sabato 16 novembre 2024

The Substance (Fargeat 2024)

Il cinema, come Saturno, divora i propri figli per rimanere al suo posto, e The Substance ne è un fulgido esempio. La pellicola riparte dalla "nuova carne" di David Cronenberg e da La mosca (1986) e arriva al David Lynch di The Elephant Man (1980), rimonta alla loro matrice, il Frankenstein letterario di Mary Shelley, e li coniuga tutti al femminile, dove incontra almeno altri due film fondamentali: La morte ti fa bella (Zemeckis 1992) e Carrie (De Palma 1976) (trailer).
Coralie Fargeat, regista francese nata proprio nell'anno del capolavoro di Brian De Palma, mescola tutto con grande perizia e, tra horror e commedia, gira un film che, nonostante l'ironia, permette una profonda e tragica riflessione sulla condizione psicologica della donna oggi, sul suo rapporto col proprio corpo, ma soprattutto con l'idea che di quel corpo, legato alla sua stessa esistenza, hanno gli uomini che dominano il mondo del lavoro, in questo caso lo star system. E vince il premio per la miglior sceneggiatura a Cannes.
A metterci la faccia e il corpo - è davvero il caso di dirlo - è Demi Moore, che veste i panni di Elisabeth Sparkle, attrice e personaggio televisivo osannato da decenni, ormai a fine carriera, che da anni tiene viva la sua fama grazie a un popolare programma di fitness in tv. Lizzie, di fatto, è una Gloria Swanson di Viale del tramonto (Wilder 1950) che si fonde con la Jane Fonda del Workout di inizio anni '80. L'idea di fusione è indubbiamente portante per il film, non solo per il sapiente cocktail di opere già citate (e tante altre che in parte vedremo) a cui The Substance deve moltissimo, ma anche perché la fusione è centrale nella sua trama.

Siamo in un futuro molto simile al nostro presente e in una realtà pop, che le musiche di Raffertie e la scenografia di Stanislas Reydellet contribuiscono ad amplificare, e che tanto ricordano l'estetica di Luca Guadagnino. La distopia, però, è dietro l'angolo, poiché Elisabeth, finita in ospedale dopo un incidente dal quale è miracolosamente rimasta illesa, riceve una strana proposta da un giovane dottore, quella di seguire un programma di trasformazione che le permetterà di fare da matrice a una nuova creatura che, una volta generata, vivrà a settimane alterne al suo posto. Il video che le spiega il funzionamento del processo, salvato su una pen-drive - aggiornamento tecnologico seppur già datato del vhs di Ringu e The Ring (Nakata 1998, Verbinski 2002) -, ribadisce che non esisteranno mai l'una senza l'altra e che alla base della riuscita del progetto ci sarà l'equilibrio tra di loro.

