giovedì 3 luglio 2025

Il maestro e Margherita (Lokšin 2024)

Alfred Hitchcock raccomandava di non adattare mai un grande libro, noto a tutti gli spettatori, per farne un film. Troppo difficile entrare nella fantasia sedimentata degli spettatori e convincerli con una nuova visione, inevitabilmente personale del regista.
Sono rarissime le eccezioni che confermano la regola di uno dei più grandi maestri della storia del cinema.
Purtroppo il consiglio di sir Alfred non è stato seguito da Michail Lokšin, che invece si è ambiziosamente avventurato nel mettere in immagini il capolavoro di Michail Bulgakov (Kiev 1891-Mosca 1940), il romanzo che fece satira sul regime sovietico, scritto tra 1928 e 1940 ma pubblicato solo postumo e censurato in URSS, mentre una versione senza i tagli uscì a Francoforte nel 1969 (trailer).
Eppure Lokšin non è certo stato il solo ad adattare Il maestro e Margherita, di cui esistono diverse pellicole: quattro russe (con una serie tv, Bortko 2005), una finlandese, una ungherese, una francese e una italo-jugoslava, quella firmata da Aleksandar Petrović nel 1972 con Ugo Tognazzi nei panni del maestro e la colonna sonora di Ennio Morricone.
Ci avevano pensato Roman Polansky, due registi visionari come Federico Fellini e Terry Gilliam, e poi anche Baz Luhrmann, ma poi avevano rinunciato. 
Lokšin è arrivato fino in fondo e, come Bulgakov, è stato accusato di denigrare la Russia, allora quella di Stalin, oggi quella di Putin, infuriato perché il regista si è esposto apertamente contro la guerra con l'Ucraina. Eppure la Russia ha prodotto il film con 17 milioni di dollari e lì dall'anno scorso
continua a essere campione di incassi.
La Universal, peraltro, non l'ha distribuito a lungo proprio a causa del conflitto, una scelta che ha generato ulteriore attesa.  
Il montaggio mischia un po' le carte nel gestire le trame del romanzo e parte dalla distruzione dell'appartamento del critico Latunski, più avanti nel libro e che, nella struttura circolare del film, tornerà nella parte finale.
Siamo intorno al 1930 a Mosca, e qui uno scrittore - sarà il maestro del titolo (Evgenij C'īgardovič) - sta scrivendo la sua opera su Pilato, che in parte vediamo rappresentata in scena, in una Gerusalemme da peplum e con un Gesù piuttosto dimesso, chiamato semiticamente Jeshua Ha-Nozri (Gesù il Nazareno). Proprio quell'opera entrerà nelle mire del regime, che la considererà reazionaria, perché tratta di religione, ma anche poiché il governo non vede di buon occhio la narrazione di un ribelle di fronte al potere costituito. La censura abbatterà la pièce su Pilato, preferendo mettere in scena opere come All'avvenire, un musical che vagheggia un intero mondo costituito da repubbliche sovietiche ambientato nel 2022. "Se si pensa al futuro si ignora il presente" dice il maestro, che verrà espulso dall'Unione degli Scrittori Sovietici e verrà poi arrestato e portato in una prigione/sanatorio a Jalta, dove racconterà quello che gli è accaduto a un altro detenuto, il giovane poeta Ivan Bezdomnyj (Daniil Steklov).
In questa narrazione ha un ruolo primario l'incontro al Cremlino con Margherita (Julija Snigir'), il colpo di fulmine per una donna bellissima e stimolante, che non solo ricambia il suo amore, ma si appassiona anche alla stesura della sua pièce, e non potendo lasciare suo marito, che ha salvato dal suicidio, riesce comunque a trovare il modo di avere una relazione con quello che chiama il maestro. Il loro amore si consuma soprattutto nello scantinato in cui vive lo scrittore, che lavora all'opera su un tavolo su cui è un teschio, novello Girolamo, e prepara colazioni come fossero cene, poiché il mattino è l'unico momento in cui Margherita può raggiungerlo.

