mercoledì 8 maggio 2024

Challengers (Guadagnino 2023)

Un triangolo amoroso tra tennis, desiderio, seduzione, ambizione, manipolazione, frustrazione e scalata sociale. Luca Guadagnino è ormai un autore internazionale, e Challengers, produzione Warner Bros, lo dimostra sempre di più: bastano pochi fotogrammi per riconoscere la firma del regista palermitano, che gira benissimo, si avvale della sua estetica pop e tiene lo spettatore incollato alla poltrona con una struttura in crescendo. A questa contribuisce in maniera determinante il montaggio (firmato da Marco Costa) che, all'interno di una gara di tennis in tre set, inserisce i tanti flashback su diversi momenti del passato, dal giorno prima ad anni prima, con molteplici rimandi e riprese che rimontano fino al 2006. Il tutto, naturalmente, dà grande dinamismo a un film glamour leggibile a più livelli e che, tra questi, si apprezza anche per una spiccata cinefilia (trailer).
Se i tre protagonisti, infatti, rimandano all'immarcescibile modello dei triangoli cinematografici, Jules et Jim (Truffaut 1962), e al suo epigono sessualmente più libero, come The Dreamers (Bertolucci 2003), il contesto tennistico pone Challengers all'interno di una lunga tradizione cinematografica, che dati gli aspetti tecnici e le tematiche affrontate fa immediatamente pensare soprattutto a L'altro uomo - Delitto per delitto (Hitchcock 1951) e Match Point (Allen 2005). 
Va detto, però, che l'argomento meriterebbe un approfondimento maggiore, perché il tennis è sport cinematografico per antonomasia ed è in innumerevoli pellicole, solo per citarne qualcun altra basta ricordare Blow up (Antonioni 1966), Io e Annie (Allen 1977), Il giardino dei Finzi Contini (De Sica 1970), oltre ovviamente ai tanti biopic, come i recente, anche se non certo indimenticabili, Borg McEnroe (Metz Pedersen 2017) e Una famiglia vincente - King Richard (Green 2021). Sul rapporto tra cinema e tennis, però, rimando alla letteratura esistente, tra cui Claudio Nobile, Tennis al cinema, Roma, Efesto, 2017.
La mdp di Guadagnino ha un ruolo basilare per la pellicola e lo si capisce sin dalla prima sequenza, in cui la vediamo inquadrare il centro di un campo di tennis e poi, in una bella carrellata in avanti, planare lungo la linea della rete fino alla tribuna, dove in asse troviamo Tashi Duncan (Zendaya), che sta guardando la partita. Da qui in poi, soprattutto in campo, la mdp farà di tutto, dai close up alla Sergio Leone, stretti sugli occhi dei protagonisti, alla nostra soggettiva, con la pallina che arriva contro i nostri volti (rendendo istintivo almeno distogliere lo sguardo per un attimo), fino a delle soggettive irreali e sotterranee che ci mostrano il campo dal basso, come fosse di vetro, il tutto a un ritmo spesso frenetico.
Siamo nel 2019 e Tashi è la compagna di Art Donaldson (Mike Faist), campione di tennis che sta giocando in quel momento. Anche lei è stata una campionessa juniores, ma poi un brutto infortunio al ginocchio l'ha costretta a ritirarsi e ora allena Art, che però non ha il suo carattere né la sua fame di vittoria. I due, negli anni, sono diventati una coppia, si sono sposati e hanno una figlia, la piccola Lily, che in uno dei rari casi in cui compare chiede di vedere il film d'animazione Spider-Verse (2018 e 2023), in una sorta di easter egg che fa pensare a Zendaya e al suo ruolo nei tre Spiderman di Jon Watts (2017, 2019, 2021). Oggi Art e Tashi costituiscono un impero commerciale, come certificano le enormi pubblicità con i loro volti che fiancheggiano un'Aston Martin e la scritta Game Changers (significativo che durante il film vediamo Tashi correggere la bozza di quel manifesto aggiungendo la "s" che altrimenti la escluderebbe). Una curiosità, il titolo è lo stesso del documentario di Louie Psihoyos del 2018, costituito da interviste di diversi atleti che parlavano dei benefici del veganesimo per la loro forma fisica.
