domenica 30 aprile 2023

Il sol dell'avvenire (Moretti 2023)

Nanni, fortissimamente Nanni!
Nanni Moretti celebra se stesso, ma allo stesso tempo coccola i suoi spettatori di sempre e, in una frase de Il sol dell'avvenire, c'è tutto il suo rapporto col pubblico: "mi piace dire che non ci penso, ma non so se è vero".
Il regista romano, tra egocentrismo (da leggere come qualità indiscussa in questo caso) e malinconia, ha realizzato una pellicola imperdibile per chi ama il suo cinema da sempre e per chi, non conoscendolo, può partire da qui e andare a ritroso. Un'antologia dei suoi tormentoni, dei suoi riti, delle ossessioni delle sue manie - per dirla con Battiato che torna in colonna sonora come nei tempi migliori -, dalle scarpe ai dolci, dall'etica cinematografica al comunismo, dai riti quotidiani agli intermezzi con i suoi pensieri ad alta voce e alle canzoni cantate a squarciagola e non sempre in maniera intonata (trailer).
La trama si fonda su un film nel film (come ad esempio in Sogni d'oro, 1981, e in Mia madre, 2015), in una metacinematografia che non solo non è una novità nella poetica del regista, ma che nasconde anche l'essenza de Il sol dell'avvenire, che ripensa la storia del comunismo italiano, usando come elemento cronologico quello della rivolta ungherese del 1956 contro il regime sovietico. È quella l'epoca in cui è ambientato il nuovo lavoro di Giovanni (Nanni Moretti), regista che, coadiuvato dalla moglie produttrice Paola (Margherita Buy, già moglie di Moretti in Tre piani, 2021), mette in scena il dissidio politico di chi in Italia vedeva il comunismo nel suo ideale marxista-leninista, come Eva (Barbora Bobulova), e chi invece, pur avendo dei forti ideali, anteponeva ad essi l'obbedienza alla linea sovietica sostenuta da Palmiro Togliatti, come fa Silvio (Silvio Orlando). I due sono protagonisti del film: lui è Ennio, direttore de L'Unità, lei è Vera, sua compagna nella vita e nella politica.
La crisi della sinistra non è più quella di Palombella rossa (1989) o de La cosa (1990), dall'identità perduta e con un protagonista dalla memoria perduta, né tantomeno di Aprile (1998), in cui Nanni Moretti pregava D'Alema di dire qualcosa di sinistra. Ora attorno a Giovanni - non più Michele Apicella ma proprio Giovanni Moretti, com'era già accaduto ne La stanza del figlio (2001) -, il comunismo rappresenta un vecchio ricordo, come nella sceneggiatura del suo nuovo film, o non lo si conosce affatto per quello che è stato alle nostre latitudini. Significativo che un giovane membro della troupe si chieda "ma i comunisti non vivevano solo in Russia?", con una frase degna di un documentario del National Geographic.
Proprio nel 1956, nella finzione del film di Giovanni, il circo ungherese Budavari si stabilisce al Quarticciolo, dov'è la sede della sezione del PCI 'Antonio Gramsci', appena inaugurata.
Lo scontro sugli eventi di Budapest destabilizza i due personaggi, così come destabilizzò i comunisti italiani del tempo: Ennio segue Togliatti, perché per lui non esiste comunismo senza Unione Sovietica, che resta il faro del socialismo; per Vera, invece, che alle prime immagini della repressione esclama "non posso credere che gli invasori sono comunisti come noi", l'idealismo è più forte della logica di partito e quindi si schiera dalla parte degli ungheresi rimanendo delusa dall'atteggiamento di Ennio. È tutto questo che fa dire ai nuovi produttori coreani "è proprio un film sulla fine di tutto quanto". 
