Il cinema secondo Begood
di Gianni Pittiglio
sabato 16 novembre 2024
The Substance (Fargeat 2024)
Il cinema, come Saturno, divora i propri figli per rimanere al suo posto, e The Substance ne è un fulgido esempio. La pellicola riparte dalla "nuova carne" di David Cronenberg e da La mosca (1986) e arriva al David Lynch di The Elephant Man (1980), rimonta alla loro matrice, il Frankenstein letterario di Mary Shelley, e li coniuga tutti al femminile, dove incontra almeno altri due film fondamentali: La morte ti fa bella (Zemeckis 1992) e Carrie (De Palma 1976) (trailer).
mercoledì 6 novembre 2024
Berlinguer. La grande ambizione (Segre 2024)
Apro l'analisi di questo film con la considerazione di Elio Germano che, alla proiezione in anteprima al Nuovo Sacher, lo scorso venerdì 1° novembre, si è soffermato nel precisare che nell'epoca affrontata dalla pellicola chi era a capo di un partito si autodefiniva segretario e non leader, segno che l'ascesa politica fosse principalmente un servizio verso gli altri e non solo spudorato egocentrismo.
Che questo concetto, poi, sia stato espresso davanti a Nanni Moretti, non può non fare pensare a "le parole sono importanti", "chi parla male, pensa male e vive male" (Palombella Rossa, 1984, 1-2).
E in effetti oggi sembra di essere anni luce da quegli anni, in cui la gente, le singole persone si identificavano con politici da cui si sentivano davvero rappresentati, ma qui mi fermo, perché altrimenti scadrei nella prosa più retriva del passatismo (trailer).
Che questo concetto, poi, sia stato espresso davanti a Nanni Moretti, non può non fare pensare a "le parole sono importanti", "chi parla male, pensa male e vive male" (Palombella Rossa, 1984, 1-2).
E in effetti oggi sembra di essere anni luce da quegli anni, in cui la gente, le singole persone si identificavano con politici da cui si sentivano davvero rappresentati, ma qui mi fermo, perché altrimenti scadrei nella prosa più retriva del passatismo (trailer).
venerdì 1 novembre 2024
The dead don't hurt (Mortensen 2023)
C'era una volta Gli Spietati (1992). Negli anni successivi all'uscita del film di Clint Eastwood si parlò molto tempo di come uno dei grandi generi autoctoni del cinema statunitense (insieme al musical, che ha seguito un percorso simile) sembrasse esaurito, e che invece forse poteva rigenerarsi, come dimostrava quella pellicola spartiacque.
In realtà il discorso sull'eterno rigenerarsi del western si era fatto anche con Piccolo grande uomo (1970), che ribaltava la logica manichea dei buoni-cowboy/cattivi-indiani, come poi riaccaduto con Balla coi lupi (1990) (trailer).
In realtà il discorso sull'eterno rigenerarsi del western si era fatto anche con Piccolo grande uomo (1970), che ribaltava la logica manichea dei buoni-cowboy/cattivi-indiani, come poi riaccaduto con Balla coi lupi (1990) (trailer).
domenica 27 ottobre 2024
Parthenope (Sorrentino 2024)
"L'amore per provare a sopravvivere è stato un fallimento".
Venere anadiomene, da Apelle a Pompei, da Sandro Botticelli a Cabanel e Bouguerau, fino a Paolo Sorrentino. Il regista napoletano, sempre più visionario, stavolta si pone sulla linea del tempo dell'eterno femminino ed elegge la bellezza della giovane Celeste Dalla Porta, con il suo nome così rinascimentale e al suo primo lungometraggio, al ruolo di Parthenope, donna e allegoria al centro della sua ultima folgorante pellicola (trailer).
Venere anadiomene, da Apelle a Pompei, da Sandro Botticelli a Cabanel e Bouguerau, fino a Paolo Sorrentino. Il regista napoletano, sempre più visionario, stavolta si pone sulla linea del tempo dell'eterno femminino ed elegge la bellezza della giovane Celeste Dalla Porta, con il suo nome così rinascimentale e al suo primo lungometraggio, al ruolo di Parthenope, donna e allegoria al centro della sua ultima folgorante pellicola (trailer).
martedì 22 ottobre 2024
Megalopolis (Coppola 2024)
Un ipertrofico ottovolante! Megalopolis, ideata ormai quarant'anni fa, è una pellicola impossibile da comprendere, nel senso etimologico di abbracciarne il contenuto, con una sola visione.
È da capogiro l'uscita dalla sala, dopo la proiezione del ventiquattresimo lungometraggio di Francis Ford Coppola, ottantacinquenne, un elemento imprescindibile per le caratteristiche di un film che naviga tra la storia del cinema, gli ultimi decenni che abbiamo vissuto e un'idea di futuro già splendidamente classica (trailer).
È da capogiro l'uscita dalla sala, dopo la proiezione del ventiquattresimo lungometraggio di Francis Ford Coppola, ottantacinquenne, un elemento imprescindibile per le caratteristiche di un film che naviga tra la storia del cinema, gli ultimi decenni che abbiamo vissuto e un'idea di futuro già splendidamente classica (trailer).
martedì 15 ottobre 2024
Vermiglio (Delpero 2024)
È un ottimo film quello di Maura Delpero che, al suo secondo lungometraggio (dopo Maternal, 2019), sceglie di raccontare una storia ambientata nel piccolo centro di Vermiglio, andando a recuperare un po' della sua autobiografia (è il paese in cui visse suo padre), ma anche un cinema e un'estetica che tanto ricordano Ermanno Olmi e il suo L'albero degli zoccoli (1978). Così come il grande precedente, che a Cannes vinse la Palma d'oro, anche la sua opera è recitata in dialetto ed è stata giustamente celebrata dalla critica, aggiudicandosi il Leone d'argento - Gran premio della giuria a Venezia (trailer).
mercoledì 9 ottobre 2024
Joker: Folie à Deux (Phillips 2024)
Un musical che esplora l'abisso, un sequel che stravolge la prima pellicola, scegliendo di allontanarsi dal realismo di quella, pur continuando a ignorare il personaggio della DC Comics, e passando dal soliloquio assoluto - allora mitigato solo dalla presenza di Murray Franklin/De Niro - a un dialogo. A Joker/Arthur Fleck, infatti, si affianca un personaggio femminile, un altro fool, shakespearianamente parlando, che giustifica il titolo e dà nuova linfa al protagonista.
Joaquin Phoenix e Lady Gaga brillano sia nella recitazione che nei duetti da musical, che hanno la peculiarità di essere spesso parte della fantasia che governa le loro esistenze, facilitando la sospensione dell'incredulità anche per gli spettatori meno avvezzi al genere (trailer).
Joaquin Phoenix e Lady Gaga brillano sia nella recitazione che nei duetti da musical, che hanno la peculiarità di essere spesso parte della fantasia che governa le loro esistenze, facilitando la sospensione dell'incredulità anche per gli spettatori meno avvezzi al genere (trailer).
venerdì 4 ottobre 2024
Il tempo che ci vuole (Comencini 2024)
Poter rendere orgoglioso il proprio padre di quanto si sta facendo nella vita... è questo che differenzia le esperienze di Luigi e Francesca Comencini, come sottolinea il primo, nei cui panni recita il solito, enorme Fabrizio Gifuni, alla figlia, intrepretata da una bravissima Romana Maggiora Vergano, rammaricandosi di non aver potuto farlo con il suo, come lei invece ha fatto con lui.
Dopo Chiara Mastroianni, che in Marcello mio (Honoré 2024) omaggiava il padre persino interpretandolo, con altri toni Francesca Comencini celebra suo padre, raccontando il loro rapporto sin dalla sua infanzia, nella seconda metà degli anni '60, passando per una complicata adolescenza negli anni di piombo, fino alla maturità e alla scelta di fare cinema, proprio come lui (trailer).
Dopo Chiara Mastroianni, che in Marcello mio (Honoré 2024) omaggiava il padre persino interpretandolo, con altri toni Francesca Comencini celebra suo padre, raccontando il loro rapporto sin dalla sua infanzia, nella seconda metà degli anni '60, passando per una complicata adolescenza negli anni di piombo, fino alla maturità e alla scelta di fare cinema, proprio come lui (trailer).
lunedì 30 settembre 2024
L'innocenza (Kore-eda 2023)
L'ennesimo capolavoro di Hirokazu Kore-eda, Queer Palm e migliore sceneggiatura a Cannes, tra i suoi tanti pregi ha la dedica a Ryuichi Sakamoto. La pellicola contiene l'ultima colonna sonora del maestro scomparso nel marzo 2023 (leggi), emozionante come sempre e, forse stavolta, inevitabilmente, anche di più: difficile uscire dalla sala senza continuare a fischiettare o cercare su internet la struggente Aqua.
L'innocenza, che in originale e nella versione internazionale si intitola "mostro" (Kaibutsu/Monster), è un titolo altrettanto evocativo e azzeccato per una storia che in effetti ruota attorno all'ambiguità del concetto di colpevolezza: e se colui che viene considerato un mostro non avesse responsabilità su ciò di cui viene accusato e fosse innocente? (trailer)
L'innocenza, che in originale e nella versione internazionale si intitola "mostro" (Kaibutsu/Monster), è un titolo altrettanto evocativo e azzeccato per una storia che in effetti ruota attorno all'ambiguità del concetto di colpevolezza: e se colui che viene considerato un mostro non avesse responsabilità su ciò di cui viene accusato e fosse innocente? (trailer)
sabato 21 settembre 2024
Limonov (Serebrennikov 2024)
Limonov è la storia di un dissidente, di un sedicente eroe, romantico e anarchico ("dalla parte di chi non ha niente da perdere"), di un poeta, di un uomo attraverso il quale Kirill Serebrennikov - che ha ereditato il progetto dopo il rifiuto di Saverio Costanzo nel 2015 - ripercorre gli ultimi sessant'anni del suo paese, la Russia, tra regime comunista, Perestrojka e oligarchi. Lo fa adattando l'omonima biografia romanzata scritta da Emmanuel Carrère (2011, ed. it. 2012) e lo fa da regista ebreo, gay e di madre ucraina, una sorta di manifesto umano anti-Putin.
