Una meravigliosa storia da raccontare quella del fotografo brasiliano Sebastião Salgado e Wim Wenders non ha perso l'occasione di dedicargli un documentario, da ormai quindici anni la forma filmica da lui prediletta.
Sia chiaro, si tratta di un documentario imperdibile, ma purtroppo i meriti del regista tedesco non vanno molto aldilà della scelta dell'argomento, peraltro da dividere con il figlio del protagonista, Juliano Ribeiro Salgado, che lo ha affiancato nella realizzazione. La pellicola, infatti, è perlopiù costituita da inquadrature delle fotografie di Salgado e dei paesaggi che fanno da scenario ai suoi reportage, non un movimento di macchina, non un'idea registica degna di nota per tutta la sua durata.
In un continuo dialogo fatto di parole, ma anche di mezzi di espressione, Wenders sottolinea come ad ogni domanda Salgado risponda attraverso la sua macchina fotografica...
E pensare che Sebastião, unico maschio di una famiglia con sette figlie femmine, dopo gli studi, aveva iniziato come economista e che solo grazie alla moglie Lelia, conosciuta all'università di Vitoria, si era imbattuto per la prima volta in una macchina fotografica, acquistata dalla donna una volta che la coppia si era trasferita a Parigi nel 1969. Fu quello il momento che cambiò la vita di Sebastião, il quale, proprio con il sostegno di Lelia, decise di lasciare l'economia e passare alla fotografia.
Il documentario, così, ripercorre i grandi progetti ideati sempre insieme a Lelia, e poi sviluppati da Sebastião durante i suoi lunghi viaggi: da Otras americas (1977-84), dedicato alle popolazioni dei paesi del Sud America, a Brazil (1981-83), incentrato sul nord-est della propria nazione; da Sahel (1984-86), con cui ha iniziato la collaborazione con Medici senza frontiere, illustrando gli effetti della fame nel mondo e recuperando i suoi studi di economia sul problema della redistribuzione della ricchezza e delle risorse del pianeta, a Workers - La mano dell'uomo (1986-91), sull'archeologia dell'era industriale, progetto virato nel 1991 verso il Kuwait e l'infernale paesaggio dei 500 pozzi di petrolio incendiati per volere di Saddam Hussein alla fine della Guerra del Golfo. Proprio in queste immagini, vedere i pompieri impegnati nello spegnimento di quei terribili roghi ricoperti di petrolio li fa sembrare metallici, come l'uomo di latta de Il mago di Oz, così come le cave per l'oro in Brasile che brulicano di raccoglitori. nelle foto di Salgado sembrano i luoghi surreali delle composizioni di Escher.
È stato, infine, Exodus - in cammino (1993-99), l'ultimo reportage che ha visto ancora l'uomo al centro di un suo progetto: la guerra in tutte le sue più devastanti manifestazioni, in Africa, soprattutto in Rwanda, e poi nell'ex Jugoslavia, ha spinto Salgado a smettere con la fotografia.
È qui che le sue origini gli sono venute incontro e che, ancora una volta, la moglie ha svolto un ruolo basilare per la sua rinascita. La fazenda in cui Sebastião era nato e cresciuto negli anni si era trasformata in un arido deserto e Lelia gli propose di ripiantare la mata atlantica, la tipica foresta pluviale costiera brasiliana: vennero così piantati oltre due milioni di alberi, riuscendo nell'impresa di ricreare un habitat che ormai sembrava perduto.
...decisamente sì: è una gran bella storia da conoscere e da approfondire, ma da Wim Wenders è doveroso aspettarsi più che una semplice narrazione dei fatti costituita dalle interviste a Sebastião Salgado, al padre Sebastião senior, alla moglie Lelia, alternate alla tantissime foto dell'intera carriera del grande fotografo brasiliano...
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