Darren Aronosky ha creato un horror il cui aspetto allucinatorio più che essere funzionale alla narrazione appare fine a se stesso... e il pubblico, dopo la netta spaccatura della critica al festival del cinema di Venezia, lo sta trattando con una freddezza inequivocabile. Dopo il terribile Noah (2014), siamo di fronte ad un altro prodotto lontano dall'essere considerabile sufficiente (trailer).
Un film con rimandi cinematografici e biblici che farebbero ben sperare, ma che invece risultano inutili e sommersi da un nonsense che prevale sistematicamente e rende tutto davvero complicato da digerire. Un cast d'altissimo livello e che infatti non sfigura, Jennifer Lawrence, Javier Bardem, Richard Harris e Michelle Pfeiffer sono bravissimi, ma il loro agitarsi e recitare sempre sopra le righe non migliora le cose. I primi due interpretano la coppia protagonista, costituita da uno scrittore in crisi d'ispirazione e da una moglie molto più giovane di lui che si sta dedicando da tempo a sistemare la splendida casa di campagna in cui vivono, già devastata da un incendio.
La scelta di non dare nomi ai personaggi conferisce alla trama un che di onirico, ma l'assenza onomastica oltre a complicare i dialoghi (e le recensioni) non sembra avere motivazioni che vadano oltre il vezzo. La mdp gira in continuazione, un movimento che risulta significativo se usato in momenti specifici, ma utilizzato in maniera sistematica perde di significato.
I dubbi sulla sua relazione, instillati dal personaggio interpretato da Michelle Pfeiffer, alla fine attecchiranno sulla ragazza che perderà l'equilibrio urlando contro il marito "tu pensi solo a te", "tu parli di volere dei figli ma non riesci nemmeno a scoparmi", segno del baratro che si è ormai aperto tra i due.
Il poster-teaser del film, stile Biancaneve diffuso lo scorso 14 maggio, Festa della mamma |
C'è spazio anche per evocare il diluvio universale, prosaicamente causato dalla rottura delle tubature e per una citazione dell'immaginario di David Cronenberg, a cui non si può non pensare quando vediamo che una macchia di sangue sul pavimento diventa un tutt'uno organico con le fibre del legno, una sorta di 'nuova carne', tema portante di gran parte della filmografia del cineasta canadese. E, infine, il poeta privo di ispirazione interpretato da Bardem che mentre la moglie è in lacrime per la situazione urla "cerco solo di portare un po' di vita in questa casa [...] di aprire la porta a nuova gente, a nuove idee", non può non far pensare al Jack Torrance di Shining (Kubrick 1980).
Mai come in questo caso non bastano le sole citazioni a rendere il film convincente e, anzi, risultano sprecate in una storia che non riesce ad andare oltre un delirio visivo che aggiunge elementi su elementi, un horror vacui costante la cui struttura perfettamente ciclica è una coazione a ripetere fortunatamente arrestata dalla scritta 'fine'...
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