Il ragazzo e l'airone è la catabasi di Hayao Miyazaki. L'ottantaduenne genio nipponico dà al giovanissimo protagonista il compito di viaggiare in un mondo altro, che come da tradizione è sottostante a quello in cui viviamo.
Siamo nel 1943 e Mahito è un ragazzino che ha perso la madre, Hisako, durante un incendio. Il padre, Shōichi, proprietario di una fabbrica di materiali aeronautici, lo porta a vivere in una nuova casa, con la sua nuova compagna, Natsuko, sorella minore della prima moglie. La donna si presenta a Mahito come la sua nuova mamma e lo fa accudire da sette piccole vecchine. Qui, guidato da un ibrido airone cenerino metà uccello e metà uomo, con la speranza di rivedere la mamma, scopre un'antica torre dal passato misterioso che segna l'accesso in un'altra dimensione fisica e temporale (trailer).
Entrare in quel mondo sarà l'inizio della crescita del giovane protagonista, come accadeva al suo omologo de La città incantata (2001).
![]() |
La dantesca porta della torre |
E, soprattutto, ci si imbatte in tanti personaggi, come i Wara Wara, piccoli esseri bianchi e sferici, che alludono (a mo' di animule o, se vogliamo, di spermatozoi) alle persone prima di passare alla vita del mondo di sopra; l'operosa e carnivora comunità dei parrocchetti, guidata da re Parrocchetto; Himi, la magica donna che difende i Wara Wara, aiuta Mahito e Kiriko, e che altro non è che la piccola Hisako da bambina; e infine il prozio di Mahito, quello che decenni prima costruì la torre attorno a una sorta di meteorite nella sua proprietà e vi scomparì all'interno. Il prozio, regale e molto vecchio, è una sorta di Zeus o di dio Padre della tradizione giudaico-cristiano, che ha in mano le sorti del mondo, un sottile equilibrio rappresentato da una torre costituita da tredici piccoli pezzi di legno dalle forme geometriche più diverse. E, se come vuole l'interpretazione più ovvia, nel prozio va riconosciuto lo stesso Miyazaki, dobbiamo aspettarci un tredicesimo lungometraggio nella sua filmografia, ora giunta a dodici?
![]() |
La scena di Apocalypse Now ripresa per l'arrivo al villaggio |
Questo vale per la porta della torre che divide i due mondi, sormontata da un verso in italiano della Commedia di Dante, "Fecemi la divina potestate" (If. III, 5); per la porta d'oro, dietro la quale spicca una foresta di cipressi che tanto ricordano quelli delle varie versioni de L'isola dei morti, che il pittore svizzero Arnold Böcklin realizzò tra 1880 e 1886; e anche per l'arrivo in barca di Mahito e di Ikiro nel regno dei Wara Wara, iconograficamente esemplato su quello del capitano Willard-Martin Sheen nell'isola su cui regna Kurtz-Marlon Brando in Apocalypse Now (Coppola 1979).
![]() |
I cipressi del film e L'isola dei morti di Böcklin |
I possibili rimandi a Fellini, a Giorgio De Chirico e a Jean Epstein |
![]() |
Himi e Mahito e le "fiamme" di Ulisse e Diomede in If. XXVI (Venezia, Bib. Marciana, ms. IX.276, f. 19r) |
La vita dei parrocchetti all'interno della torre, poi, ricorda moltissimo le iperdettagliate scene di alcuni dipinti fiamminghi: negli spazi affastellati di uccelli, si intravedono tavolate imbandite e festose, operai al lavoro e tanto altro, fino al loro luogo cerimoniale, una sorta di chiesa occidentale del Medioevo, con tanto di vetrate colorate, su cui è raffigurato un parrocchetto crocifisso, simbolo che compare anche sulla divisa del re Parrocchetto... molto più di una semplice allusione al cristianesimo.
![]() |
Il seminatore di Millet |
E poi un accenno anche a uno storico videogioco: i pellicani si nutrono dei Wara Wara mangiandoli come i fantasmini di Pac-Man rompendo le eliche che compongono (DNA?) per dirigersi verso il mondo superiore e "nascere".
![]() |
L'airone e Grimilde in Biancaneve |
Nel mondo sotterraneo, Mahito ha come sua accompagnatrice Kiriko (una delle vecchine-cameriere in versione giovane), un po' Virgilio-Beatrice nello spiegare al ragazzo le caratteristiche di quei luoghi, in cui i morti sono la maggioranza (sic). Allo stesso tempo, però, è un po' Caronte-Flegias, perché traghetta il ragazzo pagaiando su una barca. In quel mondo Mahito vede la sua mamma, fatta d'acqua, che si liquefa al semplice tocco, in una delle immagini più belle e disperanti dell'intera pellicola che, tra immagini di guerra, di fiamme e di gesti autolesionistici (in un momento di rabbia Mahito si colpisce con una grossa pietra sulla tempia, che lo fa sanguinare copiosamente), nonché di morte (l'agonizzante pellicano), dimostra ancora una volta che i film di Miyazaki non sono affatto film d'animazione per soli bambini, come la vulgata comune continua a pensare.
Non va sottovalutato l'aspetto autobiografico della pellicola. Hayao Miyazaki, infatti, come Mahito, è figlio di un ingegnere aeronautico che possedeva la Miyazaki Airplane, che produceva timoni per i caccia Mitsubishi A6M (l'amore per gli aerei era già in Porco rosso, 1992, e in Si alza il vento, 2013), e durante la Seconda guerra mondiale anche la sua famiglia fu costretta a spostarsi sia da Utsunomiya che da Kanuma per trovare un luogo in cui vivere. Natsuko, che nella torre è allettata in una sala parto in cui non è possibile accedere, è invece un evidente rimando alla madre di Miyazaki che, dal 1947 al 1955, soffrì di tubercolosi spinale e fu costretta a letto.
Un'ultima riflessione. Natsuko, raccontando la storia della grande torre a Mahito, dice che il prozio tanti anni prima si è perso addentrandosi in quel luogo dopo aver perso la ragione leggendo tanto... La conoscenza come limite, tra saggezza ed epistemofobia. "Chi cerca conoscenza di me morirà" è - stavolta in giapponese - un'altra frase che domina un ingresso, che occhieggia alla filosofia classica ma anche a un detto nipponico, “colui che farà come me, morirà". Una frase monito sul futuro...
![]() |
Il castello dei Pirenei e Idee chiare di Magritte; al centro l'isola volante di Laputa e la pietra de Il ragazzo e l'airone |
Hayao Miyazaki, proprio come il prozio del film, si chiede se possa esserci un erede per il suo lavoro, per lo Studio Ghibli? Il figlio Gorō Miyazaki non sembra poter raccogliere la pesante eredità; che si tratti del nipote, a cui peraltro il film è dedicato? Chissà... non sembra deporre a favore di questa ipotesi né la frase citata, né tantomeno la grande pietra in cielo, osservata da prozio e Mahito, completamente disabitata, a differenza dei suoi precedenti, quella de Laputa - Castello nel cielo (1986), a sua volta ispirata a Il castello dei Pirenei di René Magritte (1959, Gerusalemme, Museo d'Israele), ma proprio come un'altra opera del pittore surrealista belga, dal titolo più che evocativo: Idee chiare (1958). Comunque sia, non ci resta che sperare intanto nel tredicesimo mattoncino di Hayao Miyazaki!
Nessun commento:
Posta un commento