A quel torneo, che si svolge a New Rochelle, vicino New York, e che è un semplice challenge utile ad Art per prepararsi in vista di uno slam (uno dei quattro grandi tornei mondiali: US Open, Wimbledon, Roland Garros, Australian Open), arriva a sorpresa anche Patrick Zweig (Josh O’Connor), un tempo anche lui promessa del tennis, ma che si è perso tra gli eccessi e non ha mai scalato le classifiche mondiali.
Art e Patrick sono cresciuti tennisticamente insieme, erano amici sin da bambini e insieme hanno conosciuto anche l'allora diciottenne Tashi, nel torneo juniores degli US Open, ad Atlanta, tredici anni prima, quando loro tre erano i più forti dei rispettivi tabelloni. Quella relazione a tre ha vissuto dei momenti intensi e complicati in tutte le direzioni del triangolo, da allora ad oggi, e dagli sguardi (e dai flashback) appare chiaro che tutto è ancora in gioco... "il tennis", come dice Tashi "è una relazione" e sulla connessione tra tennis, relazioni umane e gioco si fonda l'essenza della soggetto sviluppato nella sceneggiatura del film, entrambi scritti dall'esordiente Justin Kuritzkes (per inciso marito della Celine Song regista del recente Past lives).
In Challengers c'è l'amore, la passione, la difficile scelta tra uno e l'altra, l'amicizia, il tradimento, la voglia di emergere, la sfida, la rivalsa, la vendetta, la paura del fallimento.
Fatalmente, quel piccolo challenge diventerà il punto focale delle tre vite dei protagonisti e altrettanto fatalmente, dopo un po', capiremo che la finale di quel torneo determinerà il futuro di queste tre vite, perennemente intrecciate e perennemente divise. D'altronde il tennis non è uno sport di contatto e quella rete lascia ognuno nel suo individualismo, nel suo campo, tranne in rarissimi casi che vanno fuori dal regolamento, al pari dell'ostentato anticonformismo di Luca Guadagnino...
I tre personaggi hanno caratteristiche differenti. Tashi è una donna di talento e carattere, razionale e passionale al tempo stesso, che ha cercato stabilità ed equilibrio nella famiglia ma che necessita di adrenalina per non vedersi morire dentro. La sua vita è improntata sulla rivalsa, soprattutto sociale (ogni riferimento alle sorelle Williams appare lecito, tanto più che in una scena la vediamo accompagnata dal padre a fargli da manager, proprio come fece Richard Williams con le figlie). Il suo mantra, infatti, è "il mio unico talento è colpire la palla con la racchetta" e grazie a questo si guadagna l'università e il suo successo. Il tennis è la sua droga più potente, ma da quando non lo ha più potuto praticare ha riversato su Art la sua spinta e la sua voglia di vincere. Ora però il suo compagno è in fase calante e la loro storia è in crisi forse anche per questo.
Art è una macchina da tennis, ma per tanti versi è rimasto un bambino e ha trovato in Tashi una compagna, una mamma, un'amica, un punto di riferimento senza il quale la sua vita perderebbe la giusta direzione. Senza il suo consenso sembra non poter riuscire a prendere alcuna decisione. L'ha aspettata per anni, accettandone un'amicizia di facciata, nell'attesa di poter subentrare e, non è certo un caso, che, nel continuo parallelo tra tennis e vita, proprio Patrick gli dica "tu giochi un tennis percentuale: aspetti le mie cazzate".
E in effetti Patrick è l'opposto di Art, non solo nel gioco, lui genio e sregolatezza, Art regolare, ma anche nell'aspetto, lui moro, Art biondo, e nel carattere: Patrick è il tipico bello e dannato, senza regole, ha la sfrontatezza di chi viene da una famiglia agiata, vive solo di adrenalina e mai potrebbe sottostare ai compromessi della coppia. Per lui i rapporti con le donne o sono alla pari, e quindi costantemente a rischio di rottura, o sono semplici avventure da Tinder, l'app che usa per rimorchiare indifferentemente donne e uomini (un dettaglio la sua bisessualità, che Guadagnino ci suggerisce solo attraverso le immagini, facendolo indugiare su alcune foto maschili mentre scorre i vari volti dal catalogo sul cellulare).