Il montaggio di Jurij Karich cerca di riprodurre la scansione temporale scelta dallo scrittore, così come ogni sequenza è accompagnata dalla letteraria voce off del protagonista, che riflette e analizza i fatti secondo l'introspezione psicologica attuata da Carrère, che nel film ha anche un cameo nei panni di un giornalista (trailer).
Il montaggio di Jurij Karich cerca di riprodurre la scansione temporale scelta dallo scrittore, così come ogni sequenza è accompagnata dalla letteraria voce off del protagonista, che riflette e analizza i fatti secondo l'introspezione psicologica attuata da Carrère, che nel film ha anche un cameo nei panni di un giornalista (trailer).
martedì 17 settembre 2024
Europa (Von Trier 1991)
Accompagnati dalla voce off di un'icona del cinema come Max Von Sydow, Europa di Lars Von Trier - terzo film della trilogia che comprende L'elemento del crimine (1984) ed Epidemic (1987) - ci avvolge come la più scomoda delle coperte, in un corto circuito temporale che non è dato solo dall'epoca della narrazione, l'immediato secondo dopoguerra nella Germania sconfitta e livorosa, ma anche dallo stile della pellicola, che rimanda ai noir bellici statunitensi dell'età dell'oro di Hollywood (trailer).
La penetrante voce dell'attore feticcio di Ingmar Bergman sembra, metacinematograficamente, aver portato il protagonista de Il settimo sigillo (1957) dall'altra parte della barricata: se in quel capolavoro era l'umano Antonius che giocava a scacchi con la Morte, qui è Dio o, meglio, la Morte stessa, che dà ordini a Leopold, conferendo all'intera pellicola un senso di predestinazione di stampo protestante, orizzonte religioso e filosofico in cui il cineasta danese è nato e si è formato, pur essendo ateo, prima di abbracciare il cattolicesimo nel 1995.
La penetrante voce dell'attore feticcio di Ingmar Bergman sembra, metacinematograficamente, aver portato il protagonista de Il settimo sigillo (1957) dall'altra parte della barricata: se in quel capolavoro era l'umano Antonius che giocava a scacchi con la Morte, qui è Dio o, meglio, la Morte stessa, che dà ordini a Leopold, conferendo all'intera pellicola un senso di predestinazione di stampo protestante, orizzonte religioso e filosofico in cui il cineasta danese è nato e si è formato, pur essendo ateo, prima di abbracciare il cattolicesimo nel 1995.
Leopold Kessler (Jean-Marc Barr) è un giovane statunitense di origine tedesca che arriva a Francoforte in treno - e i binari corrono veloci sotto lo sguardo fisso della mdp come la strada di Strade perdute di David Lynch (1997) -, dove lo zio (Ernst-Hugo Järegård), ufficiale tedesco, gli ha trovato lavoro come cuccettista per le ferrovie Zentropa, fondate nel 1912. Il nome, di fantasia, è quello che l'anno dopo il film prenderà, non a caso, la casa di produzione cinematografica fondata da Lars von Trier e dal produttore Peter Aalbæk Jensen.
Non è il momento migliore per andare in Germania per un americano e gli occhi dei tedeschi si posano su Leopold con una certa circospezione, fatta eccezione per quelli di Katharina Hartmann (Barbara Sukowa), figlia del proprietario di Zentropa, che viaggia sempre in prima classe e inizia a flirtare col nuovo cuccettista.
Katharina in Europa ed Elisabeth in Persona |
Come una perfetta donna di un noir, Katharina unisce eros e thanatos, passione e mistero, e coinvolgerà Leopold in un complesso intrigo che coinvolge la famiglia Hartmann, i Werwolf il gruppo di partigiani tedeschi che combattono gli alleati e uccidono i traditori.
A tal proposito, una delle immagini più forti è proprio quella dei tedeschi impiccati ai lati dei binari, con un cartello sul petto con la scritta "Werwolf", che si vedono dai finestrini del treno.
Il volto della donna, invece, viene usato in una bellissima immagine che conferma l'influenza bergmaniana su von Trier (penso a Il volto, 1958, ma ancora di più a Persona, 1966 su tutti), in cui lo si vede ingrandito a rappresentare il pensiero di Leopold accovacciato e riflessivo in primo piano.
La storia d'amore tra Leopold e Katharina è al centro di una trama fatta di spionaggio, omicidi, doppiogiochismi, che come in ogni noir che si rispetti contrapporrà i due secondo il topos dell'uomo innamorato e soggiogato e la donna razionale e malvagia, un rischio storicamente da scongiurare (non siamo lontani dal motivo moraleggiante di Fillide che cavalca Aristotele diffuso sin dal Medioevo).
Il bianco e nero espressionista si interrompe solo in alcuni momenti e spesso per alcuni frammenti evidenziati nell'inquadratura: un volto, una maniglia o altri dettagli possono improvvisamente accendersi per uscire dall'anonimato del bianco e nero.
Von Trier, coaudiuvato dalla musica di Joachim Holbek - lo stesso di The kingdom (1994) e Le onde del destino (1996) -, gioca palesemente con i generi e con il cinema del passato, in una pellicola che è esercizio metacinematografico sin dalla voce narrante: noir ed espressionismo, cinema statunitense ed europeo sono continuamente mescolati nella trama e nei suoi colpi di scena, nel montaggio con ellissi e dissolvenze incrociate (una molto bella è quella che fonde il volto di Katharina e la testa della locomotiva), nelle composizioni delle immagini (su tutte un close up alla Sergio Leone degli occhi di Leopold, sotto ai quali vediamo correre il treno in orizzontale, con un netto cambio di inquadratura, di proporzioni e di direzione).
La mdp si muove molto, sale, scende verticalmente da un piano all'altro di casa Hartmann, guarda la scena da dietro le reti di recinzione o le inquadra attraverso i finestrini del treno da entrambi i lati, gira dall'alto attorno ai volti dei personaggi sdraiati, o in basso attorno al tavolo durante la cena in cui Leopold conosce l'intera famiglia Hartmann. Proprio la cena è una delle scene madri del film: allo stesso tavolo, oltre Leopold e Katharina, ci sono suo padre Max (Jørgen Reenberg), suo fratello Larry (Udo Kier), e poi un prete (Erik Mørk), un gruppo degno di un film di Buñuel.
A tal proposito, una delle immagini più forti è proprio quella dei tedeschi impiccati ai lati dei binari, con un cartello sul petto con la scritta "Werwolf", che si vedono dai finestrini del treno.
Il volto della donna, invece, viene usato in una bellissima immagine che conferma l'influenza bergmaniana su von Trier (penso a Il volto, 1958, ma ancora di più a Persona, 1966 su tutti), in cui lo si vede ingrandito a rappresentare il pensiero di Leopold accovacciato e riflessivo in primo piano.
La storia d'amore tra Leopold e Katharina è al centro di una trama fatta di spionaggio, omicidi, doppiogiochismi, che come in ogni noir che si rispetti contrapporrà i due secondo il topos dell'uomo innamorato e soggiogato e la donna razionale e malvagia, un rischio storicamente da scongiurare (non siamo lontani dal motivo moraleggiante di Fillide che cavalca Aristotele diffuso sin dal Medioevo).
Il bianco e nero espressionista si interrompe solo in alcuni momenti e spesso per alcuni frammenti evidenziati nell'inquadratura: un volto, una maniglia o altri dettagli possono improvvisamente accendersi per uscire dall'anonimato del bianco e nero.
Von Trier, coaudiuvato dalla musica di Joachim Holbek - lo stesso di The kingdom (1994) e Le onde del destino (1996) -, gioca palesemente con i generi e con il cinema del passato, in una pellicola che è esercizio metacinematografico sin dalla voce narrante: noir ed espressionismo, cinema statunitense ed europeo sono continuamente mescolati nella trama e nei suoi colpi di scena, nel montaggio con ellissi e dissolvenze incrociate (una molto bella è quella che fonde il volto di Katharina e la testa della locomotiva), nelle composizioni delle immagini (su tutte un close up alla Sergio Leone degli occhi di Leopold, sotto ai quali vediamo correre il treno in orizzontale, con un netto cambio di inquadratura, di proporzioni e di direzione).
La mdp si muove molto, sale, scende verticalmente da un piano all'altro di casa Hartmann, guarda la scena da dietro le reti di recinzione o le inquadra attraverso i finestrini del treno da entrambi i lati, gira dall'alto attorno ai volti dei personaggi sdraiati, o in basso attorno al tavolo durante la cena in cui Leopold conosce l'intera famiglia Hartmann. Proprio la cena è una delle scene madri del film: allo stesso tavolo, oltre Leopold e Katharina, ci sono suo padre Max (Jørgen Reenberg), suo fratello Larry (Udo Kier), e poi un prete (Erik Mørk), un gruppo degno di un film di Buñuel.
La continua ambiguità dei personaggi viene acuita dalla presenza di un colonnello statunitense, Alexander Harris, che ha il compito di controllare i movimenti degli Hartmann e continua a chiedere di compilare un questionario al capofamiglia. Anche il disagio dello spettatore rispetto a quello che diventa un vero tormentone aumenta, quando scopriamo che come controllori dei questionari vengono designati degli ebrei. Questi, però, possono essere corrotti per far ottenere esiti positivi a chi ha ancora tangenze con l'ideologia nazista e trova sorprendente che tutto "all'improvviso è diventato un crimine", in assoluto la battuta più agghiacciante della pellicola.
