Quando cammina evita di calpestare le righe per scaramanzia; se assiste ad un incidente fugge per non essere coinvolto come testimone; a lavoro non firma nessuna petizione possa metterlo in cattiva luce col direttore, "ho la fortuna di essere prudente", dice...
Così un Mario Monicelli d'annata, coadiuvato nel soggetto e nella sceneggiatura da Rodolfo Sonego, ci presenta il protagonista Alberto Menichetti (Alberto Sordi), l'eroe negativo di una commedia tagliente che colpisce il peggio dell'italiano medio, che non si espone mai e che, anzi, è pronto ad essere un delatore pur di salvare la propria pellaccia. Un personaggio insopportabile, che nella vita di tutti i giorni è capitato a tutti di incontrare e che Sordi interpreterà costantemente per tutta la carriera: è di fronte a figure del genere che verrebbe voglia di urlare come Nanni Moretti, "te lo meriti Alberto Sordi!" (Ecce Bombo, 1978; vedi) ovviamente riferito all'italiano sbruffone, qualunquista e invertebrato e non certo al grande attore romano.
Alberto, inoltre, è un "bamboccione" ante litteram - come lo era, peraltro con lo stesso nome, ne I Vitelloni (Fellini 1953) - e vive con l'anziana zia Giovanna (Lina Boniviento) e soprattutto con la domestica Clotilde, altrettanto avanti con l'età, interpretata da una strepitosa Tina Pica, che con la sua voce inconfondibile è protagonista di splendidi duetti con il nipote della padrona di casa.
In ufficio, Menichetti dà il peggio di sé: la sua pusillanimità, come detto, gli impone non solo di non contrastare il datore di lavoro (Alberto Lattuada), ma persino di assecondarlo in ogni sua richiesta... Un caso esemplare è quello in cui il direttore della fabbrica di cappelli per cui lavora chiede ad un gruppo di impiegati di provare un improbabile cappello fuori moda e di portarlo per qualche mese per testarne l'apprezzamento o meno dei passanti: davanti alla porta dell'ufficio in cui stanno per entrare, tutti affermano compatti di volersi opporre a quell'assurdità, ma poi una volta dentro Alberto si propone subito di fare da modello per il cappello ("non me lo levo nemmeno a letto, signor direttore"). L'acuta e spietata analisi sociale di Monicelli e Sonego in questa sequenza, però, non si limita a questo, e va oltre, poiché uno degli altri prima di uscire chiede senza vergogna "se fosse necessario un altro...", come a precisare che al peggio non c'è mai fine!
Naturalmente la storia si complicherà e in una continua serie di equivoci, la polizia arriverà a sospettare proprio di lui per una bomba esplosa durante la notte. Tutti i personaggi principali si ritroveranno riuniti nel commissariato a testimoniare pro o contro Alberto, che si distinguerà ancora per meschinità, controdenunciando una delle poche persone che lo sostengono...
Persino il commissario (Paolo Ferrara) riprenderà Alberto con un eloquente ramanzina: "lei deve imparare a vivere come un giovane del nostro tempo, ad essere leale, coraggioso, fiero delle proprie idee, ad assumersi le sue responsabilità a costo anche di sbagliare e di rimetterci. Ma si tuffi nella vita e abbia coraggio! Guardi cosa arrivo a dirle: sia imprudente".
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È con questa ennesima e feroce critica sociale che Monicelli chiude una pellicola certamente minore nella sua splendida filmografia, fatta di capolavori assoluti della commedia all'italiana. Forse troppo incentrata sul personaggio di Alberto Sordi, la vicenda, tagliata su misura addosso all'attore - che la ritenne una delle sue pellicole fondamentali -, sembra ignorare il potenziale dei tanti altri interpreti che di fatto fanno alternativamente da spalla al protagonista: a Franca Valeri viene concessa, come detto, solo qualche telefonata, mentre Tina Pica, Mario Carotenuto e Leopoldo Trieste sono poco più che comparse. Eppure il film funziona alla grande, oltre che per l'interpretazione di Sordi e per la bella musica di Nino Rota, soprattutto grazie ad una scrittura impeccabile e implacabile, che regge col passare dei decenni, perché narra dinamiche e comportamenti sempre attuali...
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