La crisi dei due rispecchia la crisi di Giovanni e Paola, perché in qualche modo raccontare significa sempre raccontare se stessi. La donna va in terapia per riuscire a lasciare il marito, con cui ha vissuto per decenni in uno stato di subalternità, subendone il giudizio, le rigidità, le pesantezze ("sei faticoso"). Paola è certamente amata da Giovanni, ma la pressione è diventata insostenibile, vivere con lui significa essere sotto esame quotidianamente e anche lavorare alla produzione del film di qualcun altro genera giudizi senza appello del marito che dalla moglie si aspetta il suo stesso rigore anche nella scelta dei film a cui lavorare perché, le dice, "tu non sei come tutti, non lo eri prima". È difficile lasciare una persona di questo tipo, tanto più che di fronte alla decisione presa dalla moglie continua a dire "non sono d'accordo", come se si potesse contrattare e discutere anche su questo. Giovanni, come il Michele Apicella di Bianca (1984) quando sceglie le persone da avere al suo fianco, le investe di aspettative, regole e doveri.
E, come lui, ha idee chiare sulle scarpe, soprattutto quelle femminili, e il suo difficile rapporto con l'attrice Eva, troppo libera nell'interpretazione del personaggio, tanto da appellarsi persino a John Cassavetes e al suo amore per l'improvvisazione, ha come inizio proprio la vista dei sabot ai piedi della donna, che lui non tollera perché li reputa incoerenti: "se il piede è coperto davanti, dev'essere coperto anche dietro. Non vedo le dita? Allora non voglio vedere nemmeno il calcagno [..] i sabot sono come le pantofole, che non sono delle scarpe, ma una visione del mondo, una tragica visione del mondo".
In monopattino a piazza Mazzini
La chiosa di questo monologo clamorosamente morettiano è cinefila, poiché Giovanni ricorda che Anthony Hopkins in The Father (Zeller 2020) pur essendo confinato in casa e in pigiama, non indossa pantofole, ma le scarpe. L'unica eccezione tollerata è quella di Aretha Franklin nei Blues Brothers (Landis 1980).
Giovanni decide di guardare Lola (Demy 1961) con tutta la famiglia, a quanto pare un rito che consuma ogni volta che esce un suo film, ogni cinque anni circa, come precisa alla figlia Emma (Valentina Romani), che invece propone di cambiare e di vedere La caccia (Penn 1966). Lola è un film nostalgico per eccellenza, in cui il protagonista ritrova la compagna di scuola di cui già da adolescente era innamorato.
La coperta patchwork di Sogni d'oro riproposta
E in questa nostalgica ritualità, Moretti aggiunge anche il suo amore per i dolci, immancabili: stavolta il posto del Mont Blanc e della Sacher Torte di Bianca, però, sono occupati dalle coppe di gelato dai gusti rigorosamente selezionati ("crema zenzero e cannella, meringa alla nocciola tonda e gentile e pistacchio di Bronte"). Il rito davanti alla tv non può cambiare, "deve essere sempre lo stesso, sennò poi va tutto male", e così anche la coperta patchwork a fiori che Giovanni "indossa" sul divano è una coperta di Linus, poiché la stessa che aveva nella scena immortalata nella locandina di Sogni d'oro (1981).
La pellicola, scritta da Moretti insieme a tre donne, Vania Santella, Federica Pontremoli e Francesca Marciano, ci regala altri momenti difficili di Giovanni genitore, che non può concepire come la figlia ventenne non usi la crema per il viso, e figuriamoci il suo fidanzamento con l'ambasciatore polacco ultrasettantenne (Jerzy Stuhr, già con Moretti ne Il caimano, 2006, e in Habemus Papam, 2011).
C'è tanta Roma ne Il sol dell'avvenire, che inizia sui muraglioni del lungotevere, tra via della Conciliazione e Castel Sant'Angelo, nel 1956, set del film che Giovanni sta girando e che vede il fulcro della sua azione al Quarticciolo, dove vivono Ennio e Vera. Il quartiere romano, peraltro, è realizzato in studio, come ci viene mostrato nel corso della pellicola evidenziando le strutture dal lato opposto, come in un film di Fellini, autore citato anche con il finale de La dolce vita, che due ragazzi innamorati e in crisi (anche loro), personaggi di un'altra pellicola di Giovanni, vedono in sala. Ed è decisamente felliniano anche il pallone aerostatico luminoso che si alza ancora dal Tevere e che in realtà è fonte luminosa per i set cinematografici.
Il Quarticciolo
Attorno a piazza Mazzini, invece, Giovanni gira in monopattino, evidente evoluzione della vespa di Caro diario (1993), insieme a Pierre (Mathieu Amalric). Una curiosità: l'immagine, debitamente graficizzata, è diventata la locandina del film in Francia, come quella in vespa lo fu per Caro diario, che proprio a Cannes vinse la miglior regia nel 1994.