La complessa profilassi prevede l'assunzione di una sostanza, iniettata endovena, che attiva il processo (la substance del titolo): dal proprio corpo nascerà così, come una farfalla da una crisalide, una splendida ragazza che per vivere dovrà iniettarsi un liquido stabilizzante per ogni giorno della sua settimana, prima di effettuare il cambio e tornare la settimana seguente.
Sue (Margareth Qualley) esce così dalle membra esanimi di Elisabeth, le ricuce letteralmente, e ne prende il posto anche sul lavoro, dove stravince ai provini finalizzati a trovare la nuova Elisabeth Sparkle.
Un'ennesima citazione è nell'iniziale felicità di Sue, che si lancia sul letto e viene ripresa dall'alto come accadeva alla Angela/Mena Suvari di American Beauty (Mendes 1999), altra pellicola fondamentale negli ultimi decenni sugli effetti della bellezza, in particolare sulla società statunitense.
Molto presto Elisabeth e Sue, pur essendo due elementi della stessa persona, entrano in conflitto, facendo saltare il basilare equilibrio, danneggiandosi a vicenda fino alle più estreme conseguenze.
Il tempo di Sue, in quell'ottica, è di maggior qualità e si mangia sempre più quello via via più solitario di Lizzie, che si ritrova persino a fare da Cenerentola nel proprio appartamento devastato dalle notti brave della ragazza. Ma anche questo cambierà, con dispetti reciproci che passano per la cucina, dato che le azioni e i cibi assunti da una ricadono anche sul corpo dell'altra.
Elisabeth si aggira per i corridoi della rete televisiva per cui lavora da anni con grande familiarità.
Quello principale ha le pareti ricoperte di poster di copertine che la ritraggono (col tempo sostituiti con quelli di Sue), e una moquette optical anni '70 che, unita alle inquadrature a prospettiva centrale di Fargeat, rimanda immediatamente a quello che Danny percorreva col suo triciclo il Danny di Shining (Kubrick 1980). La tensione e l'alienazione dell'individuo sono simili, e lo è anche l'asetticità di certi ambienti, non solo quelli della rete televisiva, ma anche quello in cui Lizzie va a rifornirsi della sostanza necessaria a far sopravvivere Sue. Qui, all'esterno, la realtà è quella di un quartiere popolare, sporco, ma vivo, dall'altra - con uno stacco della mdp che è uno stacco ideologico prima che spaziale - l'algido biancore delle pareti e degli armadietti, dove c'è il suo 503.
Tutti gli spazi "negativi" del film hanno questa caratteristica, anche il bagno nell'appartamento di Lizzie, dove avviene la trasformazione e dove, con una certa intraprendenza degna di un muratore, Sue crea un'ambiente dietro una parete, sfruttando un'intercapedine, per non essere costretta a guardare il corpo della sua matrice. Lì avverranno tutte le modifiche al corpo di Lizzie, la sua mostrificazione (e qui La mosca è un riferimento assoluto, fino però a somigliare sempre più al John Merrick/John Hurt di The Elephant Man).
Harvey (Dennis Quaid) è il direttore artistico, a capo delle scelte editoriali della rete. Osanna Lizzie, ne parla male alle spalle, considerandola finita, e non vede l'ora di sostituirla con una donna molto più giovane. In bagno gli sentiamo esprimere il concetto anche con una certa cinefilia, poiché quando al telefono il suo interlocutore gli ricorda che Sparkle ha vinto un Oscar, lui cita il King Kong degli anni Trenta (Cooper - Schoedsack 1933).
Il suo personaggio è volutamente sopra le righe - The Substance è un'allegoria, pertanto l'amplificazione è un'inevitabile conseguenza - e guardarlo fa pensare al peggior Harvey Weinstein di turno. È arrogante, maleducato, sboccato, ovviamente maschilista all'estremo. La sequenza della cena con Elisabeth è terrificante in tal senso: gli vediamo mangiare un cocktail di gamberi, masticando a bocca aperta, facendo rumore mentre li spezza con le mani e li tuffa nella salsa rosa, sporcandosi le mani, che poi senza ritegno userà per salutare altre persone. Il sonoro è amplificato e la mdp lo riprende da vicinissimo, con un fish eye deformante che fa pensare al Terry Gilliam di Brazil (1985) ma non solo: tutto disturba enormemente.
È il grottesco che ci arriva da Bosch, Brueghel e dal realismo del '600, come certifica, agonizzante nel bicchiere di una nauseata Elisabeth, una mosca, che ci fa pensare ai virtuosismi storico-artistici di Crivelli, Barthel, al racconto di Vasari su Giotto e Cimabue, alle tante nature morte del '600, e naturalmente a Cronenberg. La mosca è vanità, e The Substance in fondo è un gran quadro sulla vanità e i suoi danni.
Il confine del moralismo è lì a un passo, a ciascuno spettatore giudicare se il film lo superi o meno, ma a prescindere da questo, il messaggio contro la mercificazione della donna e contro l'ossessione dell'apparire è fin troppo chiaro. Grana grossa, forse? L'importante, sembra volerci dire la cineasta francese, è che arrivi a tutti.
La bellezza ha reso Lizzie superba, e lo è pienamente quando liquida con un sorriso stereotipato Fred, un vecchio capoclasse del college che la guarda con gli occhi di chi la ama da decenni, chiedendole di uscire, cercando di dare un significato simbolico a quell'incontro fortuito... ma la vita le insegnerà a scendere a quote più normali, ammesso che quelle di un tempo fossero delle vette.
D'altronde il suo vecchio compagno di scuola sembra l'unico a desiderarla con affetto e non in maniera viscida e predatoria, come lo sono tutti invece con Sue: Harvey, i finanziatori dei programma, il vicino di casa che, da furioso per il rumore, diventa falsamente gentile alla vista della "nuova" avvenente dirimpettaia. 
I verbi relativi a Elisabeth iniziano a essere coniugati al passato e i mazzi di rose alla carriera, la scatola con gli effetti personali che Harvey le consegna dandole il benservito, tutto la riporta fragorosamente a terra. Lo specchio è spesso il suo unico interlocutore, ed è spietato, soprattutto se confrontato con le vecchie foto e con le nuove di Sue, che ormai è la nuova "fidanzata d'America". Proprio in una delle sequenze allo specchio, Fargeat inserisce un frammento della colonna sonora di Bernard Hermann per La donna che visse due volte (Hitchcock 1958), lì una sensazione orchestrata ai danni di James Stewart/Scottie, qui una realtà vera e propria, che si ripete settimanalmente.
La stella di Elisabeth sull'Hollywood Boulevard viene calpestata, il marciapiede si incrina, viene sporcata da chi mangia camminando, ma è sempre lì, il tempo passa e l'uomo non è fatto per restare quanto le cose che ha fatto. 

Una frase può fare da chiave alla sceneggiatura, così come la mosca può esserlo dell'aspetto iconografico della pellicola: Lizzie, mentre affonda una siringa nel petto di Sue (si, proprio come Rosanna Arquette faceva con Uma Thurman/Mia Wallace in Pulp Fiction, Tarantino 1993), dice piangendo "ho bisogno di te, perché odio me stessa".
Tutto passa da lì, dall'accettazione di se stesse, ma la società che abbiamo creato per ora non aiuta, questo è certo, e The Substance lo urla con violenza e senza usare alcuna misura, sarebbe un controsenso in termini.

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