sabato 1 febbraio 2025

Here (Zemeckis 2024)

L'unità di spazio non era mai stata così stabile al cinema come in Here...
Una pellicola straordinaria, nel senso etimologico del termine, decisamente fuori dall'ordinario quella di Robert Zemeckis, che inquadra con la mdp fissa lo stesso punto per l'intera durata del film.
Tutto attorno a quel punto, però, gira vorticosamente, ed è il tempo, che va dalla preistoria ai nostri giorni, in una giostra cronologica affascinante che, grazie al montaggio (curato da Jesse Goldsmith), non va mai nella stessa direzione.
Il resto, come sempre nelle pellicole del cineasta di Chicago, è fatto di emozioni, semplici, dirette, in cui è facile identificarsi, cosicché ogni spettatore non può non pensare alla propria storia personale, ai ricordi, alle foto e ai filmini di famiglia, che qui prendono una forma sontuosa, magniloquente forse, ma colpiscono nel segno (trailer). 

Impossibile, quindi, non pensare alla saga di Ritorno al futuro per il grande ruolo ruolo rivestito dal tempo nella narrazione, ma ancor di più a Forrest Gump (Zemeckis 1994), con cui Here condivide non solo le riflessioni filosofiche sui massimi sistemi, ma anche la coppia di interpreti principali, il co-sceneggiatore del regista, Eric Roth, il direttore della fotografia, don Burgess, e l'autore della colonna sonora, Alan Silvestri, i cui brani si accordano perfettamente con le immagini, catturando lo spettatore emotivamente, soprattutto con la title track This is here.  
Il regista adatta la graphic novel di Richard McGuire (2014) che l'autore aveva ideato come breve fumetto nel 1989 e che, già nel 1991, Timothy Masick e Bill Trainor, studenti al Rochester Institute of Technology, avevano trasformato in un cortometraggio (vedi).
Zemeckis, quindi, sceglie come protagonista un luogo più che una persona, cosicché il vero attore portante del film non è tanto uno tra Tom Hanks e Robin Wright, magistrali e incredibilmente trasformati dall'intelligenza artificiale (con la tecnologia “Metaphysic Live”) a seconda dei periodi della loro vita, ma il salotto di una casa costruita nell'anno 1900.
Il secolo breve, però, è solo la parte principale di una storia che nelle premesse inizia dalla preistoria, cosicché in quel piccolo frammento di terra vediamo masse magmatiche, incendi, i dinosauri (omaggio all'amico Spielberg e al suo Jurassic Park, 1993?), la glaciazione, per poi tornare a fiorire e a vedere comparire gli animali, tra cui il colibrì, l'uccello più identitario del luogo, perché diffuso solo nel continente americano. Qua è là, durante il film, si ripetono anche altri momenti, quelli basilari della storia statunitense: i nativi americani, con una coppia di indios che il montaggio alterna con gli analoghi momenti della storia principale; la guerra d'indipendenza, con l'espediente narrativo della ricca casa coloniale lì di fronte, appartenuta a William, il figlio che Benjamin Franklin, uno dei più celebri padri fondatori degli Stati Uniti, ebbe da una relazione extraconiugale. 
A fare da contraltare al passato, una piccola parte odierna, con la casa protagonista abitata da una famiglia afroamericana, negli anni 2000, e poi durante il Covid - con tanto di mascherine -, fino ad oggi, quando stanno per venderla. Non un dettaglio che Zemeckis inserisca questo elemento, quasi a risarcimento storico, per una comunità che nelle fasi precedenti si intravede solo grazie alla presenza di alcuni schiavi nel '700.
Anche l'altro grande vulnus della storia americana ha un richiamo nell'età moderna, attraverso l'inserimento di un paio di sequenze che mostrano un piccolo gruppo di archeologi che ritrovano, nel giardino sul retro della casa, un preziosa collana appartenuta ai nativi (e che abbiamo visto indossare a una donna vissuta secoli prima).
Anno 1900. Carpentieri e muratori costruiscono una nuova casa di 177 metri quadri: quel salone ha una bella e ampia bow window che dà sulla casa che un tempo fu di William Franklin, già allora un pezzo di storia. E quel bovindo all'inizio del film ci fornisce un'introduzione visiva perfetta, perché attraverso le sue tre finestre vediamo passare tre auto di epoche differenti.
Mettendo in ordine le storie, che il montaggio per fortuna alterna anche grazie a momenti simili transtemporali (innamoramenti, nascite, morti), ai primi del Novecento la casa viene acquistata da una giovane coppia in attesa di un bambino, John e Pauline Harter (Gwilym Lee e Michelle Dockery), con lui ingegnere eccitato dalla possibilità di vivere vicino al primo aerodromo (il primo aeroporto degli USA, in effetti, fu quello di Pearson Field a Vancouver, Washington, risalente al 1905).
Negli anni '30-'40, la casa appare riccamente arredata in stile belle époque - con una bellissima lampada stile Tiffany - da un'altra coppia stranamente assortita: lei, sensuale e frizzante, si aggira per casa con un aspirapolvere (oggetto inventato proprio nella Chicago di Zemeckis intorno al 1870), mentre il marito, grassoccio e nerd, inventa una poltrona reclinabile nel 1942.
Dopo di loro è la volta dei Al Young, ventitreenne reduce dalla Seconda guerra mondiale, e Rose (Paul Bettany e Kelly Reilly), che lì cresceranno tre figli, il primo dei quali è Richard (Tom Hanks), seguito da Elizabth e Jimmy. Di loro, sempre grazie al montaggio alternato, che come espediente visivo sfrutta riquadri che si aprono sullo schermo su tempi diversi, come le finestre su un monitor o un tablet, in maniera identica di quello che avviene nella graphic novel di partenza, seguiremo tutto il resto della vita e oltre.
