità predatoria, è perfetta), cosicché decide di trasformarsi in un investigatore e in uno psicoterapeuta per amore di lei e, dopo averla sposata, accetta persino di non fare sesso con sua moglie per diverse notti, fino ad arrivare allo scontro, in cui anche la comprensione di Mark raggiunge il limite scatenando la reazione più drammatica.
Alla violenza disperata Hitch allude solamente, senza mostrarci nulla, se non la rabbia di Mark che strappa la sottoveste di Marnie (vedi). Noi non vediamo il corpo nudo della donna, ma solo il suo volto impassibile, poi il film corre subito al mattino dopo e alla famosa battuta di Tippi Hedren che, tirata fuori dalla piscina, risponde alla domanda di Mark, "perché non ti sei buttata in mare?", con l'ironia decisamente british del regista: "volevo uccidermi, non ingrassare quei maledetti barracuda" (a sceneggiatura è firmata da Jay Presson Allen). Che poi tutto questo avvenga durante un viaggio di nozze. e che questo sia una crociera su una nave, rende tutto più claustrofobico: l'esterno, noi e Marnie, lo vediamo solo attraverso un oblò, in un'ellissi che dalla sera ci porta subito alla mattina dopo.
Il bacio di Lil a Mark
Marnie, con la sua sessualità repressa, non prova alcun tipo di gelosia nemmeno per la cognata di Sean, Lil (Diane Baker), palesemente innamorata di lui, che arriva persino a baciarlo davanti a lei, senza sortire alcun effetto né in uno né nell'altra. Eppure l'intraprendenza di Lil è positiva per la trama, poiché tra un dispetto e un altro, è lei ad aiutare Mark nelle indagini, anche se il suo personaggio resta poco sviluppato.
Questa indefinitezza non vale solo per Lil e, nel lungo confronto con Hitchcock, un'altra affermazione di Truffaut permette ulteriori riflessioni sul film, quando il critico e regista francese afferma che Marnie "sarebbe più equilibrato se durasse tre ore. Non c'è niente di troppo in questa storia; al contrario, su molti punti si vorrebbe saperne di più".
Leggere oggi che un film di due ore dovrebbe durare molto di più fa riflettere sulla poca libertà di azione di un regista, anche grandissimo, al cospetto dello strapotere delle major, in questo caso la Universal. E Hitchcock, in effetti, ammette di avere condensato le parti del romanzo, in cui Marnie fa sedute dal terapeuta, in una sola sequenza, facendola analizzare dallo stesso Mark. E gli elementi che ci mette a disposizione la scenografia confermano tutto questo. Il personaggio interpretato da Sean Connery in quella sequenza è su una sedia, mentre Marnie è sdraiata (come in una seduta di psicanalisi) e, come se non bastasse, l'uomo possiede una ricca collezione di arte pre-colombiana, proprio come Sigmund Freud.
La foto del dipinto di Cézanne della collezione Berrgruen di Berlino in scena
Come se non bastasse, oltre al fatto che Marnie scherzi con Mark ("tu Freud, io Jane"), in un'inquadratura di quello studio vediamo anche la riproduzione di uno dei dipinti di Cézanne che raffigurano sua moglie, Marie-Hortense Fiquet, per tutti nota come Madame Cézanne. Forse non è un caso, dato che il pittore francese è indissolubilmente legato alla psicanalisi, agli anni della nascita di questa disciplina, lui che parla di sensazioni confuse che accompagnano l'uomo sin dalla nascita, lui che vede nella rappresentazione la riproduzione della realtà invisibile, quella che per Freud è lo specchio della realtà interiore (su Cézanne e Freud è stato scritto anche un libro: Alexander Jasnow, Freud and Cézanne: Psychotherapy as Modern Art, 1993).