E poi, la sequenza finale, una sorta di Quarto Stato di Pellizza da Volpedo ma con le bandiere rosse, in cui sfilano gli attori del film e tanti altri che hanno fatto parte dei film del regista romano.
Le locandine francesi di Caro Diario e de Il sol dell'avvenire
Tra i tanti, riconosciamo Jasmine Trinca, figlia di Moretti in La stanza del figlio (2001), Lina Sastri (Ecce Bombo, 1978), Anna Bonaiuto ed Elio De Capitani (Il Caimano, 2006), Dario Cantarelli, amico del regista e suo interprete per Bianca (1984) e per Habemus Papam (2011); Fabio Traversa, compagno di liceo di Moretti e suo attore nei primissimi film (Io sono un autarchico, 1976; Ecce bombo, 1978) e poi in Palombella Rossa (1989); Giulia Lazzarini, che interpretava sua madre in Mia madre (2015); Silvia Nono, l'ex moglie di Nanni Moretti, che in Aprile (1998) interpretava se stessa; Gigio Morra, il regista commerciale di Sogni d’oro (1981); Renato Carpentieri protagonista dell’episodio dell’isola di Caro Diario (1993); Alba Rohrwacher (Tre piani, 2021); Mariella Valentini, la giornalista di Palombella Rossa (1989).
Questa sfilata si dipana paradossalmente lungo via dei Fori Imperiali, la via che Mussolini volle come via dell'Impero (1931-1932), per le sfilate del suo regime, distruggendo tutto ciò che si trovava lungo la direttrice che poi unì piazza Venezia al Colosseo.
Dare una nuova funzione proprio a quella strada è l'ennesimo e programmatico intervento sulla storia reale. In questo senso, Moretti compie un'operazione simile a quella di Tarantino in C'era una volta a... Hollywood (2019), dove le brutture di Hollywood sono state modificate in uno sereno happy ending.
Ed è buffo pensarci, perché il suo Giovanni è contro il cinema violento fine a se stesso - proprio come il Moretti di Caro Diario contro Henry pioggia di sangue (McNaughton 1986) -, di cui Tarantino è indubbiamente uno dei maestri, come dimostra in un'altra sequenza tipicamente morettiana, in cui blocca il set del film che sua moglie Paola sta producendo a causa di una scena di omicidio troppo facile, fine a se stessa. Giovanni, ma anche Moretti, infatti, è per la violenza etica sul grande schermo, quella che mostra la fatica e la difficoltà dell'uccidere. 
Cita per questo Decalogo 5 - Non uccidere di Kieślowski (1988), in cui la sequenza del protagonista che uccide un tassista dura ben sette minuti, peraltro proprio come ribadiva Alfred Hitchcock a Truffaut nel celebre libro-intervista Il cinema secondo Hitchcock.
Giovanni, però, non si accontenta di dire la sua su quella scena, ma vuole convincere tutti che si tratta di qualcosa che non si può girare in quel modo e, per farlo, coinvolge grandi nomi, come Renzo Piano, Chiara Valerio, Corrado Augias, fino ad arrivare a chiamare Martin Scorsese per chiedergli l'evoluzione della violenza nel suo cinema, da Taxi driver in poi.
La capacità, o meglio, la necessità di schierarsi di Nanni Moretti, perché essere d'accordo sempre con una minoranza di persone - come diceva al semaforo in Caro diario - è davvero un modo di essere e, forse, è il motivo per cui le complessità non possono essere appannaggio delle grandi masse. La parcellizzazione della sinistra è anche in questo.
Il suo Giovanni strappa Stalin da un poster in scenografia in cui il dittatore comunista compare in coppia con Lenin e, nonostante il realismo di quell'immagine, non ne vuole sapere di averla così in un suo film. Il cinema, in fondo, per registi come lui (così come per Fellini e tanti altri) è un luogo in cui migliorare la realtà d'altronde. Proprio per questo Giovanni arriverà a dire "la storia non si fa con i se. E chi lo ha detto? io voglio proprio farla con i se", portando i suoi personaggi a protestare sotto le finestre di Togliatti per Budapest libera e regalandoci una prima pagina de L'Unità con il liberatorio titolo "Unione Sovietica Addio".
