martedì 25 febbraio 2025

Monte (Naderi 2016)

L'ossessione come sentimento positivo... l'ossessione in una triade, insieme alla determinazione e al "never give up". È con questa parole che Amir Naderi, convinto che il dono dell’essere umano sia la sfida e che la tenacia possa letteralmente spostare le montagne, la sera del 21 febbraio ha esortato il pubblico del cinema Troisi a non arrendersi mai, dopo la proiezione del suo Monte, con al suo fianco i produttori, gli attori, le maestranze che hanno reso possibile quasi dieci anni fa la realizzazione di una pellicola eccezionale, potente, rigorosa, difficilmente paragonabile ad altro (trailer / guarda il film).
Naderi ringrazia tutti, gli attori Andrea Sartoretti e Claudia Potenza in primis, perché senza interpreti il cinema non esiste, i produttori Carlo Hintermann e Gerardo Panichi della Citrullo International per il coraggio, il direttore della fotografia, Roberto Cimatti, per il gran risultato offerto in condizioni davvero difficili, lo scenografo, Daniele Frabetti, che ha ricostruito un piccolo villaggio medievale, che tutti ricordano prodigioso e straniante, poiché a un passo dalle piste da sci.
Il film era stato presentato fuori concorso al festival di Venezia nel 2016 (dove ricevette il premio Jaeger-LeCoultre Glory to the Filmmaker) e, oggi, il tempo non l'ha minimamente scalfito, forte come ogni film in grado di andare oltre il presente e di affrontare una tematica ancestrale, filosofica, esistenziale.
Caratteristiche e qualità riconosciute alla pellicola dalla proiezione al Centre Pompidou di Parigi e, soprattutto, nella rassegna The Contenders del MOMA di New York, specificamente dedicata a quei film riconosciuti come destinati a resistere nel tempo, a diventare dei cult, delle opere d'arte cinematografica meritevoli di far parte della storia del cinema.
La lotta dell'uomo contro la natura, in cui la scelta dell'ambientazione medievale accresce il senso di isolamento senza determinare né modificare in alcun modo la profonda allegoria esistenziale, si riflette anche nella stessa produzione del film, girato a 2500 metri di altezza, sui monti del Latemar, in Alto Adige, nel comune di Erto e Casso, in quello di Andreis e Maniago, in Friuli Venezia Giulia, nella Valle del Vajont.
Il regista iraniano mette al centro della sua pellicola la vita di Agostino (Andrea Sartoretti) all'ombra della montagna che dà il titolo al film, con sua moglie, Nina (Claudia Potenza), e suo figlio Giovanni. Il film si apre con l'interramento della piccola Sara, la figlia minore appena morta, tra la disperazione dei genitori e le lacrime della rada comunità che sta decidendo di lasciare quel posto, in cui è troppo difficile vivere. 
Anna Bonaiuto e Andrea Sartoretti
Tutti sono contro la scelta di rimanere, anche nel piccolo centro abitato poco più a valle, dove Agostino cerca di vendere piccoli oggetti, bambole, per comprare da mangiare per la sua famiglia. Persino una veggente (Anna Bonaiuto) gli si avvicina - "cieco chi non vede il sole" - per donargli un portafortuna.
Agostino, invece, non molla, quella è la terra dei suoi antenati, dei suoi genitori, che sono sepolti ancora lì, sotto quella pietra inscalfibile, nella quale quotidianamente cerca di aprirsi un varco a colpi di martello.
Una storia che Amir Naderi aveva inizialmente pensato in Giappone, ma che poi, dopo aver considerato le montagne nipponiche troppo boscose, ha portato in Italia, in Alto Adige e in Friuli, dove ha trovato ciò che voleva, delle montagne fatte di roccia, così vicine all'idea di sublime settecentesco, quello che Edmund Burke definisce "ciò che può destare idee di dolore e di pericolo", o più semplicemente il deinòs (δεῖνος) dei greci.
La fotografia di Roberto Cimatti e il sonoro, curato dallo stesso regista, sono due elementi fondamentali della pellicola, e soprattutto il secondo va considerato a tutti gli effetti un personaggio della vicenda narrata. I tuoni, il vento che ulula nel silenzio, il rumore del martello sulla pietra, tutto contribuisce al senso di infinito di quel paesaggio e di inanità umana di fronte ad esso. 
Una scena e I mangiatori di patate (Van Gogh, 1885
La scelta di non utilizzare mai musica nella colonna sonora, inoltre, non fa che amplificare l'importanza dei rumori, degli oggetti, della natura. L'unico brano legato a Monte è nel trailer, per il quale è stato scelto il On the nature of daylight di Max Richter, che i cinefili associano a film straordinari come Shutter Island (Scorsese 2010) e il coevo Arrival (Villeneuve 2016).
La fotografia è davvero magnifica e riprende i personaggi, soprattutto negli interni, con il solo ausilio delle candele e delle lampade a olio. Quella più iconica compare più volte nelle mani di Agostino e Nina e fornisce una forte suggestione storico-artistica, che affonda nella pittura cupa e realistica. Se la tipologia della lampada è praticamente identica a quelle che si vedono in molte Catture di Cristo nell'arte nordica di '400 e '500 (es. Schongauer, Durer, ecc.), in un caso la vediamo poggiata sulla tavola, mentre Agostino, Nina e Giovanni dialogano, in un'inquadratura che tanto ricorda I mangiatori di patate di Van Gogh, al pari di altri momenti in cui attorno a una fonte di luce centrale si dispongono i personaggi all'interno di una stamberga.
Nel corso del film si vedono anche delle opere d'arte vere e proprie, come la tavola centinata con una Madonna col Bambino (XII-XIII sec.?) in una piccola cappella in cui si rifugia Antonio in fuga dai gendarmi che lo credono un ladro, ma anche nella cappella con affreschi altomedievali in cui Nina prega con alcune monache.
La storia dell'arte, declinata in un paio di suggestive nature morte, torna anche in due inquadrature priva di personaggi, che immortalano per qualche secondo un tavolo su cui campeggiano un bicchiere, del formaggio e una patata e dei fiori e delle ciotole con anguria e pesci... allegorie morali un tempo, allegoria parlanti oggi sulla condizione di povertà della famiglia protagonista.
Un film intenso, visionario, di quelli che ti restano addosso per giorni e giorni...

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