Strizza l'occhio al passato anche il trenino che si muove nel grande plastico in soffitta, che Katharina mostra a Leopold e che diventa simbolo e terreno scenico esso stesso, con incidenti e rapporti sessuali consumati tra piccoli binari e colline di cartapesta...
Tra le sequenze più belle, infine, il Natale 1945 e l'immagine poetica e surreale della cattedrale di Monaco, la celebre Frauenkirche, innevata all'interno poiché priva del tetto a causa dei bombardamenti alleati.
Il film è formalmente notevole - non a caso a Cannes vinse il Premio della giuria, il Premio per il contributo artistico e il Grand Prix tecnico -, ma resta un po' freddo (questo non sorprende dato l'autore) e, nonostante l'eccellente utilizzo della mdp, appare molto accademico e lontano dalle opere migliori del regista danese, di cui però costituisce un utile premessa per comprenderne le future evoluzioni.
Strizza l'occhio al passato anche il trenino che si muove nel grande plastico in soffitta, che Katharina mostra a Leopold e che diventa simbolo e terreno scenico esso stesso, con incidenti e rapporti sessuali consumati tra piccoli binari e colline di cartapesta...
Tra le sequenze più belle, infine, il Natale 1945 e l'immagine poetica e surreale della cattedrale di Monaco, la celebre Frauenkirche, innevata all'interno poiché priva del tetto a causa dei bombardamenti alleati.
Il film è formalmente notevole - non a caso a Cannes vinse il Premio della giuria, il Premio per il contributo artistico e il Grand Prix tecnico -, ma resta un po' freddo (questo non sorprende dato l'autore) e, nonostante l'eccellente utilizzo della mdp, appare molto accademico e lontano dalle opere migliori del regista danese, di cui però costituisce un utile premessa per comprenderne le future evoluzioni.
mercoledì 11 settembre 2024
La vita accanto (Giordana 2024)
Adattamento dell'omonimo romanzo della scrittrice vicentina Mariapia Veladiano (Einaudi 2011), il film di Marco Tullio Giordana è indubbiamente ben orchestrato, ma la maniera, nel senso più freddo del termine, sembra essersi spinta troppo oltre e aver preso il sopravvento.
Sapere, poi, che il progetto era nato con Marco Bellocchio, e che solo in un secondo tempo abbia rinunciato (dopo aver scritto la sceneggiatura, firmata anche da Gloria Malatesta e poi da Marco Tullio Giordana), lascia un senso di insoddisfazione per quello che avrebbe potuto essere e non è stato. La trama, infatti, si attaglia perfettamente per il regista di Bobbio, maestro di drammatiche disfunzioni familiari, che ha spesso affrontato tematiche simili con grandi risultati: si pensi al bellissimo film con cui esordì, I pugni in tasca (1965), ma anche opere come Salto nel vuoto (1980) -L'ora di religione (2002) o persino il recente Rapito (2023), in cui la disfunzione è invece causata dal potere religioso (trailer).
Sapere, poi, che il progetto era nato con Marco Bellocchio, e che solo in un secondo tempo abbia rinunciato (dopo aver scritto la sceneggiatura, firmata anche da Gloria Malatesta e poi da Marco Tullio Giordana), lascia un senso di insoddisfazione per quello che avrebbe potuto essere e non è stato. La trama, infatti, si attaglia perfettamente per il regista di Bobbio, maestro di drammatiche disfunzioni familiari, che ha spesso affrontato tematiche simili con grandi risultati: si pensi al bellissimo film con cui esordì, I pugni in tasca (1965), ma anche opere come Salto nel vuoto (1980) -L'ora di religione (2002) o persino il recente Rapito (2023), in cui la disfunzione è invece causata dal potere religioso (trailer).
venerdì 6 settembre 2024
The Holdovers - Lezioni di vita (Payne 2023)
Lo stile asciutto di Alexander Payne porta a un film senza sbavature, gradevole, ben scritto, ben girato e, soprattutto, ben recitato, che ci porta negli anni '70 raccontandoci le vicende di un professore della Barton Academy, una scuola di una zona non meglio specificata nella regione del New England, durante le feste natalizie tra 1970 e 1971.
Le "lezioni di vita" del consueto sottotitolo didascalico dell'edizione italiana, infatti, sono quelle di Paul Hunham, un fantastico Paul Giamatti, insegnante di storia e cultura classica che, per le vacanze di fine anno, è costretto a rimanere nella scuola per stare con pochi allievi che per motivi diversi non possono raggiungere le rispettive famiglie (trailer).
Le "lezioni di vita" del consueto sottotitolo didascalico dell'edizione italiana, infatti, sono quelle di Paul Hunham, un fantastico Paul Giamatti, insegnante di storia e cultura classica che, per le vacanze di fine anno, è costretto a rimanere nella scuola per stare con pochi allievi che per motivi diversi non possono raggiungere le rispettive famiglie (trailer).
lunedì 2 settembre 2024
Hit Man - Killer per caso (Linklater 2023)
Una "storia quasi vera". L'esergo dell'ultimo film di Richard Linklater rivela sin da subito il progetto del regista texano, che parte da fatti veri e a quelli aggiunge le possibili conseguenze, amplificandole e generando un reticolo narrativo così ben congegnato da coinvolgere pienamente lo spettatore. Il risultato è una pellicola leggera e godibilissima, che oscilla tra commedia, poliziesco e sentimentale.
La storia è quella di Gary Johnson (Glen Powell), docente di psicologia e filosofia al college, che arrotonda le sue entrate collaborando sotto copertura con la polizia di New Orleans per smascherare omicidi e mandanti (trailer).
La storia è quella di Gary Johnson (Glen Powell), docente di psicologia e filosofia al college, che arrotonda le sue entrate collaborando sotto copertura con la polizia di New Orleans per smascherare omicidi e mandanti (trailer).
lunedì 26 agosto 2024
L'arte della gioia (Golino 2024)
Il romanzo più famoso di Goliarda Sapienza, terminato nel 1976, ma pubblicato in parte nel 1994 e per esteso solo nel 1998, quando la sua autrice era morta già da due anni, finalmente è stato adattato per il cinema e, a dire il vero, principalmente per la tv.
L'arte della gioia di Valeria Golino, che è stata allieva di Goliarda Sapienza al Centro Sperimentale di Cinematografia, infatti, è stato diviso in due parti per la sala e in sei puntate per la serie televisiva.
La storia di Modesta, l'eroina e alter ego di Goliarda - sulla scrittrice esiste un bel podcast intitolato Gagliarda Potenza firmato dal gruppo Mis(S)conosciute, composto da Giulia Morelli, Maria Lucia Schito e Silvia Scognamiglio -, è quella di un romanzo d'altri tempi, quasi ottocentesco, un carattere che costituì uno dei motivi delle sue difficoltà editoriali, che sullo schermo diventa subito un classico (trailer).
L'arte della gioia di Valeria Golino, che è stata allieva di Goliarda Sapienza al Centro Sperimentale di Cinematografia, infatti, è stato diviso in due parti per la sala e in sei puntate per la serie televisiva.
La storia di Modesta, l'eroina e alter ego di Goliarda - sulla scrittrice esiste un bel podcast intitolato Gagliarda Potenza firmato dal gruppo Mis(S)conosciute, composto da Giulia Morelli, Maria Lucia Schito e Silvia Scognamiglio -, è quella di un romanzo d'altri tempi, quasi ottocentesco, un carattere che costituì uno dei motivi delle sue difficoltà editoriali, che sullo schermo diventa subito un classico (trailer).
mercoledì 21 agosto 2024
Saluto ad Alain Delon (8/11/1935 - 18/8/2024)
Se n'è andato a 88 anni Alain Delon, icona del cinema francese e italiano, uno degli attori più famosi di sempre, uno dei più belli di sempre.
Una leggendaria e lontana parentela con i Bonaparte, tramite la nonna paterna Marie-Antoniette Evangelista, la vita sembrava riservargli una carriera da salumiere...
Nato da Fabien Delon, direttore di un cinema di Sceaux, e da Édith Arnold, commessa di farmacia, Alain si ritrovò a dover affrontare la separazione dei genitori quando aveva solo quattro anni, un trauma acuito dal periodo successivo passato con una famiglia adottiva, il cui pater familias era una guardia carceraria, e poi, a otto anni, nel collegio di suore a Issy-les-Moulineaux. Ed è in adolescenza che Alain, tornato dalla madre e dal suo nuovo marito, salumiere, diventa l'apprendista del negozio e inizia a recitare, in un cortometraggio del padre di un suo amico, Le rapt (1949, vedi).
Il suo temperamento ribelle e desideroso di indipendenza, però, lo spinge ad arruolarsi in marina nel 1952 e l'anno successiva è nel contingente francese nella guerra in Indocina, dove il suo carattere non si fa certo più morbido e viene espulso dopo 11 mesi di prigione per indisciplina.
Tornato ventunenne in patria nel 1956, si ritrova a sbarcare il lunario facendo il cameriere o il facchino e vivendo da bohémien a Montmartre.
È grazie alla fidanzata attrice Brigitte Auber che conosce Jean-Claude Brialy, che lo porta a Cannes dove il suo volto viene ovviamente notato e, dopo qualche tempo a Roma, torna in Francia per lavorare con il regista Yves Allégret, con cui esordisce in Godot (1957), dove il suo personaggio, Jo, viene ucciso da un colpo di pistola... In barba alla scaramanzia, morire sul set non fu mai così proficuo!
