domenica 23 febbraio 2014

12 anni schiavo (McQueen 2013)

Il nuovo film di Steve McQueen riprende il tema della carcerazione e dell'ingiustizia e, come in Hunger (2008), pone lo spettatore di fronte ad una storia quasi priva di speranza.
La vicenda inizia con il protagonista (Chiwetel Ejiofor) che vive in una casa padronale come schiavo. Un flashback, però, ci porta subito all'origine della storia, catapultandoci indietro di alcuni anni: città di Saratoga, anno 1841, Solomon Northup è un signore di colore nello stato di New York, dove vive con sua moglie Anne e i figli Margareth e Alonzo; è un uomo rispettato da tutta la comunità, colto e suona persino il violino. Proprio quest'ultimo dettaglio spinge due sedicenti impresari circensi ad ingaggiarlo per uno spettacolo, ma durante il viaggio si ritroverà in catene, trattato come un fuggitivo della Georgia e condotto a Washington come schiavo.
Qui viene imbarcato su una nave, dove con due compagni di sventura trama l'idea di una ribellione ("Non voglio sopravvivere, voglio vivere!"), ma ben presto capirà come funzionano le cose: uno dei suoi nuovi amici viene ucciso a bordo, l'altro lo abbandona al primo porto, dove incontra il suo vecchio padrone.
Il montaggio alterna alcuni momenti della vita precedente di Solomon con quella in schiavitù, in cui viene ribattezzato Platt, nome col quale viene venduto in una mostra di schiavi, in cui il venditore, suggestivamente chiamato Freeman (Paul Giamatti), pubblicizza la sua "merce", elogiandone di volta in volta robustezza, salute e capacità di svolgere lavori più o meno pesanti. La scena, girata in un unico piano sequenza, è forse quella che rende meglio l'idea di cosa potesse essere la tratta degli schiavi alla metà del XIX secolo in alcuni stati americani.
La tappa successiva della vita di Solomon-Platt è nella proprietà di William Ford, padrone che lo rispetta e ne apprezza l'intelligenza al punto di affidargli incarichi di responsabilità e di concetto. Essere il preferito del padrone causa un forte contrasto con Elisah, un'altra schiava che, venduta nella stessa mostra di Platt, è stata separata dai suoi figli. La donna, che per questo piange ininterrottamente, lo accusa di aver perso la dignità e di aver accettato di essere "una bestia per le grandi occasioni".
La fiducia accordata al nuovo schiavo, inoltre, genera l'invidia di Tibeats (Paul Dano, ai più noto come il fratello nichilista della bimba protagonista di Little miss Sunshine), uno degli attendenti di Ford, che decide di farlo impiccare. Salvato da un altro attendente di Ford, più in contrasto con Tibeats che realmente interessato alla libertà di uno schiavo, Platt, appeso con una corda ad un ramo, viene ignorato per un'intera giornata dalla moglie di Ford e dagli altri schiavi che continuano le loro attività come se nulla fosse (l'idea di un negro alla forca è parte del paesaggio per tutti), fino al ritorno di Ford che lo porta in casa. Ormai, però, la situazione è compromessa e Platt rimanendo lì rischierebbe la vita continuamente: Ford preferisce venderlo ad Epps (Michael Fassbender), un altro possidente del sud, ma dal temperamento squilibrato.
Nella nuova piantagione, Platt lavora con tanti altri schiavi e si ritrova a difendere Patsy, una giovanissima ragazza di cui Epps apprezza non solo il lavoro di raccoglitrice di cotone, ma soprattutto le grazie, causando la gelosia della moglie che arriverà persino a colpirla al volto con una bottiglia e a privarla del sapone per lavarsi. Dopo un attacco del "verme del cotone" che comprometterà il raccolto, il "religiosissimo" Epps, che si sentirà colpito da una sorta di piaga biblica, "presterà" i suoi schiavi al giudice Turner, uomo decisamente più liberale, che permetterà a Platt di guadagnare dei soldi suonando il violino per una festa in maschera. Con quei soldi Platt pagherà un uomo per spedire una lettera alle autorità della sua città per poter dimostrare di essere un uomo libero. Naturalmente la sua fiducia sarà mal riposta e il suo segreto (quello di saper scrivere) rivelato a Epps, a sua volta giocato dallo stesso Platt che dimostrerà tutta la sua intelligenza facendo credere al padrone che si tratti di un'invenzione contro di lui.
Un'altra chance, però, gli sarà fornita da Pess (Brad Pitt), un convinto antischiavista che lo aiuterà veramente, riuscendo ad avvertire un suo concittadino. È così che alla fine Solomon, dopo essere stato costretto da Epps a frustare "fino ad aprirle la schiena" la giovane Patsy (in una scena di grandissima tensione emotiva che ricorda la flagellazione del The Passion gibsoniano, pur senza lo stesso autocompiacimento), sarà liberato e si ricongiungerà con la sua famiglia, nonostante la furia e le minacce di Epps, che non tollererà di perdere "qualcosa" che ha comprato. 
Difficile, per chiunque abbia amato Django di Quentin Tarantino, non mettere in parallelo le due pellicole che condividono tematica ed epoca storica: se, però, il film del 2012 concedeva la catarsi, momento fondamentale di tutte le opere tarantiniane, McQueen non va mai incontro allo spettatore, mantenendo un rigore in parte dettato dall'autobiografia di Northup, di cui il film è un adattamento.
Se il realismo della vicenda, però, è garantito dalla veridicità della storia, meno si capisce l'happy end con il sentimentale ritorno a casa, lasciando invece alle sole didascalie finali il resto della vita di Solomon, che dopo la libertà perse le cause contro chi l'aveva rapito, contro Epps e combatté contro la schiavitù. La sensazione è che McQueen, pur se interessato principalmente al periodo di assurda schiavitù patita dal protagonista, che dà il titolo al libro e al film stesso, abbia concesso troppo a Hollywood snaturando in parte se stesso e perdendo parte del suo stile tagliente.
Perfetta la colonna sonora del pluricelebrato Hans Zimmer, epica quanto basta e che ci accompagna senza invadenza per tutta la durata della storia, ricordando talvolta alcune atmosfere degne di Malick, specie quando il regista indugia con primissimi piani dei vermi infestanti sulle piante di cotone.
Bravi, infine, gli attori: sia Ejiofor, che con la sua interpretazione si è guadagnato l'inevitabile nomination della sempre politically correct Academy Awards (anche se almeno due o tre degli altri candidati dovrebbero essere nettamente al di sopra), sia Fassbender, al cui personaggio McQueen dedica tantissima pellicola, sicuramente ben ripagato. Ma concediamoci una piccola provocazione: e se invece che all'attore feticcio del regista, la parte di Epps fosse stata affidata a Brad Pitt che in soli pochi minuti riesce a rubare la scena con una parte fondamentale nella storia ma davvero breve nell'economia del film?

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