La fantascienza e il futuro distopico erano già stati affrontati dal regista coreano, in Snowpercier (2013), dove nel 2031 l'equipaggio di un treno, costretto a girare intorno alla Terra, era una bella metafora delle nostre classi sociali.
Anche Mickey 17, tratto dal libro di Edward Ashton Mickey7 (2022), è ambientato nel XXI secolo, ma nel più lontano 2054. Il film parte da una buona idea, quella di un futuro in cui le macchine permettono di replicare mente e corpo di chi ha scelto di far parte di un progetto e che un errore - quello sì, tutto umano - mette in crisi generando un doppio, tema cinematografico per eccellenza. Dal punto di vista esistenziale, l'esperienza di morte così frequente rende Mickey un personaggio nuovo e unico nel suo genere e, non a caso, la domanda costante che si sente rivolgere è "cosa si prova a morire?"
Il sistema fino a quel momento funziona benissimo: vengono generate repliche di Mickey facilmente "sacrificabili" ("expendables"), spinte in condizioni estreme e sperimentali in cui altrimenti la perdita di vite umane sarebbe all'ordine del giorno. Talvolta tra una vita e l'altra possono trascorrere persino poche decine di minuti... come non mancano di sottolineare gli scienziati con lo stesso interessato, di cui di volta in volta conoscono l'aspettativa di durata.
La temporanea fine di Mickey Barnes (Robert Pattinson) è così pressoché quotidiana e, sin dalla prima sequenza, lo vediamo morire con il sorriso sulle labbra di un compagno che gli augura buona morte e lo saluta con uno straniante "a domani". Un montaggio riassuntivo ci mostra alcune delle sedici volte precedenti, non mancando di citare 2001. Odissea nello spazio (Kubrick 1968), quando un braccio di Mickey, tagliato inavvertitamente mentre sta fluttuando nello spazio interstellare, inizia a volteggiare come l'osso/astronave della più celebre ellissi della storia del cinema.
E di citazione ce n'è almeno un'altra clamorosa all'inizio del film, durante un flashback che ci spiega perché il protagonista ha aderito a quel progetto, scegliendo di lasciare la Terra per un esperimento di colonizzazione del pianeta Niflheim. Mickey e il suo amico Timo (Steven Yeun) - che hanno avviato un'attività redditizia di vendita di macaron con tanto di t-shirt "Venderanno più degli hamburger" - vengono rapiti da alcuni malviventi che non gli lasciano speranze per una vita futura. Mickey viene legato con una palla rossa in bocca, che ci rimanda subito al famoso scantinato e al "bring out the gimp" di Pulp Fiction, ma quella che può essere un'iniziale suggestione ci viene confermata da una frase di uno dei malviventi, "li troveremo in ogni angolo della terra", versione edulcorata della frase che Marsellus Wallace pronunciava nel capolavoro di Tarantino ("anche se andasse in Indocina, uno dei nostri sarà nascosto in una ciotola di riso, pronto a sprarargli nel culo").
Quando il meccanismo di riproducibilità si inceppa, Mickey 17 si ritrova a convivere con Mickey 18, riproduzione realizzata troppo presto, con il precedente esemplare ancora in vita. Come accadeva in Moon, l'opera prima del figlio di David Bowie, in arte Duncan Jones (2009), il protagonista deve affrontare un altro sé con cui entra fatalmente in conflitto e con cui cerca di trovare un compromesso. I due condividono gli stessi incarichi, ma anche la stessa donna, Nasha (Naomi Ackie), innamoratasi di Mickey al primo sguardo, ma che non disdegna affatto la possibilità di avere due uomini identici con pulsioni diverse, una sorta di yin e yang, "piccante e dolce", apollineo e dionisiaco relazionali e sessuali che l'intera umanità vorrebbe a disposizione, e che in parte ricorda, con tutte le differenze del caso, il rapporto tra Claire Niveau e i gemelli Mantle in Inseparabili (Cronenberg 1988).
Il tema del doppio, tra i più rilevanti motivi cinematografici di sempre, è alla base della trama di Mickey 17, seppur trattato in forma di commedia sci-fi, e oltre ai film di Duncan Jones e di David Cronenberg se ne potrebbero citare a decine, da La donna che visse due volte (Hitchcock 1958) a Mulholland Drive (Lynch 2001), per dirne solo due tra i più riusciti e famosi.
Le "ristampe" del protagonista prevedono il salvataggio dei ricordi e di tutta la parte interiore all'interno di una sorta di mattone col manico, un oggetto clamorosamente analogico che ricorda le autoradio di un tempo.
Le "ristampe" del protagonista prevedono il salvataggio dei ricordi e di tutta la parte interiore all'interno di una sorta di mattone col manico, un oggetto clamorosamente analogico che ricorda le autoradio di un tempo.