Il secondo film con Allégret (Fatti bella e taci, 1958) mise Alain per la prima volta di fronte a Jean-Paul Belmondo, in un contrasto di bellezze tra apollineo e dionisiaco che in futuro ne caratterizzerà le carriere. A tutt'oggi i due attori vengono considerati i più famosi attori francesi, dopo l'epoca dominata da Jean Gabin. Tra le curiosità dichiarate negli anni da Delon, c'è anche la passione per il grande attore della stagione precedente, di cui si innamorò in Indocina, osservandolo nell'iconico Grisbi (Becker 1954), e per lavorare al fianco del quale accettò di lavorare senza compenso, contro il parere della MGM che avrebbe voluto Jean-Louis Trintignant, in Colpo grosso al casinò (Verneuil 1963).
Poi Alain tornerà sul set con il suo modello attoriale ne Il clan dei siciliani (Verneuil 1969) e in Due contro la città (Giovanni 1973).
Dopo le prime pellicole sul finire degli anni Cinquanta, iniziarono le collaborazioni con i grandi registi, francesi come René Clement (Delitto in pieno sole, 1960; Che gioia vivere, 1961; Crisantemi per un delitto, 1964; Parigi brucia?, 1966), Julien Duvivier (Le tentazioni quotidiane, 1962; Diabolicamente tua, 1967), e Jean-Pierre Melville (Frank Costello faccia d'angelo, 1967; I senza nome, 1970; Notte sulla città, 1972), e italiani, come Luchino Visconti (Rocco e i suoi fratelli, 1960; Il Gattopardo, 1963), Michelangelo Antonioni (L'eclisse, 1962).
Negli anni Settanta recita di nuovo al fianco di Belmondo, nel mitico gangster movie marsigliese Borsalino (Deray 1970), dove interpreta Roch Siffredi (non a caso scelto come nome d'arte da Rocco Tano per la sua carriera hard), ma anche nel western di Terence Young Sole rosso (1971), con Charles Bronson, Toshirō Mifune e Ursula Andress; in due film di Joseph Losey (L'assassinio di Trotsky, 1972; Mr. Klein, 1976), e nel bello, autoriale e malinconicissimo La prima notte di quiete di Valerio Zurlini (1972).
All'inizio degli anni Ottanta Alain Delon passa anche dietro la mdp, dirigendo pellicole come Per la pelle di un poliziotto (1981), Braccato (1983), polizieschi non indimenticabili di cui è anche l'attore protagonista.
Gli ultimi due decenni di carriera lo vedono recitare soprattutto in film francesi: del 1990 il suo unica apparizione in un film di Jean-Luc Godard (Nouvelle vague), poi due pellicole di Jacques Deray (Un crime, 1993; L'orso di peluche, 1994); una con Patrice Leconte (Uno dei due, 1998); e infine interpreta se stesso in Les acteurs, opera di Bertrand Blier (2000) in cui diversi attori francesi si interrogano sulla natura del proprio mestiere, e nel 2008 Giulio Cesare in Asterix alle Olimpiadi (Forestier - Langmann 2008).
Pressoché impossibile ridurre in poche righe la vita privata di Alain Delon che, pur apparendo in molti film di rilievo, al grande pubblico è noto soprattutto come l'attore più bello del mondo. Dopo Brigitte Auber ebbe una lunga relazione con Romy Schneider, conosciuta sul set del primo film da protagonista, L'amante pura (Gaspard-Huit 1958), ma nel 1964 sposò l'attrice Francine Canovas, poi nota come Nathalie Delon, da cui ebbe nello stesso anno il suo primo figlio, Anthony. Un anno prima del divorzio, avvenuto nel 1969, Delon iniziò un'altra lunga relazione, con Mireille Darc, durata fino al 1983. La sua storia più lunga è stata quella iniziata nel 1987, con l'ex modella e giornalista olandese Rosalie van Breemen. Con lei si trasferì in Svizzera e da lei ebbe altri due figli, Anouchka e Alain-Fabien. In realtà un quarto figlio, mai riconosciuto, Christian Aaron Boulogne, era nato nel 1962, ancor prima di Anthony, dalla breve storia con Nico nel periodo in cui Alain era con Romy Schneider.
Oltre la cantante, attrice e modella tedesca, tra i tanti flirt di Delon ci sono Veronique Jannot, Sylvia Kristel, Sydne Rome, Dalila Di Lazzaro, Anne Parillaud, Catherine Pironi. Sembra invece che non andò mai oltre la grande amicizia, infatti durata tutta la vita, il rapporto di Alain con Brigitte Bardot, con cui ha condiviso le posizioni politiche golliste e nazionaliste, perdendo più volte l'occasione di fare silenzio pronunciando frasi come «l'omosessualità è contro natura» o «la Francia è una nazione di razza bianca» e confermando che non sempre essere un mito significhi avere una mente brillante.
Con Rosalie van Breemen la storia è finita nel 2005, anno dal quale Alain Delon è caduto in una forte depressione durata fino al 2009. Ironia della sorte, anche l'uomo più bello del mondo, in tarda età sembra essere caduto nella trappola della badante, la giapponese Hiromi Rollin, denunciata dai figli dell'attore per circonvenzione di incapace lo scorso luglio e con cui Delon ha dichiarato di avere una relazione da 33 anni.
Mi piace però chiudere questo ricordo con uno dei saluti più emozionanti di questi giorni, quello di Claudia Cardinale, che è tornata ai personaggi de Il Gattopardo, dichiarando «il ballo è finito. Tancredi è salito a ballare con le stelle… per sempre tua, Angelica».
Una leggendaria e lontana parentela con i Bonaparte, tramite la nonna paterna Marie-Antoniette Evangelista, la vita sembrava riservargli una carriera da salumiere...
Nato da Fabien Delon, direttore di un cinema di Sceaux, e da Édith Arnold, commessa di farmacia, Alain si ritrovò a dover affrontare la separazione dei genitori quando aveva solo quattro anni, un trauma acuito dal periodo successivo passato con una famiglia adottiva, il cui pater familias era una guardia carceraria, e poi, a otto anni, nel collegio di suore a Issy-les-Moulineaux. Ed è in adolescenza che Alain, tornato dalla madre e dal suo nuovo marito, salumiere, diventa l'apprendista del negozio e inizia a recitare, in un cortometraggio del padre di un suo amico, Le rapt (1949, vedi).
Il suo temperamento ribelle e desideroso di indipendenza, però, lo spinge ad arruolarsi in marina nel 1952 e l'anno successiva è nel contingente francese nella guerra in Indocina, dove il suo carattere non si fa certo più morbido e viene espulso dopo 11 mesi di prigione per indisciplina.
Il puro Rocco di Rocco e i suoi fratelli (Visconti 1960) |
È grazie alla fidanzata attrice Brigitte Auber che conosce Jean-Claude Brialy, che lo porta a Cannes dove il suo volto viene ovviamente notato e, dopo qualche tempo a Roma, torna in Francia per lavorare con il regista Yves Allégret, con cui esordisce in Godot (1957), dove il suo personaggio, Jo, viene ucciso da un colpo di pistola... In barba alla scaramanzia, morire sul set non fu mai così proficuo!
Con Jean Gabin e Lino Ventura ne Il clan dei siciliani |
Poi Alain tornerà sul set con il suo modello attoriale ne Il clan dei siciliani (Verneuil 1969) e in Due contro la città (Giovanni 1973).
Con Belmondo in Borsalino (Deray 1970) |
Delon ne La prima notte di quietei (Zurlini 1972) |
All'inizio degli anni Ottanta Alain Delon passa anche dietro la mdp, dirigendo pellicole come Per la pelle di un poliziotto (1981), Braccato (1983), polizieschi non indimenticabili di cui è anche l'attore protagonista.
Gli ultimi due decenni di carriera lo vedono recitare soprattutto in film francesi: del 1990 il suo unica apparizione in un film di Jean-Luc Godard (Nouvelle vague), poi due pellicole di Jacques Deray (Un crime, 1993; L'orso di peluche, 1994); una con Patrice Leconte (Uno dei due, 1998); e infine interpreta se stesso in Les acteurs, opera di Bertrand Blier (2000) in cui diversi attori francesi si interrogano sulla natura del proprio mestiere, e nel 2008 Giulio Cesare in Asterix alle Olimpiadi (Forestier - Langmann 2008).
Delon nel 1966 con Nathalie e Anthony |
Oltre la cantante, attrice e modella tedesca, tra i tanti flirt di Delon ci sono Veronique Jannot, Sylvia Kristel, Sydne Rome, Dalila Di Lazzaro, Anne Parillaud, Catherine Pironi. Sembra invece che non andò mai oltre la grande amicizia, infatti durata tutta la vita, il rapporto di Alain con Brigitte Bardot, con cui ha condiviso le posizioni politiche golliste e nazionaliste, perdendo più volte l'occasione di fare silenzio pronunciando frasi come «l'omosessualità è contro natura» o «la Francia è una nazione di razza bianca» e confermando che non sempre essere un mito significhi avere una mente brillante.
Tancredi e Angelica ne Il Gattopardo (Visconti 1963) |
Mi piace però chiudere questo ricordo con uno dei saluti più emozionanti di questi giorni, quello di Claudia Cardinale, che è tornata ai personaggi de Il Gattopardo, dichiarando «il ballo è finito. Tancredi è salito a ballare con le stelle… per sempre tua, Angelica».
Il cinema è ciò che resta ed è immortale!
mercoledì 31 luglio 2024
Green border (Holland 2023)
Agnieszka Holland e la sua accusa ai potenti della Polonia e dell'Europa. Una condanna senza appello, coraggiosa, perché arriva proprio da una regista polacca - non a caso dal 1981 residente in Francia -, che racconta la follia della guerra combattuta al confine tra il suo paese e la Bielorussia.