La graphic novel di Richard McGuire (2014) 
Richard sarà il bambino rumoroso che suona la batteria in quella sala; poi adolescente, negli anni '60, quando inizia a frequentare - e porta a casa - la compagna di scuola Margaret (Robin Wright); quindi marito della stessa ragazza e poi padre della piccola Vanessa, che la madre partorisce proprio sul tappeto del salotto che è nella nostra inquadratura stabile. La casa resta protagonista, perché nonostante le richieste di Margaret, lei e Richard non riusciranno mai a lasciarla e si ritroveranno, di fatto, a viverci per sempre con i genitori di lui: è lei a inglobare tutti, in maniera un po' vorace, nell'incapacità di Richard di affrancarsi dal luogo e dalle persone, anche a causa di una sorta di ossessione per le tasse da pagare e dal rischio di non farcela coi propri mezzi. A tal proposito viene citata la pressione fiscale voluta da Lyndon Johnson dopo il 1968, con la guerra in Vietnam da sostenere, con Richard terrorizzato dai mutui al 9% di tasso. 
Here (Masick e Trainor 1991)
Di Richard e Margareth, pertanto, seguiamo l'amore iniziale, i litigi, le frustrazioni, le beghe di lavoro, le separazioni, l'affetto che resta ma si trasforma, fino alla senescenza, alle malattie, che attaccano anche la memoria, elemento fondamentale per una storia come questa, e la cui perdita non può che atterrire per la capacità di strappare le radici di una persona. Le frustrazioni lavorative dei padri e delle madri delle due generazioni a confronto sembrano riproporsi con le dovute differenze: Jimmy si ritrova a lavorare per una ditta di aspirapolveri, così come il figlio, con aspirazioni da pittore, è impiegato per una società di assicurazioni; Elizabeth, casalinga nonostante avrebbe voluto lavorare come contabile, e Margaret che sì, lavora, ma con la spada di Damocle di una famiglia da dover gestire quasi completamente da sola, tanto più nello spazio in cui vivono anche i suoceri.
Il disagio di una vita in cui ci si sente prigionieri, sedato nell'alcol o che sconfina nella malattia della generazione precedente, diventa depressione, necessità di un life coach e indipendenza ritrovata in quella successiva. Le parole sulla differenza della relazioni di coppia sono chiare, nella metafora del passaggio del matrimonio da una dittatura a una democrazia.
Zemeckis è un maestro nell'associare momenti e immagini e, come già detto, lo fa con episodi importanti nella vita di chiunque in ogni epoca, ma poi ci dà anche altre possibilità in cui nutrire quello che possiamo definire il piacere della visione. 
In uno di questi casi, il montaggio passa dalla fine del '700, dove i neri sono schiavi dei nobili al tempo di Franklin, alla famiglia di afroamericani dei nostri anni, e dalla finestra vediamo un camion di una ditta di traslochi con un nome decisamente evocativo per la storia americana: Mayflower. È, ovviamente, un riferimento alla nave che il 16 settembre 1620 salpò da Plymouth in Inghilterra, e raggiunse Cape Code, oggi in Massachusetts, il 19 novembre, portando in America i padri pellegrini, quei 102 passeggeri che fondarono la prima comunità del puritanesimo nordamericano.
Anche le televisioni che si alternano nel tempo sulla parete a destra dell'inquadratura segnano le diverse epoche e, in diverse sequenze, si vede quel puntino che rimaneva visibile per un po', quando si spegnevano i televisori in bianco e nero sopravvissuti fino agli anni '80. Proprio in quegli apparecchi vediamo scorrere le immagini di programmi rimasti nella storia: tra questi, la magistrale pubblicità anni '50 del farmaco Anacin, ancora oggi considerata una pietra miliare della storia dei commercial in video (vedi), ma anche un filmato con Dean Martin, che è in tv quando Richard è piccolo, ma soprattutto quello con i Beatles che suonano All My Loving (vedi), canzone del 1963, proprio mentre la diciottenne Margareth annuncia di aspettare un bambino.
In una delle tv vediamo anche la sigla dei Chips, il famoso serial anni '80 (vedi), epoca particolarmente rappresentata in diverse sequenze: ascoltiamo Funky Town dei Lipps Inc. (1980), vediamo anche Vanessa adolescente ballare vestita con fuseaux e con le cuffie di un walkman nelle orecchie, e poi con un'amica seguire proprio in tv gli esercizi del leggendario Workout di Jane Fonda, diffuso in vhs nelle case degli americani a partire dal 1982 (vedi).
In quel salotto c'è spazio anche per quello che sembra essere un omaggio agli immarcescibili Monty Python, con un amico di Jimmy che si sente male e muore dopo aver riso a crepapelle per una barzelletta raccontata da Rose (vedi).
Solo in due casi, a noi spettatori, viene permesso di avere un altro punto di vista rispetto alla camera fissa che caratterizza, come detto, l'intera pellicola: quando lo spostamento di una specchiera ci permette di vedere riflessa la parte della cucina, dall'altra parte del salotto protagonista, e alla fine del film, quando un drone ruota all'interno dell'ambiente e poi esce dalla finestra per andare a posizionarsi sul comignolo della casa coloniale di William Franklin, riunendo la storia millenaria di quel luogo, colibrì compreso...

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