A capo della missione interstellare sul pianeta Niflheim, ci sono Kenneth Marshall (Mark Ruffalo) e Ylfa (Tony Colette), una sorta di Snack e Gnola di Corrado Guzzanti e Marina Massironi (vedi), dei cattolici intransigenti ed esaltati non certo pronti al dialogo e al confronto. I problemi etici rispetto ai cosiddetti "multipli" per loro sono risolti da un sempicistico e manicheo "sono opera di Satana", e la canzone che viene riservata loro dalla sceneggiatura, un ridicolo e sguaiato omaggio a Dio, Rejoice the Lord, è davvero il momento più comico e divertente del film, decisamene apparentabile a quelli del duo di comici italiani ai tempi de L'ottavo nano.
Il resto della colonna sonora composta da Jung Jaeil è una bella serie di brani al pianoforte, con qualche sortita di archi, malinconica e dolce al tempo stesso.
Uno dei principali difetti di Mickey 17 è il suo continuo spiegare tutto, anche l'ovvio, e la voce off, che potrebbe avere una valenza narrativa ben più pregnante, si limita a fare da raccordo tra le sequenze e a spiegare quello per cui basterebbero molto spesso le sole immagini.
Tutto è molto didascalico e i messaggi edificanti, spesso veicolati da metafore, tanto abusati. Gli abitanti di Niflheim, per esempio, sono quelli che i colonizzatori chiamano "gli striscianti", esseri simili a bruchi con tante zampe prensili governati da un'enorme esemplare, una sorta di grande madre, attorno alla quale gravitano tutti. Gli umani li vedono come nemici e sono convinti di doverli combattere e sconfiggere come in ogni invasione della storia, anche se "i buoni" si rendono conto che in realtà non hanno nessuna intenzione belligerante... loro. L'associazione nativi/alieni è sin troppo evidente ed elementare, d'altronde che il cinema di fantascienza sia un'espansione del cinema di frontiera, una volta che la frontiera a ovest è terminata, è cosa che la critica cinematografica ha scritto da tempo.
Uno dei principali difetti di Mickey 17 è il suo continuo spiegare tutto, anche l'ovvio, e la voce off, che potrebbe avere una valenza narrativa ben più pregnante, si limita a fare da raccordo tra le sequenze e a spiegare quello per cui basterebbero molto spesso le sole immagini.
Tutto è molto didascalico e i messaggi edificanti, spesso veicolati da metafore, tanto abusati. Gli abitanti di Niflheim, per esempio, sono quelli che i colonizzatori chiamano "gli striscianti", esseri simili a bruchi con tante zampe prensili governati da un'enorme esemplare, una sorta di grande madre, attorno alla quale gravitano tutti. Gli umani li vedono come nemici e sono convinti di doverli combattere e sconfiggere come in ogni invasione della storia, anche se "i buoni" si rendono conto che in realtà non hanno nessuna intenzione belligerante... loro. L'associazione nativi/alieni è sin troppo evidente ed elementare, d'altronde che il cinema di fantascienza sia un'espansione del cinema di frontiera, una volta che la frontiera a ovest è terminata, è cosa che la critica cinematografica ha scritto da tempo.
Quando poi Marshall vuole a tutti i costi presenziare al primo dialogo con la popolazione autoctona, dopo che gli scienziati hanno messo a punto una macchina in grado di tradurre il loro linguaggio, il rimando a Incontri ravvicinati del terzo tipo (Spielberg 1977) è immediato. Lì, però, era lo scienziato Lacombe/Truffaut a parlare con loro, qui il politico e fanatico religioso Marshall/Ruffalo, segno dei tempi, allusione a governanti invasati stile Trump?
Lo schema, quindi, è di fatto quello tipico di molti film di fantascienza, ma inevitabilmente il pensiero va a una pellicola come Mars Attacks! (1996), in cui Tim Burton, ormai vent'anni fa, invece, ribaltava il copione con degli extraterrestri che si mostravano amichevoli e poi si rivelavano spietati. Lì la parodia dei B movie statunitensi anni '50-'60, qui una pellicola piuttosto banale - soprattutto se si pensa a quanto Bong Joon-ho ci aveva impressionato finora - che occhieggia alla tradizione senza innovazioni, che non sorprende mai e non riesce a farci ridere, né a farci riflettere più di tanto. Il timore, a questo punto, è che ci possa essere un numero 2 di Mickey 17, dato che il romanzo di Edward Ashto ha avuto un seguito, Antimatter Blues (2023).
Io invece ho riso, e mi sono pure divertito. E' vero, non ha il pregio dell'originalità (è quasi un pot pourri del cinema di Bong) però mi è piacuto molto l'approccio volutamente "cazzone", irriverente del film e la sua coerenza dall'inizio alla fine. Sarà pure un Bong minore, ma avercene (per me)
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