A quei confini fa riferimento il "green border" del titolo, anche se quel colore lo vediamo per pochi secondi, all'inizio dei titoli di testa, quando un drone riprende la foresta che caratterizza quello spazio liminale tra due realtà che rappresentano lo stesso inferno. Sembra una ripresa di Terrence Malick e fa istintivamente pensare a La sottile linea rossa (1998), uno dei film bellici più belli e struggenti degli ultimi decenni (trailer).
A quei confini fa riferimento il "green border" del titolo, anche se quel colore lo vediamo per pochi secondi, all'inizio dei titoli di testa, quando un drone riprende la foresta che caratterizza quello spazio liminale tra due realtà che rappresentano lo stesso inferno. Sembra una ripresa di Terrence Malick e fa istintivamente pensare a La sottile linea rossa (1998), uno dei film bellici più belli e struggenti degli ultimi decenni (trailer).
giovedì 25 luglio 2024
Il buio oltre la siepe (Mulligan 1962)
Uno dei capolavori della Universal degli anni Sessanta, con Robert Mulligan alla regia e un futuro altro regista, allora appena trentaquattrenne, alla produzione, Alan J. Pakula, per l'adattamento di un romanzo di successo, quello della statunitense Harper Lee (1926-2016), scritto nel 1960 e vincitore del premio Pulitzer nel 1961, da cui ha derivato la sceneggiatura Horton Foote.
Quest'ultimo, l'attore protagonista Gregory Peck e la scenografia, firmata da Alexander Golitzen, Henry Bumstead e Oliver Emert, vinsero i rispettivi Oscar nel 1963, mentre rimasero solo candidature quelle per il miglior film, la regia, l'attrice non protagonista (la giovanissima Mary Badham), la fotografia di Russell Harlan e la colonna sonora di Elmer Bernstein (trailer).
Quest'ultimo, l'attore protagonista Gregory Peck e la scenografia, firmata da Alexander Golitzen, Henry Bumstead e Oliver Emert, vinsero i rispettivi Oscar nel 1963, mentre rimasero solo candidature quelle per il miglior film, la regia, l'attrice non protagonista (la giovanissima Mary Badham), la fotografia di Russell Harlan e la colonna sonora di Elmer Bernstein (trailer).
lunedì 22 luglio 2024
La sala professori (Çatak 2023)
Gran bel film quello di İlker Çatak, che ha girato quello che può essere definito un thriller etico e filosofico, che parla di relativismo e ambiguità della giustizia, partendo da un ambito scolastico che è sineddoche dell'intera società.
Presentata al Festival di Berlino e candidata per la Germania all'Oscar per il 2024, la pellicola è davvero un meccanismo a orologeria, psicologico e ansiogeno, in cui lo svelamento della relatività della giustizia non abbandona lo spettatore nemmeno una volta uscito dal cinema (trailer).
Presentata al Festival di Berlino e candidata per la Germania all'Oscar per il 2024, la pellicola è davvero un meccanismo a orologeria, psicologico e ansiogeno, in cui lo svelamento della relatività della giustizia non abbandona lo spettatore nemmeno una volta uscito dal cinema (trailer).
giovedì 11 luglio 2024
Inside Out 2 (Mann 2024)
La Pixar torna nella mente di Riley con le sue emozioni in evoluzione, e stavolta Pete Docter, che nel 2015 era ideatore del soggetto e regista insieme a Ronnie del Carmen, passa ad essere il produttore esecutivo, mentre la regia va a Kelsey Mann. Il risultato non cambia, perché Inside Out 2, pur non potendo avere l'effetto sorprendente della prima pellicola (Inside Out, 2015), è un ottimo film d'animazione che elettrizza i bambini e fa ridere, senza mai smettere di farli riflettere, gli adulti.
Resta la straordinaria torre di controllo del cervello della giovanissima Riley - idea ripresa dal Woody Allen di Tutto quello che avreste sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere (1972) -, ma ora quella che era una bambina è diventata un'adolescente e le "vecchie" emozioni, tutte presenti, Gioia, Tristezza, Paura, Disgusto e Rabbia, vengono letteralmente soppiantate dalle nuove (trailer).
Resta la straordinaria torre di controllo del cervello della giovanissima Riley - idea ripresa dal Woody Allen di Tutto quello che avreste sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere (1972) -, ma ora quella che era una bambina è diventata un'adolescente e le "vecchie" emozioni, tutte presenti, Gioia, Tristezza, Paura, Disgusto e Rabbia, vengono letteralmente soppiantate dalle nuove (trailer).
venerdì 5 luglio 2024
Marnie (Hitchcock 1964)
Nel 1956, Alfred Hitchcock, dopo le tante bionde protagoniste dei suoi film, su tutte Joan Fontaine e Ingrid Bergman, venne abbandonato da una delle sue attrici più iconiche, forse quella a cui era più legato: Grace Kelly sposò il principe Ranieri e divenne principessa di Monaco rinunciando alla carriera cinematografica. E così sir Alfred dovette mettersi alla ricerca di una nuova attrice-feticcio e la scelta ricadde sulla bella Nathalie Kay Hedren, notata per classe e stile nel 1961, in uno spot televisivo per la bevanda dietetica Sego.
Il maestro del brivido scelse per lei anche il soprannome, mutuandolo dal nomignolo che usava il padre, d'origine svedese: da tupsa (piccola) a "Tippi" il passo fu breve e con questo nome l'attrice interpretò due dei grandi capolavori degli anni Sessanta dell'immensa filmografia del regista britannico, Gli uccelli (1963) e Marnie (1964). A dire il vero, per Marnie Hitch provò ancora a convincere Grace Kelly, ma senza successo e, alla fine, a impersonare Margareth Edgar, la donna cleptomane e fobica protagonista della pellicola, fu proprio Tippi Hedren, ma con l'acconciatura e, soprattutto, lo chignon di Alexandre de Paris, lo stesso parrucchiere di Grace, che mandò sul set la sua collaboratrice Gwendoline (trailer).
Il maestro del brivido scelse per lei anche il soprannome, mutuandolo dal nomignolo che usava il padre, d'origine svedese: da tupsa (piccola) a "Tippi" il passo fu breve e con questo nome l'attrice interpretò due dei grandi capolavori degli anni Sessanta dell'immensa filmografia del regista britannico, Gli uccelli (1963) e Marnie (1964). A dire il vero, per Marnie Hitch provò ancora a convincere Grace Kelly, ma senza successo e, alla fine, a impersonare Margareth Edgar, la donna cleptomane e fobica protagonista della pellicola, fu proprio Tippi Hedren, ma con l'acconciatura e, soprattutto, lo chignon di Alexandre de Paris, lo stesso parrucchiere di Grace, che mandò sul set la sua collaboratrice Gwendoline (trailer).
giovedì 27 giugno 2024
Confidenza (Luchetti 2024)
Confidenza è una tragedia borghese, un film sull'amore o meglio sui legami indissolubili di certi amori, mentali, fisici, totalizzanti, ma proprio per questo, forse, debordanti e impossibili.
Adattamento dell'omonimo romanzo di Domenico Starnone - dopo La scuola (1995) e Lacci (2020) -, che Daniele Luchetti stavolta scrive insieme a Francesco Piccolo. Ne deriva una pellicola che non può lasciare impassibili, che mette a disagio e porta lo spettatore nei più reconditi anfratti delle dinamiche sentimentali, partendo dalle vicende personali di Pietro Vella (Elio Germano), professore di lettere di un liceo della periferia di Roma, che al centro del suo insegnamento mette "la pedagogia dell'affetto", espressione che diventerà il titolo del saggio che lo renderà famoso oltre i confini scolastici (trailer).
venerdì 21 giugno 2024
In nome del popolo italiano (Risi 1971)
Tutto cambia perché nulla cambi... guardare questo film di Dino Risi fa risuonare in testa le parole di Tomasi da Lampedusa e il suo "qualcosa doveva cambiare perché tutto restasse com'era prima" (Il Gattopardo, Visconti 1963), poiché è impressionante seguirne la trama con la netta sensazione di poterla collocare in ogni epoca.
Forse è l'uomo ad essere sempre lo stesso, ma i personaggi di Mariano Bonifazi, il superlativo giudice interpretato da Ugo Tognazzi, e di Lorenzo Santenocito, l'imprenditore faccendiere cui presta il volto un impareggiabile Vittorio Gassman, ci fanno pensare istintivamente, per esempio, a tanti momenti della storia della nostra Repubblica e su tutti, negli ultimi decenni, allo scandalo di Mani Pulite (trailer e guarda il film).
Forse è l'uomo ad essere sempre lo stesso, ma i personaggi di Mariano Bonifazi, il superlativo giudice interpretato da Ugo Tognazzi, e di Lorenzo Santenocito, l'imprenditore faccendiere cui presta il volto un impareggiabile Vittorio Gassman, ci fanno pensare istintivamente, per esempio, a tanti momenti della storia della nostra Repubblica e su tutti, negli ultimi decenni, allo scandalo di Mani Pulite (trailer e guarda il film).
mercoledì 12 giugno 2024
Kind of Kindness (Lanthimos 2024)
Yorgos Lanthimos torna al passato. Kind of Kindness sembra l'aggiornamento pop delle prime pellicole del regista greco, quelle più disturbanti, come Dogtooth (2009) e Alps (2011), ma con produzione e cast hollywoodiani (trailer).
Come nelle prime opere, l'approfondimento psicologico, sociale e politico è fondante e la società di Lanthimos resta quella che vive nel surrealismo granguignolesco, fatta di personaggi mentalmente fragili e capaci di azioni folli, autolesionistiche, inserite in strani rituali iniziatici e depuratori o alla ricerca di qualcosa che spesso ci sfugge. A capo di questi contesti sociali, uomini e donne con uno spasmodico bisogno di controllo sugli altri, quello che invece cercano il loro consenso in maniera totalizzante e ne fanno l'unica ragione del proprio essere. D'altronde non a caso il regista ha scelto "kindness" per il titolo, la cui valenza semantica spazia da "gentilezza" a "premura", ma anche, nella sfera dell'amore, ne sottolinea la totale "gratuità" e arriva a designare persino il "piacere sessuale".
