Leigh Whannell, noto soprattutto come sceneggiatore per aver creato la saga di
Saw insieme a James Wan, stavolta, oltre a scrivere un soggetto che aggiorna un mito dell'
horror classico, passa dietro la mdp per la terza volta. Il risultato è discreto, con ottime punte di tensione e alcune parti meno riuscite; il film, però, che ha un evidente calo nella seconda parte, vive un'ulteriore impennata nel finale, con una serie di colpi di scena avvincenti (
trailer).
Su tutto brilla la stella di Elisabeth Moss, protagonista costantemente in scena, bravissima come sempre dall'inizio alla fine.
La Universal prosegue nel suo progetto Dark Universe, compiendo, per ora, una trilogia che rilegge tre suoi mostri sacri - è il caso di dirlo - anni '30 e, dopo Dracula Untold (Shore 2014) e La mummia (Kurtzman 2017), tocca a L'uomo invisibile. Del romanzo di fine Ottocento di H.G. Wells, infatti, la nuova pellicola non ha pressoché nulla, se non l'idea del grande fisico, qui genio dell'ottica, capace di grandi invenzioni. Non c'è traccia nemmeno dei successivi adattamenti cinematografici, né delle bende di Claude Rains del capolavoro di James Whale (1933). E così, al centro della trama, non ci sono le vicende dello scienziato, bensì quelle della sua compagna, oppressa e vessata da lui, in un pieno adeguamento (strategico?) a tematiche socialmente più attuali.