La musica, come sempre, ha un ruolo basilare, tanto più che Giovanni ha in cantiere un successivo film che racconti una storia che attraversa gli anni e che di scena in scena sia scandito da tante canzoni italiane. 
Il sol dell'avvenire
inanella brani d'amore fortemente malinconici come Lontano lontano di Luigi Tenco;  La canzone dell’amore perduto di Fabrizio De Andrè, sulle cui note finisce tra gli strepiti l'amore tra due ragazzi; Et si tu n’existai passcritta da Pierre Delanoe e cantata da Joe Dassin, che ascoltiamo mentre il personaggio interpretato da Moretti calcia verso l'alto un pallone, proprio come succedeva in Caro diario, ma allora con il sottofondo della musica di Nicola Piovani (vedi).
Giovanni canta in auto, con Paola, Think di Aretha Franklin, proprio dopo aver citato le sue ciabatte nei Blues Brothers, ma anche e soprattutto Sono solo parole di Noemi che coinvolge tutta la troupe del suo film fino al suo spiritato "motore", urlato in camera, un momento da musical già visto proprio urlando la stessa parola nel finale di Aprile, con il pasticcere trotzkista anni '50 interpretato da Silvio Orlando (vedi), o ancora prima in Palombella rossa, quando tutti gli spettatori della partita di pallanuoto cantavano con lui E ti vengo a cercare di Battiato (vedi), o ne La messa è finita, in cui i personaggi ballavano con Ritornerai di Bruno Lauzi (vedi). Stavolta, oltre al brano di Noemi, l'intero cast si lascia andare ad un ballo liberatorio ancora con Battiato, con la sua Voglio vederti danzare.
La piscina, uno dei primi amori di Nanni Moretti, in gioventù pallanuotista della S.S. Lazio nuoto, non manca nemmeno ne Il sol dell'avvenire, in cui il prolifico regista protagonista, oltre a girare il film sul 1956 e a immaginare quello d'amore con le canzoni italiane, ne sta scrivendo un terzo tratto da Il nuotatore di John Cheever (1964). E così vediamo Giovanni nuotare avanti e indietro mentre parla con gli sceneggiatori che a bordo vasca lo seguono con i pc in mano per poter capire come impostare il lavoro.
E, infine, il rapporto con la modernità, con il cinema consumato attraverso le piattaforme, quelle che riempiono di soldi i produttori, riducendo inevitabilmente la qualità. Anche qui il giudizio morettiano arriva forte e chiaro e chi ama un certo tipo di cinema, chi ama l'odore, lo spazio e la magia della sala, non può non essere d'accordo con lui.
La sequenza in cui Giovanni, costretto a cercare nuovi fondi per il suo film, si ritrova a colloquio con un plotone di produttori Netflix, appellandosi inutilmente a San Michele aveva un gallo (Taviani 1972), entrerà di diritto tra quelle cult della filmografia morettiana. Le frasi che rimbalzano nella testa del povero Giovanni, frastornato, sono soprattutto quelle pronunciate da una delle produttrici (Elena Lietti), che ripete continuamente che i loro prodotti sono visti in 190 paesi (scatenando la voglia di ripetere di essere d'accordo con una minoranza di persone) e, uno dopo l'altro, sciorina quelli che nel suo mondo sono difetti della pellicola di Giovanni, "la sua sceneggiatura è uno slow burner che non esplode", non ha un turning point entro i primi due minuti, tempo a cui un'opera deve adattarsi per poter far decidere il pubblico da cinema fast food casalingo (ricordate le ciabatte e i vhs a Casal Palocco di Caro diario? Questa ne è l'evoluzione), fino al capolavoro, poiché a suo avviso al film manca il "momento what a fuck".
Sicuramente quello è l'attimo in cui tutti in sala vorrebbero schiaffeggiarla, proprio come Nanni Moretti faceva in Palombella Rossa con Mariella Valentini.
Citavo la coperta di Linus qualche riga fa... ebbene sì, Il sol dell'avvenire è senza dubbio una madeleine per cinefili morettiani. Da vedere rigorosamente in sala, per i più fortunati, ovviamente al Nuovo Sacher!

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