Il film è strutturato in tre episodi, che vedono protagonista, almeno nel titolo, un personaggio in realtà minore delle vicende, un uomo anonimo che subisce gli eventi. La morte di R.M.F., R.M.F. vola, R.M.F. mangia un sandwich i tre titoli che preannunciano l'ironia macabra di storie in cui gli attori sono sempre gli stessi, ma che, fatta eccezione per R.M.F. (Yorgos Stefanakos), interpretano personaggi ogni volta diversi. Il premio vinto da Jesse Plemons a Cannes è sacrosanto, ma difficile non premiare anche gli altri. L'overcasting del progetto è palese, il film risulta un susseguirsi di pezzi di bravura della regia e della recitazione: si potrebbe dire che Lanthimos ha messo insieme alcuni tra i migliori attori su piazza per fargli fare cose assurde per due ore e mezzo, ma come sempre nella sua assurdità c'è tanto senso...
Nel primo episodio Robert (Jesse Plemons) ha una vita determinata dalle decisioni del suo capo, Raymond (Willem Dafoe), e quando si rifiuta di seguire un suo ordine e viene sostituito da una nuova vittima, Rita (Emma Stone), comprendiamo quanto tale controllo abbia influito su tutto, vita sentimentale compresa con la moglie Sarah (Hong Chau). Robert farà di tutto per rientrare nelle grazie di Raymond e di sua moglie Vivian (Margareth Qualley).
Nel secondo, ad Ocean Springs (come rivela l'OSPD della sua divisa), il poliziotto Daniel (Jesse Plemons) ha perso la moglie Liz (Emma Stone) dopo un naufragio e passa serate tristi con l'amico e collega Neil (Mamoudou Athie) e la compagna Martha (Margaret Qualley). Quando Liz viene ritrovata, all'iniziale felicità in Daniel fa posto il dubbio e la paranoia che non sia davvero sua moglie e fa richieste estreme alla donna perché dimostri il suo amore per lui.
Nel terzo, Emily (Emma Stone) e Andrew (Jesse Plemons) sono membri di una setta, guidata da Omi (Willelm Dafoe) e Aka (Hong Chau), alla ricerca di una donna che sia in grado di resuscitare i morti con l'imposizione delle mani. Provano con Anna (Hunter Schafer) e poi si mettono sulle tracce delle gemelle Ruth e Rebecca Weber (Margaret Qualley), che Emily ha sognato in uno strano contesto acquatico in cui le due ragazze sembravano praticare nuoto sincronizzato, e riescono anche ad intervistare loro padre, che però ne parla come fossero morte. Emily, abusata sessualmente dal marito Joseph (Joe Alwyn), diventa "impura" ed espulsa dalla setta, che non ammette la pratica del sesso. Pur di ottenere il consenso del gruppo, Emily continua la ricerca.Basta dare un'occhiata a queste tre trame, per comprendere il leitmotiv di una pellicola basata sul sacrificio a cui l'uomo è disposto a sottoporsi per essere accettato. L'annullamento di se stesso, sembra suggerirci Lanthimos, è la battaglia che tutti dobbiamo combattere nel quotidiano sul lavoro (primo episodio), nelle relazioni (secondo episodio), nella società (terzo episodio).
Le azioni apparentemente assurde e disturbanti, si diceva, costituiscono l'anima del cinema di Lanthimos, e Kind of Kindness arricchisce il campionario del cineasta con incidenti d'auto programmati, tuffi in piscine vuote, dita cucinate per cena; organi autoespiantati; baci post vomito; una forte estetica necrofila; corpi sudati leccati per motivi scientifici e non certo passionali; auto guidate dissennatamente come nei videogiochi; sesso iniziatico tra guide spirituali e adepti - con tanto di sala d'aspetto -, ma anche sesso di gruppo tra coppie borghesi, immortalato in vecchie riprese riguardate in momenti completamente lontani da ogni pur minima eccitazione; carezze di un poliziotto a un pregiudicato non giustificate dall'attrazione ma dalla confusione.
Tra i tanti obblighi del plan a cui è quotidianamente sottoposto Robert, c'è anche la lettura di Anna Karenina (Tolstoj 1877), nonché le istruzioni su quali vestiti indossare, cosa bere, quando mangiare, quando riposare, quando fare sesso. Ed è giocoforza che, una volta perso il contatto col capo per un semplice principio di autodeterminazione, Robert non sarà più in grado di prendere decisioni, in una sorta di burn out non solo lavorativo, ma di vita intera. Persino per approcciare una donna, Rita, si troverà a riproporre le bieche tattiche autolesionistiche usate per conquistare la moglie grazie alle indicazioni del suo boss.
Raymond e gli altri leader degli episodi, tra l'altro, baciano i loro sottoposti sulle labbra, un gesto che nell'immaginario collettivo è sì quello dell'amore, di partenza, ma nella versione rituale degli uomini d'onore della mafia, che vuol dire ancora più controllo e annullamento della libertà. Come in quel contesto, basta una disobbedienza, un semplice no, perché si venga considerati dei traditori ed essere fuori dal cerchio magico: accade a Robert, ma anche a Emily. Allo stesso modo, la richiesta di perdono da parte del "superiore" di turno è ossessiva e gestita in modo drammatico: Robert per ottenere il perdono indaga, ruba, diventa falso e obliquo; Liz si distrugge letteralmente pur di essere accettata da Daniel e servirlo come desidera e non accetta quando suo padre, George, parla male di suo marito; Emily è pronta a rinunciare alla propria famiglia pur di essere riammessa nella setta.
Quello che accade a Daniel, poi, a cui viene diagnosticata una "forma lieve di delirio persecutorio", è uno dei massimi segni dell'ambiguità del reale in Lanthimos, qualcosa di decisamente polanskiano, poiché nulla segue le regole del senso comune.
Anche gli oggetti sono basilari e la loro trattazione meriterebbe spazio in un libro bellissimo come La mela di Cézanne e l'accendino di Hitchcock di Antonio Costa, che ha il difetto di essere uscito ormai dieci anni fa (Einaudi 2014). Il museo di oggetti sportivi del primo episodio è esemplare: Raymond regala a Robert la racchetta rotta da John McEnroe nel 1984, per andare a fare compagnia alla vetrina con il casco di Ayrton Senna, le scarpe di Michael Jordan e tanto altro. Ma poi ci sono la BMW blu di R.M.F., la statua della Madonna di Lourdes fuori casa di Daniel e Liz, l'auto viola guidata Emily e la sauna dove le persone vengono "preparate" per leccare loro il sudore e capire se sono contaminate o meno nel terzo episodio.
C'è molto dell'estetica tarantiniana in questo film di Lanthimos, a partire da Vivian che potrebbe essere la figlia di mia Wallace di Pulp Fiction (1993), così come la stessa auto viola di Emily starebbe benissimo in Grindhouse (2007) e non solo, mentre l'incredibile mise di Willem Dafoe, con sandali e calzini, giacca a vento rosa e soprattutto i capelli a banana, fanno pensare persino al Leningrad Cowboys go to America di Kaurismaki (1996).
La regia, che spesso ricorre a dissolvenze incrociate e a brevi flashback in bianco e nero che ci illustrano quanto ha determinato i comportamenti dei personaggi che vediamo nel presente, è lenta e cinica: la mdp si muove lentamente con carrelli (soprattutto in avanti) che amplificano l'attesa e l'agonia di molte scene. In un caso la mdp si sposta in orizzontale passando da un ambiente all'altro (e rivelando il divisorio della messa in scena), seguendo Daniel che da un lato in bagno si lava le mani e dall'altro risponde al telefono. E ancora, l'inquadratura che mostra Liz sdraiata sul divano dopo gli atroci dolori inflittisi omaggia il Cristo morto di Mantegna (Milano, Pinacoteca di Brera). Proprio la storia dell'arte, peraltro, è protagonista della locandina del film, tripartita come la sceneggiatura, che strizza l'occhio al surrealismo bretoniano con la racchetta di McEnroe a fare da orologio sciolto alla Dalì, affiancata dal dito mozzato di Liz, e al centro la mano sanguinante di Robert tenuta da un groviglio di mani, sormontata da una goccia.
Anche la fotografia di Robbie Ryan è molto incisiva e in alcuni frangenti, si veda Rita seduta sul divano in una stanza illuminata dalle lampade, i rimandi alla pittura statunitense e a Edward Hopper appaiono evidenti. Allo stesso modo le inquadrature totalizzanti degli incredibili uffici vetrati dei grattacieli del primo episodio, nella loro vertiginosa glacialità, dicono moto più di mille parole sulla prigione psicologica di Robert.
Inoltre, al fastidio generato da molte sequenze, che può travalicare nell'insopportabilità a seconda dello spettatore, un ruolo determinante è giocato dai motivi dissonanti del pianoforte di Jerskin Fendrix, autore della colonna sonora.
Ci sono anche diversi brani di musica pop, però, a caratterizzare alcuni momenti iconici della pellicola. Si parte con i titoli di testa sulle note extradiegetiche di Sweet dreams degli Eurythmics, che dopo la prima sequenza diventano diegetiche poiché provengono dall'auto di R.M.F.; si passa per How deep is your love che Vivian improvvisa maldestramente con una tastiera in salotto; si arriva a Emily che balla davanti alla sua auto Brand New Bitch della cantante dance svedese Cobrah (video e film).
