sabato 8 febbraio 2025

La ciociara (De Sica 1960)

Le bombe, il coprifuoco, l'estate del 1943, quella in cui Roma diventa "città aperta" (14 agosto).
Cesira (Sophia Loren), che è sola con sua figlia, Rosetta (Eleonora Brown), decide di tornare al paese per evitare di rimanere nell'occhio del ciclone dei bombardamenti. Il suo viaggio in Ciociaria, dalla dolce serenità iniziale, si trasforma in un inferno che permette riflessioni sulla guerra e sulle ombre che, nel particolare della vita dei singoli, non permettono mai di dividere manicheisticamente tra buoni e cattivi (trailer).
Lo capiamo sin dall'inizio, quando Cesira, che lavora in un negozio (in pieno Trastevere, in via Giulio Cesare Santini, 7), si mostra simpatizzante del regime e dell'idea dell'uomo forte al comando, almeno fino allo scoppio della guerra. È per questo che viene ripresa da Giovanni (Raf Vallone) senza mezzi termini: "A voi donne ve 'mbriaca a tutte co' 'e chiacchiere". Ma soprattutto lo capiremo vedendo le orribili azioni degli alleati, i liberatori, che si comportano come ogni esercito della storia quando entra in un territorio.
Vittorio De Sica gira La ciociara adattando, con la sceneggiatura di Cesare Zavattini, il potente romanzo di Alberto Moravia (1957): la Seconda guerra mondiale è finita da oltre dieci anni, ma il boom economico non ha cancellato i ricordi e le devastazioni di quegli anni.
Sophia Loren vince l'Oscar per una delle sue interpretazioni più veraci, in cui, nonostante i tempi, dà vita a un personaggio di grande forza e indipendenza, una donna capace di dire del marito defunto "io me so' sposata Roma, mica lui"; che dopo aver fatto sesso occasionale con Giovanni, urla "io non ce l'ho i padroni"; che bacia Michele, un giovane ragazzo sideralmente lontano da lei, ma senza alcuna intenzione di andare oltre.
E pensare che l'idea iniziale del produttore Carlo Ponti, che qualche anno dopo, nel 1965, sposerà Sophia Loren, era totalmente diversa: collaborazione con la Paramount, George Cukor alla regia, Anna Magnani come Cesira, Loren come Rosetta.
Le fonti divergono: fu l'attrice romana a rifiutare per non ritrovarsi a recitare nella parte della madre di Sophia Loren, consigliando poi a De Sica di scegliere l'attrice più giovane per quel ruolo? Oppure fu Carlo Ponti a imporre la sua prediletta, oltre a rinunciare alla major statunitense e producendo la pellicola con la Titanus? Comunque sia andata. resta un fatto che Zavattini fece di Cesira una donna molto più giovane che nel romanzo, dov'è una cinquantenne, per adattarla un po' di più ai venticinque anni di Sophia Loren.
La ciociara
 è un film asciutto, implacabile. La mdp di De Sica sottolinea volti, espressioni, luoghi, e i testi, di Moravia in primis, e di Zavattini per il film, colpiscono tutti: fascisti convinti, simpatizzanti, alleati predatori.
Allontanandosi da Roma (la stazione in cui è girata la partenza è quella di Tiburtina), Cesira arriva a Fondi, dove due fascisti, con tanto di fez in testa, vogliono portarla con loro per cucinare al battaglione, e al disappunto di Cesira, persino una vecchia signora le consiglia di andare "so' persone perbene, so' fascisti".
Il pericolo è sempre dietro l'angolo: un aereo a bassa quota spara all'impazzata (sembra la versione bellica della celebre sequenza di Intrigo internazionale di Hitchcock, 1959), in quella che era allora aperta campagna (la location è in via Dormigliosa a Sermoneta).
A Sant'Eufemia (in realtà Saracinesco a est di Roma, sui monti Ruffi), Cesira ritrova un pezzo di famiglia. Lì la guerra viene vissuta da lontano e in molti fanno discorsi concilianti, persino a favore della vittoria dei tedeschi, dato che secondo alcuni con i russi sarebbe peggio ("i russi non i lasciano fare più commercio e la vita senza commercio cos'è?"). Da tutti loro si differenzia Michele (Jean Paul Belmondo), l'unico ad aver studiato, laureato in lettere, durissimo con il regime e con chi parla in questo modo. 
Il suo idealismo ("così te fregheno sempre") non viene compreso nemmeno dai genitori che lo guardano con tenerezza, come si guarda chi non è ancora cresciuto, attraverso gli occhi deformanti del paternalismo. E tutto sommato, nonostante l'evidente simpatia, lo vede così anche Cesira, che non capisce la sua incapacità di pragmatismo e, anzi, lo tratta con superficiale sdegno quando le si dichiara, quasi che l'amore durante la guerra non potesse esistere, perché meno importante. Per lei, lo dice chiaramente, è un sovversivo, cioè "uno de còre bono che nun c'ha voglia de lavora' ". 