Il triangolo viene evidenziato per tutta la durata del film, anche con artifici tecnici - tra cui un fotomontaggio che vede i due atleti in campo e la donna significativamente tra di loro anche se in tribuna -, ma vive il suo momento più importante e più iconico del film nella sequenza in cui i tre, appena conosciutisi, si incontrano nella stanza dei ragazzi. Patrick, il più intraprendente, l'ha invitata per mezzanotte in camera loro in maniera esplicita, con un approccio diretto che non ha convinto Art.
I due ne stanno parlando e ormai sono convinti che Tashi non si presenterà, ma invece arriva e, dopo qualche botta e risposta in cui non esita a chiedere dettagli su come abbiano iniziato a masturbarsi da ragazzini, è lei a prendere l'iniziativa, sorprendendoli, e a baciarli entrambi fino a un bacio a tre da cui dopo poco si defila guardandoli continuare a baciarsi ad occhi chiusi ignari di tutto, per poi andarsene e 
(per modo di dire) lasciarli all'asciutto. In questa scena c'è in nuce già tutto dei tre protagonisti: la capacità di gestire la situazione di Tashi, che sarà sempre quella che sceglierà, magari anche sbagliando, ma il triangolo dipenderà sempre dalle sue scelte; la personalità di Patrick, l'unico che può giocarsela alla pari con Tashi, che le tiene testa, che la intriga, che sa stare sul suo stesso piano e che non ha remore nel parlare di sesso apertamente; dall'altra Art, il più sfiduciato prima, il più sorpreso dopo, pieno di imbarazzo quando Patrick racconta di sesso e di autoerotismo.
Il film è disseminato di marchi di aziende, un elemento che rientra pienamente nelle caratteristiche glamour della pellicola, tanto più che nel mondo del tennis risulta anche realistico. E così è un pullulare di Wilson, Adidas, Nike, Champion, Fila, Uniqlo, ma anche Gatorade, Coca Cola, Camel, Aston Martin, Chanel, Cartier e, ovviamente, la maglietta di Loewe "I told ya" indossata da Zendaya, già diventata un cult. Questo e altri capi sono quelli ideati dallo stilista Jonathan Anderson, amico di Guadagnino, ma non tutti sono griffati (leggi),  alcuni mostrano anche la scritta Stanford, l'università californiana in cui hanno studiato e giocato Art e Tashi. In tal senso Guadagnino gioca anche con marchi fasulli, che aumentano la distanza tra le vite di Tashi e Art e quella di Patrick, i primi due ricchissimi indossano sempre capi firmati, il terzo invece sembra aver dilapidato i soldi di famiglia, la sua carta è a zero, e ora, oltre a dover dormire in auto, a mostrarsi trasandato e ad avere degli evidenti segni di siringhe sulle braccia, in campo veste Impatto, una fantomatica ditta di abbigliamento italiana, in realtà inesistente.
Oltre al product placement, Guadagnino mette anche la sua firma con quello che possiamo definire il body placement, utilizzando i corpi dei tre atleti come macchine sensuali e poi il fruit placement che, oltre alla banana mangiata lentamente da Patrick durante un cambio di campo, prevede anche una cesta di pesche nello spogliatoio, autocitazione che rimanda inequivocabilmente alla sequenza cult di Chiamami col tuo nome (Guadagnino 2017).
Infine la colonna sonora, non certo un aspetto secondario del film, come sempre in Guadagnino, è composta da Trent Reznor (già membro dei Nine Inch Nails) e Atticus Ross. Il sound dell'elettronica con ritmi incalzanti, percussioni, sussurri, la rendono sensuale ed erotica, esplicitando quello che il film spesso può solo suggerire: lo dimostrano sfacciatamente brani come Yeah10, The Signal, in maniera più suadente o persino romantica Final set Lullaby  Tra le musiche non originali, spicca la bellissima e malinconica Pecado di Caetano Veloso, che ascoltiamo nella sequenza in cui Art e Tashi discutono e fanno pace, nonostante il baratro che li divide, in una camera d'albergo.
Il tennis, la ripetitività ossessiva dei suoi gesti, la vita che si fonde con esso, i ritmi sincopati della musica, la regia a scatti per un film parcellizzato da un montaggio che mischia le carte continuamente. Tanto cinema, tra tecnica, scrittura e divertimento: una danza da luna park! 

Nessun commento:

Posta un commento