Un discorso a parte meritano i titoli di coda del secondo episodio, che in qualche modo echeggiano l'assurdo racconto di Emily che, naufraga sull'isola, ha visto una società di cani che la abitava e che li teneva prigionieri, ma trattandoli molto meglio di quanto di umani fanno con gli animali. La sua narrazione fa pensare ai Libri di meraviglie che secoli fa vagheggiavano di popolazioni di cinocefali che vivevano in luoghi esotici ancora ignoti all'uomo o ad un rimando decisamente più cinefilo, quello de L'isola dei cani (Anderson 201). Nei titoli di coda dell'episodio, invece, i cani hanno sostituito gli uomini nella nostra società, guidano, vanno al mare e vivono nelle città al suono di Rainbow in the dark del gruppo metal Dio (1983). Sui rimandi cinefili, inoltre, nello strano rapporto tra Robert e il barista del primo episodio, l'osservatore più attento non potrà fare a meno di pensare a Jack Torrance-Jack Nicholson che, in Shining (Kubrick 1980), parlava al banco con Lloyd, interpretato da Joe Turkel,
Molte anche le frasi di una sceneggiatura tagliente e beffarda, che Lanthimos ha scritto con Efthymis Filippou, e che mette a disagio come la regia e la musica. Si pensi a Raymond che dice a Robert "gli uomini magri sono la cosa più ridicola che esista", o alla frase rivolta a Emily, piangente fuori dal cancello, dopo l'espulsione dalla setta, "forse sei fatta per crescere una figlia e vivere con un marito. Non è poi così male"; nonché alla inappuntabile razionalità di Rebecca che dice a Emily e Andrew che "seguendo l'ordine naturale delle cose avrei dovuto essere morta".
Nulla, questo è certo, mette a proprio agio durante la visione del film di Lanthimos, forse soprattutto perché "nulla segue l'ordine naturale delle cose".
Come nelle prime opere, l'approfondimento psicologico, sociale e politico è fondante e la società di Lanthimos resta quella che vive nel surrealismo granguignolesco, fatta di personaggi mentalmente fragili e capaci di azioni folli, autolesionistiche, inserite in strani rituali iniziatici e depuratori o alla ricerca di qualcosa che spesso ci sfugge. A capo di questi contesti sociali, uomini e donne con uno spasmodico bisogno di controllo sugli altri, quello che invece cercano il loro consenso in maniera totalizzante e ne fanno l'unica ragione del proprio essere. D'altronde non a caso il regista ha scelto "kindness" per il titolo, la cui valenza semantica spazia da "gentilezza" a "premura", ma anche, nella sfera dell'amore, ne sottolinea la totale "gratuità" e arriva a designare persino il "piacere sessuale".
Il film è strutturato in tre episodi, che vedono protagonista, almeno nel titolo, un personaggio in realtà minore delle vicende, un uomo anonimo che subisce gli eventi. La morte di R.M.F., R.M.F. vola, R.M.F. mangia un sandwich i tre titoli che preannunciano l'ironia macabra di storie in cui gli attori sono sempre gli stessi, ma che, fatta eccezione per R.M.F. (Yorgos Stefanakos), interpretano personaggi ogni volta diversi. Il premio vinto da Jesse Plemons a Cannes è sacrosanto, ma difficile non premiare anche gli altri. L'overcasting del progetto è palese, il film risulta un susseguirsi di pezzi di bravura della regia e della recitazione: si potrebbe dire che Lanthimos ha messo insieme alcuni tra i migliori attori su piazza per fargli fare cose assurde per due ore e mezzo, ma come sempre nella sua assurdità c'è tanto senso...
Nel primo episodio Robert (Jesse Plemons) ha una vita determinata dalle decisioni del suo capo, Raymond (Willem Dafoe), e quando si rifiuta di seguire un suo ordine e viene sostituito da una nuova vittima, Rita (Emma Stone), comprendiamo quanto tale controllo abbia influito su tutto, vita sentimentale compresa con la moglie Sarah (Hong Chau). Robert farà di tutto per rientrare nelle grazie di Raymond e di sua moglie Vivian (Margareth Qualley).
Nel secondo, ad Ocean Springs (come rivela l'OSPD della sua divisa), il poliziotto Daniel (Jesse Plemons) ha perso la moglie Liz (Emma Stone) dopo un naufragio e passa serate tristi con l'amico e collega Neil (Mamoudou Athie) e la compagna Martha (Margaret Qualley). Quando Liz viene ritrovata, all'iniziale felicità in Daniel fa posto il dubbio e la paranoia che non sia davvero sua moglie e fa richieste estreme alla donna perché dimostri il suo amore per lui.
Nel terzo, Emily (Emma Stone) e Andrew (Jesse Plemons) sono membri di una setta, guidata da Omi (Willelm Dafoe) e Aka (Hong Chau), alla ricerca di una donna che sia in grado di resuscitare i morti con l'imposizione delle mani. Provano con Anna (Hunter Schafer) e poi si mettono sulle tracce delle gemelle Ruth e Rebecca Weber (Margaret Qualley), che Emily ha sognato in uno strano contesto acquatico in cui le due ragazze sembravano praticare nuoto sincronizzato, e riescono anche ad intervistare loro padre, che però ne parla come fossero morte. Emily, abusata sessualmente dal marito Joseph (Joe Alwyn), diventa "impura" ed espulsa dalla setta, che non ammette la pratica del sesso. Pur di ottenere il consenso del gruppo, Emily continua la ricerca.Basta dare un'occhiata a queste tre trame, per comprendere il leitmotiv di una pellicola basata sul sacrificio a cui l'uomo è disposto a sottoporsi per essere accettato. L'annullamento di se stesso, sembra suggerirci Lanthimos, è la battaglia che tutti dobbiamo combattere nel quotidiano sul lavoro (primo episodio), nelle relazioni (secondo episodio), nella società (terzo episodio).
Le azioni apparentemente assurde e disturbanti, si diceva, costituiscono l'anima del cinema di Lanthimos, e Kind of Kindness arricchisce il campionario del cineasta con incidenti d'auto programmati, tuffi in piscine vuote, dita cucinate per cena; organi autoespiantati; baci post vomito; una forte estetica necrofila; corpi sudati leccati per motivi scientifici e non certo passionali; auto guidate dissennatamente come nei videogiochi; sesso iniziatico tra guide spirituali e adepti - con tanto di sala d'aspetto -, ma anche sesso di gruppo tra coppie borghesi, immortalato in vecchie riprese riguardate in momenti completamente lontani da ogni pur minima eccitazione; carezze di un poliziotto a un pregiudicato non giustificate dall'attrazione ma dalla confusione.
Tra i tanti obblighi del plan a cui è quotidianamente sottoposto Robert, c'è anche la lettura di Anna Karenina (Tolstoj 1877), nonché le istruzioni su quali vestiti indossare, cosa bere, quando mangiare, quando riposare, quando fare sesso. Ed è giocoforza che, una volta perso il contatto col capo per un semplice principio di autodeterminazione, Robert non sarà più in grado di prendere decisioni, in una sorta di burn out non solo lavorativo, ma di vita intera. Persino per approcciare una donna, Rita, si troverà a riproporre le bieche tattiche autolesionistiche usate per conquistare la moglie grazie alle indicazioni del suo boss.
Raymond e gli altri leader degli episodi, tra l'altro, baciano i loro sottoposti sulle labbra, un gesto che nell'immaginario collettivo è sì quello dell'amore, di partenza, ma nella versione rituale degli uomini d'onore della mafia, che vuol dire ancora più controllo e annullamento della libertà. Come in quel contesto, basta una disobbedienza, un semplice no, perché si venga considerati dei traditori ed essere fuori dal cerchio magico: accade a Robert, ma anche a Emily. Allo stesso modo, la richiesta di perdono da parte del "superiore" di turno è ossessiva e gestita in modo drammatico: Robert per ottenere il perdono indaga, ruba, diventa falso e obliquo; Liz si distrugge letteralmente pur di essere accettata da Daniel e servirlo come desidera e non accetta quando suo padre, George, parla male di suo marito; Emily è pronta a rinunciare alla propria famiglia pur di essere riammessa nella setta.
Quello che accade a Daniel, poi, a cui viene diagnosticata una "forma lieve di delirio persecutorio", è uno dei massimi segni dell'ambiguità del reale in Lanthimos, qualcosa di decisamente polanskiano, poiché nulla segue le regole del senso comune.
Anche gli oggetti sono basilari e la loro trattazione meriterebbe spazio in un libro bellissimo come La mela di Cézanne e l'accendino di Hitchcock di Antonio Costa, che ha il difetto di essere uscito ormai dieci anni fa (Einaudi 2014). Il museo di oggetti sportivi del primo episodio è esemplare: Raymond regala a Robert la racchetta rotta da John McEnroe nel 1984, per andare a fare compagnia alla vetrina con il casco di Ayrton Senna, le scarpe di Michael Jordan e tanto altro. Ma poi ci sono la BMW blu di R.M.F., la statua della Madonna di Lourdes fuori casa di Daniel e Liz, l'auto viola guidata Emily e la sauna dove le persone vengono "preparate" per leccare loro il sudore e capire se sono contaminate o meno nel terzo episodio.
C'è molto dell'estetica tarantiniana in questo film di Lanthimos, a partire da Vivian che potrebbe essere la figlia di mia Wallace di Pulp Fiction (1993), così come la stessa auto viola di Emily starebbe benissimo in Grindhouse (2007) e non solo, mentre l'incredibile mise di Willem Dafoe, con sandali e calzini, giacca a vento rosa e soprattutto i capelli a banana, fanno pensare persino al Leningrad Cowboys go to America di Kaurismaki (1996).