La piccola Rosetta, invece, lo adora anche se Michele critica la sua fede, andando a colpire soprattutto gli aspetti sociali della religione: "in Italia uno più c'ha i soldi, più sta coi preti e le monache". 
Da quei momenti in cui, nonostante tutto, si sorride ancora, il ritiro dei nazisti (le truppe in ritirata sono riprese a Itri) porta all'incontro dei personaggi con gli alleati, che sfondano la linea Gustav all'altezza di Montecassino (18 maggio 1944). Paradossalmente è proprio questo l'evento che avvicinerà la guerra anche in quei luoghi così periferici: prima un gruppo di soldati che chiedono di essere scortati proprio da Michele, e poi la terribile sequenza del gruppo di arabi che violentano Cesira e Rosetta all'interno di una chiesa.
C'è però una sequenza fondamentale che mostra chiaramente anche l'arroganza e la follia dei nazisti. Cesira e Michele vanno a casa di un amico che vive con la madre anziana e che hanno come "ospite" a pranzo un ufficiale tedesco. Mentre la donna spiega a Cesira che quell'uomo si presenta in casa per mangiare tutti i sabati, suo figlio e Michele si ritrovano a dialogare con il nazista che pontifica dal suo pulpito, giudicandoli inferiori e trattandoli dall'alto in basso.
La scena di violenza, girata nella chiesa sconsacrata di San Francesco d'Assisi a Fondi, è un pugno nello stomaco: gli uomini inturbantati corrono e saltano gridando attorno alle due donne, come delle iene che accerchiano la preda, accrescendo notevolmente il disagio e il disturbo di chi guarda. Di istinto il tutto è paragonabile ai brani di Arancia meccanica in cui i drughi compiono le loro nefandezze. 
Quella che Moravia narra e che De Sica rende immortale è una di quelle che venivano chiamate - non senza una certa dose di razzismo - "marocchinate", le efferatezze dei cosiddetti goumier, squadre di soldati nordafricani in forza all'esercito francese, che, dopo la vittoria di Montecassino, ebbero cinquanta ore di libertà...
Il momento più iconico dell'intera pellicola è probabilmente quello successivo alla violenza, quando Cesira, fuori dalla chiesa (girato a Cerveteri, via Furbara Sasso), dopo aver tentato di spiegare l'accaduto a un gruppo di soldati alleati, mostra tutta la sua impotenza e si sfoga lanciando una pietra contro la loro camionetta e accasciandosi in ginocchio in lacrime in preda alla disperazione. L'urlo di Cesira "ladri, cornuti, figli di mignotta!" è indimenticabile al pari del "Francesco!" urlato da Anna Magnani in Roma città aperta (Rossellini 1945).
Da mamma, ripete quel "me l'avete rovinata per sempre" in maniera drammatica, tragica, con lo sguardo perso nel vuoto, e nei minuti seguenti ogni volta che Rosetta non è con lei - e quindi fuori dall'inquadratura -, i suoi occhi fanno tremare lo spettatore.
C'è un piccolo spazio anche per il giovane Renato Salvatori, nei panni di Florindo, il camionista che dà un passaggio a Cesira e Rosetta per riportarle verso Roma... la sua voglia di festeggiare e di vivere sembra però l'ennesimo oltraggio alle due donne.
Un gran bel movimento di macchina chiude la pellicola sull'abbraccio tra madre e figlia: la mdp compie un lento carrello all'indietro, fino a uscire dalla stanza, lasciando incorniciata la scena, come se osservata dall'esterno, attraverso un buco nel muro...
Di fatto La ciociara è un film che porta una ventata di femminismo prima del femminismo e in questo senso è un simbolo di quello che sarà. Sono rare le pellicole italiane che in quegli anni hanno ribaltato il punto di vista maschile ma, prima di questo, riesco a pensare solo a Bellissima (Visconti 1951), perché altri capolavori con queste caratteristiche sono successivi (es. Io la conoscevo bene, Pietrangeli 1965, La ragazza con la pistola, Monicelli 1968). Pensando a questo, l'idea di avere Anna Magnani protagonista, come in Bellissima, la dice lunga su ciò che forse De Sica aveva in mente: una grande attrice non certo nota per la sua avvenenza. E chissà cosa sarebbe stato...
La concessione al sex symbol Sophia Loren probabilmente allora creò un corto circuito sulla percezione del film, ma oggi possiamo e dobbiamo leggerlo in maniera più oggettiva, riconoscendo i meriti dell'attrice, ma comprendendo la forza di una pellicola (e di un libro prima) a prescindere dalla sua presenza... un film potente ed epocale, che ha saputo mettere al centro l'autodeterminazione di una donna in tempi in cui non era immaginabile che nella vita reale lo potesse essere.
De Sica, Moravia, Zavattini, senza dimenticare Armando Trovajoli e la sua colonna sonora, dimostrarono allora di essere uomini con la sensibilità necessaria per poterlo fare.

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