E poi il fondamentale Woland (August Diehl), il diavolo secondo uno dei tradizionali termini germanici per indicarlo e non a caso così chiamato da Goethe nel suo Faust, più volte citato anche attraverso la celebre frase "sono parte di quella forza che vuole costantemente il male e opera costantemente il bene". Woland, appena arrivato a Mosca, al processo di Pilato a Gesù c'è stato, e ne parla al direttore del teatro Berlioz (Evgeniy Knyazev) su una panchina degli Stagni del Patriarca, uno dei grandi parchi al centro di Mosca. Questo è il momento che dà inizio al romanzo di Bulgakov, che per anni parlò del suo libro come "il mio romanzo sul diavolo".
Woland ironizza sul fatto che in URSS l'ateismo sia considerato la religione di Stato, e che persino ci siano persone che non credono all'esistenza storica di Gesù, come vorrebbe dimostrare il poema richiesto da Berlioz al giovane poeta Bezdomnyj. E la scena del processo alla pièce su Pilato evidenzia a chiare lettere il consiglio dato al maestro di usare il suo talento per scrivere altro.
La ricca parte esoterica della storia trasforma il film in un fantasy piuttosto dozzinale e, anche se tecnicamente ben realizzate, quelle parti distruggono la sospensione dell'incredulità che invece nel romanzo rimane intatta. 
Il gatto Behemoth, fedele servitore di Woland, è una sorta di versione cupa del Gatto con gli stivali di Shrek: in qualche modo la linea di discendenza è quella che va dalla tradizione orale ripresa nel '600 da Basile per il suo Il racconto dei racconti, passa per Perrault e arriva fino a Bulgakov.
Margherita che si spalma la crema e diventa una strega in grado di volare sui tetti di Mosca funziona, così come è registicamente perfetta l'affascinante ellissi che tramuta in una palla la testa di Berlioz, travolto da un tram (come Antoni Gaudì nel 1926).
Invece, lo spettacolo di magia nera, improvvisato da Woland durante il musical, con le banconote (da dieci rubli nel romanzo) che cadono dall'alto facendo perdere la testa agli spettatori che poi vestono ricchi abiti entrando in un camerino magico, inizia a far scricchiolare la resa del romanzo. Resistono ancora scenografia e costumi, stile belle époque - più avanti vediamo dipinti art déco alla Tamara de Lempicka - e con un gusto che a tratti rimanda a Metropolis (Lang 1927).
Tutto, però, supera i limiti dell'insopportabile, quando l'intera parte del "gran ballo di Satana" - come compare nel relativo capitolo di Bulgakov -, che dovrebbe essere l'acme dell'intera vicenda, diventa un Game of Thrones patinato, televisivo-pubblicitario, in cui le ardite scenografie e i costumi sembrano soprattutto voler evidenziare la bellezza scultorea di Julija Snigir' e dei suoi seni, perfetti e che già avevamo "percepito" vedendola in forma di ectoplasma nel mitico appartamento n. 50 di Bolšaja Sadovaja ulica 10, dove abitò lo stesso Bulgakov tra 1921 e 1924. 
La Margherita, invitata da Azazello (Aleksej Rozič) a essere la Regina nera - con tanto di crescente lunare da Diana Ecate -, omaggiata da tutti gli invitati al ballo con un bacio sul ginocchio, e la porta fiammeggiante dell'inferno caratterizzano una sequenza più vicina a un enorme spot di un profumo che a un film tratto da uno dei romanzi più belli del Novecento. Resta il neroniano incendio di Mosca, ma ormai lo spettatore rischia di aver perso l'attenzione.
Difficile toccare i mostri sacri senza avere un senso della misura... ma ben venga che il film stia funzionando, a prescindere dal suo valore estetico-drammaturgico, contro Putin e la sua politica. 

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