L'opera prima di Roberto De Paolis, presentata alla Quinzaine des Réalistaeurs di Cannes, è una storia d'amore ben girata e ben scritta dallo stesso regista con Luca Infascelli, Carlo Salsa e Greta Scicchitano, che hanno delineato una trama all'interno di una realtà complessa come quella della periferia metropolitana. Il risultato è un film ai limiti del documentario per la crudezza del suo realismo, che rimanda a Pasolini e ai Dardenne.
Stefano (Simone Liberati) è un venticinquenne nato e cresciuto nella borgata romana di Tor Sapienza, dove si barcamena lavorando come vigilante di un centro commerciale, ma dopo aver lasciato andare una ragazza che ha rubato un cellulare viene declassato a sorvegliante di un parcheggio di un supermercato confinante con un campo rom. Quella ragazza è Agnese (Selene Caramazza), cresciuta nell'ambiente della parrocchia, ma il cui temperamento cozza con i valori che le vengono impartiti quotidianamente dalla chiesa e soprattutto dalla madre Marta (Barbora Bobulova), religiosissima, bigotta, apprensiva e ossessiva, continuamente preoccupata dalle possibili frequentazioni della figlia.
Fatalmente i due ragazzi si incontreranno di nuovo, paradossalmente con la complicità della madre di Agnese, che fa volontariato proprio nel campo rom vicino al quale lavora Stefano, che invece si scontra ogni giorno con le stesse persone che Marta aiuta.
Agnese non è una ladra e i suoi comportamenti, fatti spesso di sotterfugi e bugie, sono solo una reazione al suo sentirsi sbagliata per pulsioni assolutamente naturali. L'influenza della madre è troppo forte per una ragazza della sua età, e i sensi di colpa non fanno che aumentare, nonostante l'istinto prevalga sulla ragione.
Proprio quest'ultima associazione tranquillizza parzialmente Agnese che preferisce di gran lunga l'idea di una religione pronta a perdonarle eventuali debolezze agli assolutismi materni che non ammettono deroghe.
E il confronto tra i due sul sentimento religioso è ancora più evocativo, poiché Agnese è profondamente devota, anche se non sa ancora come coniugare questo a tutto il resto che prova, mentre Stefano ricorda che da bambino pregava, ma chiedeva a Dio di far morire il padre che picchiava lui e la madre, "pregavo pe' nun soffrì", in un passo che fa pensare al Fabrizio de Andrè de Il testamento di Tito ("quando a mio padre si fermò il cuore non ho provato dolore").
Durante la pellicola, ben recitata da tutti gli interpreti, c'è spazio anche per l'improvvisazione, come spiega De Paolis rispetto alla recitazione di Simone Liberati nella sequenza della roulotte (vedi). Il finale, che mette in ridicolo alcuni luoghi comuni di stampo razzista, torna a mostrare una corsa dei protagonisti come era accaduto in apertura, ma si tratta di movimenti e di finalità di segno diametralmente opposto...
Con film come Cuori puri, per quanto imperfetti e acerbi, il cinema italiano dimostra di poter dare il meglio quando fotografa la realtà, il disagio sociale, la vita vera...
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