L'affare Dreyfus è un caso esemplare per raccontare l'ingiustizia fatta storia e, inutili polemiche a parte, il film di Polanski è bello, didattico e necessario, anche perché ogni epoca e ogni latitudine, purtroppo, continuano a conoscere casi simili.
Di pellicole con queste caratteristiche, il maestro di Lodz ne ha girata almeno un'altra, Il pianista (2002): rispetto ad allora, stavolta si mostra più razionale, più freddo, e questo è inevitabile dato il coinvolgimento autobiografico per la tragedia dell'olocausto, ma anche in questo caso, come evidente autocitazione, mostra il suo protagonista suonare il piano mentre tutto sembra crollare intorno a lui.
Ammessa una certa imperturbabilità come unica parziale critica, il film è sostanzialmente perfetto, e per rigore fa pensare al Rossellini de La presa di potere di Luigi XIV (1966) e degli altri film tv storici anni '60-'70. Attori, scenografie, costumi, ambienti proiettano nella Parigi a cavallo tra XIX e XX secolo, che furono teatro dell'assurda vicenda (trailer).