Marnie
, di fatto, dopo Io ti salverò (1945), è il secondo grande film psicanalitico di Alfred Hitchcock, ma mentre la pellicola con Ingrid Bergman e Gregory Peck si soffermava molto su certi aspetti, in questo quella componente è decisamente meno approfondita, pur se basilare per comprendere la vicenda. Basti pensare alla fase onirica dei personaggi: se nel film del 1945 il sogno di John-Gregory Peck meritava una sequenza rimasta nella storia del cinema, anche perché scenografata da Salvador Dalì, in Marnie dei sogni che rappresentano le paure di Margaret-Tippi Hedren non vediamo nulla, eccetto in un caso, in cui ci viene mostrata una sorta di sineddoche del sogno, peraltro sulla scena stessa in cui la donna sta dormendo. Marnie parla nel sonno, si lamenta del fatto che qualcuno bussi alla porta, cosicché la mdp si alza dal divano e dietro il vetro della porta vediamo una mano bussare prima che arrivi Mark a tranquillizzare la ragazza.
Questa straordinaria fusione dei due livelli della narrazione crea una voluta e incredibile ambiguità, che verrà risolta solo alla fine del film, quando ascolteremo la madre di Marnie raccontare a Mark i traumi subiti dalla figlia quando era una bambina. Al racconto Hitchcock dedica una sequenza esplicativa, un flashback in bianco e nero, che è la soluzione di un enigma a quel punto già abbastanza chiaro allo spettatore, ma che comunque appare necessario nell'economia della storia. Una curiosità: in quella scena analettica, il marinaio è un giovane Bruce Dern! 
Si è parlato di Io ti salverò, ma in Marnie c'è anche tanto altro Hitchcock del passato e vale la pena citare almeno alcuni casi in cui questo appare evidente. La ragazza ruba sul posto di lavoro e sembra farlo in maniera seriale, spostandosi da Baltimora a Pittsburgh e a Philadelphia, ma una donna che si allontana dall'ufficio con dei soldi, tanto più all'inizio della pellicola, non può non far pensare alla Marion Crane interpretata da Janet Leigh in Psycho, tanto più che il primo nome con cui la sentiamo chiamare è proprio Marion, Holland, anche se subito dopo capiremo che darsi diverse identità è una sua caratteristica. La differenza è che la Marion di Psycho incontrerà Norman Bates nel suo motel, mentre Marion Holland, poi Marnie, incontrerà l'esatto opposto, Mark Rutland.
E poi Marnie, in questa prima scena, è mora (vedi), ma in albergo (dove avviene il consueto cameo di Hitchcock, che esce da una stanza), cambierà anche il colore dei capelli, lavandoli e facendoli tornare biondi... in pochi minuti è già una "donna che visse due volte" e Hitch ha già pronto l'immancabile e ossessivo tema del doppio, solo che mentre Judy/Madeleine-Kim Novak era castana e si tingeva di biondo, lei fa esattamente il contrario. 
Ma non basta, perché la borsa gialla, su cui la mdp indugia parecchio nei primi secondi del film, è uno dei tanti oggetti-feticcio del cinema di Hitchcock: contiene il denaro e, anche se ancora non lo sappiamo, non possiamo staccare gli occhi da quella borsetta, su cui è stato scritto di tutto, avvicinandola persino a una vulva femminile, un'immagine eidetica, che fonde oggetto e idea dando un concetto.
Il close up della scena del bacio
Che ci sia il regista de La donna che visse due volte dietro la mdp, lo capiamo anche davanti a un paio di inquadrature circolari, anche se il primo bacio tra Mark e Marnie, invece, ha poco di quello straordinario e circolare che lì si davano Scottie-James Stewart e Judy-Kim Novak, nulla della sorpresa di quello tra Frances-Grace Kelly e John-Cary Grant in Caccia al ladro (1955), né della celebre durata di quello tra Helen-Ingrid Bergman e Devlin-Cary Grant in Notorious (1946). Qui il bacio ha la passione di Mark e il voyeurismo del cinema hitchcockiano, che si avvicina così tanto con la mdp alle labbra dei due da far sentire allo spettatore tutto il disagio di Marnie e il fastidio di sentirsi un terzo incomodo.
Infine, un altro straordinario Hitchcock touch arriva durante una cena, molto più avanti, quando Mark e Marnie sono già sposati e dove tra gli invitati, la ragazza si ritroverà davanti il vecchio datore di lavoro, quel Sidney Strutt (Martin Gabel) che all'inizio del film era stato derubato da Marion. Ebbene, anche qui l'inizio della festa sembra già di averlo visto altrove: la mdp parte dall'alto dello scalone della grande villa Rutland e lentamente scende verso gli invitati che entrano dalla porta d'ingresso, in una ripresa praticamente identica a quella famosissima di Notorious (1940), solo che stavolta non c'è nessuna chiave da scovare come allora nella mano di Ingrid Bergman.
