Una parte di Nouvelle Vague se ne va con lei. Il suo volto, il suo sorriso, la sua bellezza rimarranno indissolubilmente connessi ad alcune delle pellicole più rivoluzionarie del cinema francese anni '60.
Hanna Karin Blarke Bayer era nata 79 anni fa in Danimarca, a Solbjerg, piccolo sobborgo di Aarhus, nello Jutland centro-orientale. I genitori si separarono quando era molto piccola e Hanna si ritrovò a crescere prima con i nonni, poi con la madre, con un costante bisogno di essere amata e un'altrettanto forte volontà di fuggire di casa. Era solo una giovanissima e pressoché sconosciuta attrice danese quando, nel 1958, si trasferì a Parigi lavorando come modella per Pierre Cardin e Chanel. Fu proprio grazie a Coco Chanel che divenne Anna Karina, rigorosamente da pronunciare in francese, e in quello stesso anno incontrò un critico dei Cahiers du Cinema, che ne segnerà il successo e le cambierà la vita: Jean Luc Godard.
Dopo aver rifiutato un piccolo ruolo in cui sarebbe dovuta comparire nuda in Fino all'ultimo respiro (1960), film d'esordio del regista franco-svizzero, nello stesso anno Anna iniziò la collaborazione con Godard in Le petit soldat (uscito poi nel 1963), in cui indossò i panni di Veronica Dreyer, un nome che ovviamente omaggiava il più grande cineasta danese, Carl Theodor Dreyer.
La relazione tra l'attrice e il regista, più grande di lei di dieci anni, già nel 1961 li portò alle nozze e, negli anni successivi, prima della separazione che giungerà nel 1968, la Karina fu protagonista di molte pellicole realizzate dal marito, a partire da La donna è donna (1961), con cui vinse il premio per la migliore interpretazione femminile a Berlino; seguirono Questa è la mia vita (1962), dov'è Nana nei dodici tableaux in cui Godard divise la storia, ispirandosi a Rossellini; Bande à part (1964), Il bandito delle undici e Agente Lemmy Caution: Missione Alphaville (1965), Una storia americana (1966), in cui era una magnifica Humphrey Bogart al femminile, e, infine, l'episodio Anticipation de L'amore attraverso i secoli (1967).
La relazione tra l'attrice e il regista, più grande di lei di dieci anni, già nel 1961 li portò alle nozze e, negli anni successivi, prima della separazione che giungerà nel 1968, la Karina fu protagonista di molte pellicole realizzate dal marito, a partire da La donna è donna (1961), con cui vinse il premio per la migliore interpretazione femminile a Berlino; seguirono Questa è la mia vita (1962), dov'è Nana nei dodici tableaux in cui Godard divise la storia, ispirandosi a Rossellini; Bande à part (1964), Il bandito delle undici e Agente Lemmy Caution: Missione Alphaville (1965), Una storia americana (1966), in cui era una magnifica Humphrey Bogart al femminile, e, infine, l'episodio Anticipation de L'amore attraverso i secoli (1967).
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In due casi, a 35 anni di distanza, è stata regista lei stessa, in Vivre ensemble (1973), lettura in chiave femminista di un fatto di cronaca, e in Victoria (2008), che è stata anche la sua ultima apparizione cinematografica. Tra le sue altre attività artistiche, inoltre, ha scritto tre romanzi e inciso dischi cantando con Serge Gainsbourg e Jean-Claude Brialy.
Più di venti anni fa Anna Karina è stata intervistata da Armando Ceste, regista italiano che ha utilizzato quel materiale per dedicarle un documentario con il titolo più immediato che ogni cinefilo ha in mente quando vede i suoi lineamenti: Anna Karina. Il volto della Nouvelle Vague (1996).
Per noi tutti sarà sempre Odile, che balla in un bar con Franz e Arthur (vedi) o Angela che, ne La donna è donna, al "Tu es infâme" del marito, risponde, guardando la mdp e facendo l'occhiolino al pubblico, "Moi? Je ne suis pas infame, je suis une femme" (vedi), in un gioco di parole godardiano, sensuale e irresistibile, così come lei e il suo sorriso. Adieu Anna!
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