La regia, che spesso ricorre a dissolvenze incrociate e a brevi flashback in bianco e nero che ci illustrano quanto ha determinato i comportamenti dei personaggi che vediamo nel presente, è lenta e cinica: la mdp si muove lentamente con carrelli (soprattutto in avanti) che amplificano l'attesa e l'agonia di molte scene. In un caso la mdp si sposta in orizzontale passando da un ambiente all'altro (e rivelando il divisorio della messa in scena), seguendo Daniel che da un lato in bagno si lava le mani e dall'altro risponde al telefono. E ancora, l'inquadratura che mostra Liz sdraiata sul divano dopo gli atroci dolori inflittisi omaggia il Cristo morto di Mantegna (Milano, Pinacoteca di Brera). Proprio la storia dell'arte, peraltro, è protagonista della locandina del film, tripartita come la sceneggiatura, che strizza l'occhio al surrealismo bretoniano con la racchetta di McEnroe a fare da orologio sciolto alla Dalì, affiancata dal dito mozzato di Liz, e al centro la mano sanguinante di Robert tenuta da un groviglio di mani, sormontata da una goccia.
Anche la fotografia di Robbie Ryan è molto incisiva e in alcuni frangenti, si veda Rita seduta sul divano in una stanza illuminata dalle lampade, i rimandi alla pittura statunitense e a Edward Hopper appaiono evidenti. Allo stesso modo le inquadrature totalizzanti degli incredibili uffici vetrati dei grattacieli del primo episodio, nella loro vertiginosa glacialità, dicono moto più di mille parole sulla prigione psicologica di Robert.
Inoltre, al fastidio generato da molte sequenze, che può travalicare nell'insopportabilità a seconda dello spettatore, un ruolo determinante è giocato dai motivi dissonanti del pianoforte di Jerskin Fendrix, autore della colonna sonora.
Ci sono anche diversi brani di musica pop, però, a caratterizzare alcuni momenti iconici della pellicola. Si parte con i titoli di testa sulle note extradiegetiche di Sweet dreams degli Eurythmics, che dopo la prima sequenza diventano diegetiche poiché provengono dall'auto di R.M.F.; si passa per How deep is your love che Vivian improvvisa maldestramente con una tastiera in salotto; si arriva a Emily che balla davanti alla sua auto Brand New Bitch della cantante dance svedese Cobrah (video e film).
Un discorso a parte meritano i titoli di coda del secondo episodio, che in qualche modo echeggiano l'assurdo racconto di Emily che, naufraga sull'isola, ha visto una società di cani che la abitava e che li teneva prigionieri, ma trattandoli molto meglio di quanto di umani fanno con gli animali. La sua narrazione fa pensare ai Libri di meraviglie che secoli fa vagheggiavano di popolazioni di cinocefali che vivevano in luoghi esotici ancora ignoti all'uomo o ad un rimando decisamente più cinefilo, quello de L'isola dei cani (Anderson 201). Nei titoli di coda dell'episodio, invece, i cani hanno sostituito gli uomini nella nostra società, guidano, vanno al mare e vivono nelle città al suono di Rainbow in the dark del gruppo metal Dio (1983). Sui rimandi cinefili, inoltre, nello strano rapporto tra Robert e il barista del primo episodio, l'osservatore più attento non potrà fare a meno di pensare a Jack Torrance-Jack Nicholson che, in Shining (Kubrick 1980), parlava al banco con Lloyd, interpretato da Joe Turkel,
Molte anche le frasi di una sceneggiatura tagliente e beffarda, che Lanthimos ha scritto con Efthymis Filippou, e che mette a disagio come la regia e la musica. Si pensi a Raymond che dice a Robert "gli uomini magri sono la cosa più ridicola che esista", o alla frase rivolta a Emily, piangente fuori dal cancello, dopo l'espulsione dalla setta, "forse sei fatta per crescere una figlia e vivere con un marito. Non è poi così male"; nonché alla inappuntabile razionalità di Rebecca che dice a Emily e Andrew che "seguendo l'ordine naturale delle cose avrei dovuto essere morta".
Nulla, questo è certo, mette a proprio agio durante la visione del film di Lanthimos, forse soprattutto perché "nulla segue l'ordine naturale delle cose".
venerdì 7 giugno 2024
Marcello mio (Honoré 2024)
Christophe Honoré, o meglio Chiara Mastroianni.
Difficile guardare il film del regista francese senza pensare esclusivamente all'attrice che lo interpreta, poiché la pellicola è una vera e propria forma di terapia di Chiara per la perdita dell'ingombrante padre, Marcello, a cui ovviamente rimanda il titolo. Per lo spettatore, invece, la sensazione di aver assistito con voyeurismo a una seduta di terapia altrui, con tanta cinefilia.
L'intera storia è un continuo rimando a ruoli e momenti della carriera di Marcello Mastroianni, a partire dalla primissima sequenza che mostra Chiara attrice - a cui viene chiesto di essere "meno Deneuve e più Mastroianni" - come Anita Ekberg, in piedi all'interno della fontana parigina di Place Saint-Sulpice, nota anche come dei Quatre Points Cardinaux. La Fontana di Trevi, in una sorta di chiusura del cerchio, arriverà molto più avanti nel film, con Chiara stavolta nei panni del padre, che, come faceva lui ne La dolce vita (Fellini 1960), entra nella grande vasca (trailer).
Difficile guardare il film del regista francese senza pensare esclusivamente all'attrice che lo interpreta, poiché la pellicola è una vera e propria forma di terapia di Chiara per la perdita dell'ingombrante padre, Marcello, a cui ovviamente rimanda il titolo. Per lo spettatore, invece, la sensazione di aver assistito con voyeurismo a una seduta di terapia altrui, con tanta cinefilia.
L'intera storia è un continuo rimando a ruoli e momenti della carriera di Marcello Mastroianni, a partire dalla primissima sequenza che mostra Chiara attrice - a cui viene chiesto di essere "meno Deneuve e più Mastroianni" - come Anita Ekberg, in piedi all'interno della fontana parigina di Place Saint-Sulpice, nota anche come dei Quatre Points Cardinaux. La Fontana di Trevi, in una sorta di chiusura del cerchio, arriverà molto più avanti nel film, con Chiara stavolta nei panni del padre, che, come faceva lui ne La dolce vita (Fellini 1960), entra nella grande vasca (trailer).
sabato 1 giugno 2024
Chien de la casse (Durand 2023)
Il film di Jean-Baptiste Durand, trentottenne regista francese all'esordio dietro la mdp, è un pugno nello stomaco assestato con tanta dolcezza. Meritati i premi César per la miglior opera prima e al miglior attore esordiente per Raphaël Quenard.
Chien de la casse, espressione idiomatica francese, che nei titoli italiano e inglese è stata resa con Cane rabbioso e Junkyard dog (cane da combattimento), potrebbe in realtà essere tradotta come "rottame da discarica", adattabile alle persone in senso metaforico. Che poi nel film uno splendido esemplare di pitbull ci sia anche è un altro discorso... (trailer)
Chien de la casse, espressione idiomatica francese, che nei titoli italiano e inglese è stata resa con Cane rabbioso e Junkyard dog (cane da combattimento), potrebbe in realtà essere tradotta come "rottame da discarica", adattabile alle persone in senso metaforico. Che poi nel film uno splendido esemplare di pitbull ci sia anche è un altro discorso... (trailer)
venerdì 24 maggio 2024
Gloria! (Vicario 2024)
Un film in costume, minimalista, raccolto sulle vicende di un istituto per orfane come fino all'età napoleonica ce ne erano ovunque e che dirottò l'insegnamento dei ragazzi verso la musica, motivo per cui ancora oggi chiamiamo le scuole di musica "conservatòri", che in origine avevano semplicemente il compito di "conservare" orfani.
Gloria!, che si complica la vita a partire dal titolo, con un necessario punto esclamativo per differenziarsi dal gran film di John Cassavetes con Gena Rowlands (1980), è il film d'esordio della cantautrice romana Margherita Vicario, scritto insieme ad Anita Rivaroli. Non è un musical, sia chiaro, nessuna sequenza mostra personaggi che interagiscono cantando e ballando come prevede questo genere, ma ha la musica come tema centrale e una ricca colonna sonora che alterna musica barocca e moderna. Si tratta di una storia di formazione, di scontro con il potere e con il patriarcato, di voglia di libertà in anni in cui questo, tanto più per le ragazze, era qualcosa di inconcepibile (trailer).
Gloria!, che si complica la vita a partire dal titolo, con un necessario punto esclamativo per differenziarsi dal gran film di John Cassavetes con Gena Rowlands (1980), è il film d'esordio della cantautrice romana Margherita Vicario, scritto insieme ad Anita Rivaroli. Non è un musical, sia chiaro, nessuna sequenza mostra personaggi che interagiscono cantando e ballando come prevede questo genere, ma ha la musica come tema centrale e una ricca colonna sonora che alterna musica barocca e moderna. Si tratta di una storia di formazione, di scontro con il potere e con il patriarcato, di voglia di libertà in anni in cui questo, tanto più per le ragazze, era qualcosa di inconcepibile (trailer).
martedì 14 maggio 2024
Anselm (Wenders 2023)
"Quando il caos viene delimitato da un confine rettangolare, allora diventa un dipinto". Con questa nettezza Anselm Kiefer esprime le sue concrete certezze artistiche, ma allo stesso tempo la sua idea di esistenza umana è dettata da quella che definisce "l'insostenibile leggerezza dell'essere": il nulla e l'essere sono un binomio "se si inizia qualcosa di grande si sa già che il fallimento sarà parte di esso". Con questo nichilismo ha affrontato la propria produzione quello che, ormai indiscutibilmente, è uno degli artisti viventi più noti al mondo che, ancora oggi, a un passo dagli ottanta anni, dichiara di sentirsi sempre bandito, sempre in cammino, "non posso fermarmi".
Difficile considerare Anselm un semplice documentario (trailer).
Difficile considerare Anselm un semplice documentario (trailer).
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