Il cameo di Hitchcock all'inizio del film
Se questa è una cifra stilistica di Hitchcock, un motivo identitario che torna spesso nella sua filmografia (es. penso allo stesso movimento dal grande al piccolo che la mdp fa per andare a inquadrare il batterista di Giovane e innocente, 1937), non va sottovalutata la grande perizia registica di un maestro formatosi all'epoca del muto e, quindi, la sua incredibile capacità di raccontare per immagini. In tal senso la sequenza più rilevante di Marnie è probabilmente quella del furto.
I capelli di Marnie tornano biondi
La ragazza, assunta da pochi giorni, si nasconde in bagno poco prima dell'orario di chiusura dell'ufficio e, quando sono usciti tutti, va alla cassaforte, dopo aver letto la combinazione, un espediente risolto dal regista con la gag della corta memoria del datore di lavoro che la dimentica sempre e per questo l'ha fatta scrivere all'interno di un cassetto. Ora, questa storia è illuminante per comprendere cos'è la suspence in Hitchcock, poiché da manuale, per creare tensione, c'è bisogno che Margareth rischi mentre mette in atto il suo piano. E quel rischio è dato da un fattore indeterminato e imprevisto, la donna delle pulizie, che inizia il suo turno proprio quando nessun collega di Marnie è ormai più in ufficio.
A questo punto Hitchcock crea, sempre senza l'ausilio delle parole, una sequenza in cui inquadra entrambe le donne indaffarate nei loro rispettivi impegni di quel momento, usando un muro di tramezzo come divisorio naturale che genera sullo schermo uno split screen e, soprattutto, permette allo spettatore di sapere più dei due personaggi cosa stia accadendo (conditio sine qua non della suspence hitchcockiana). Chi guarda soffre ed empatizza con Marnie, ignara che ci sia una persona al di là della parete, ma poi il genio hitchcockiano va oltre: la ragazza, dopo il furto, si accorge della presenza di quella donna e si allontana mettendo le scarpe nelle tasche del cappotto per non far rumore. La mdp allunga i tempi a dismisura, aumentando l'ansia in chi guarda, tornando più volte su quelle tasche e su una scarpa che ad ogni passo scivola fuori sempre di più, fino all'inevitabile caduta sul pavimento... la signora non si accorge di nulla.
Lo spettatore a quel punto capisce, o forse no, per questo il regista fa avvicinare un altro personaggio, un uomo in divisa che parla ad alta voce all'orecchio della donna per salutarla: ora tutti sanno che l'addetta alle pulizie è praticamente sorda e possono tirare un sospiro di sollievo sulle loro poltrone. Il cinema perfetto è servito! 
La mdp entra nell'inconscio, dello spettatore e dei personaggi, ma non lo fa da sola, perché in Marnie a farlo sono anche la fotografia di Robert Burks, al dodicesimo e ultimo film con Hitchcock, che dà il meglio di sé nelle ombre taglienti sulle scale della casa di Bernice o in quelle della scena in cui Marnie si chiude in bagno in ufficio; e poi, soprattutto, la splendida colonna sonora di Bernard Herrmann. Si tratta della sesta realizzata per Hitchcock, per il quale, dopo questa, comporrà solo quella de Il sipario strappato (1966).
La musica in Marnie, sempre extradiegetica, accompagna gli stati d'animo della protagonista e ci porta con lei nell'angoscia, nell'esaltazione, nella paura, ma anche nei momenti più commoventi e in quelli più romantici: gli archi dell'orchestra sinfonica impazzano, così, tra ritmi sincopati, ossessivi e tumultuosi che esprimono i turbamenti psichici di Marnie, ma rallentano al suono dell'arpa quando i momenti si fanno più rasserenanti.
Alfred Hitchcock, Bernard Herrmann, Tippi Hedren, Sean Connery... Marnie a volte viene considerato inspiegabilmente un Hitchcock minore, ma di minore in un film come questo non c'è davvero nulla!

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