lunedì 8 maggio 2023

Mon crime - La colpevole sono io (Ozon 2023)

Una piscina viene inquadrata in prospettiva centrale: per la cronaca si tratta di quella della Villa del barone Empain a Bruxelles. François Ozon inizia così il suo nuovo film, con quella che ha tutta l'aria di essere un'esplicita firma che rimanda al suo Swimming pool (2003). 
Madeleine Verdier (Nadia Tereszkiewicz) occupa quell'inquadratura, uscendo dall'appartamento da cui l'abbiamo sentita urlare: ha subito una violenza, si è liberata, ha sparato al produttore Monferrand (Jean-Christophe Bouvet), che le aveva promesso un ruolo al cinema, e ora se ne va.
È l'inizio di una spassosa commedia di grande finezza, che affronta tematiche attuali calandole nel contesto francese tra le due guerre mondiali, sfruttando l'opera teatrale di Georges Berr e Louis Verneuil Mon Crime (1934), da cui è liberamente tratta (trailer).
L'uomo ucciso non è Weinstein e non siamo negli anni '90 o 2000, ma nella Parigi degli anni '30 del secolo scorso, eppure sin da subito è evidente il parallelo con la cronaca più recente del cinema di Hollywood (il Metoo è iniziato nell'ottobre del 2017, con l'arresto del produttore americano).
D'altronde la condizione femminile nella società è un tema molto forte nella filmografia di Ozon, che ha già usato i toni della commedia per raccontarla con Otto donne e un mistero (2002) e con Potiche - la bella statuina (2010). Come allora la sceneggiatura firmata dallo stesso regista brilla e fa pensare alle commedie di Sacha Guitry, sferzanti e mai banali, ma anche ai noir di Henri-Georges Clouzot, soprattutto Ho ucciso mia moglie del primo (1951) e La verità (1960) del secondo, entrambi consigliati dal regista alla sua troupe prima di girare Mon crime e utilissi punti di riferimento per il direttore della fotografia Manu Dacosse. Anche il lavoro dello scenografo, Jean Rabasse, e della costumista, Pascaline Chavanne, si è dichiaratamente rifatto a film come Tempi moderni di Chaplin (1936) e a Victor Victoria di Blake Edwards (1982), ma remake dell'originale tedesco di Reinhold Schünzel proprio del 1934 come la piece di Berr e Verneuil.
Madeleine è un'aspirante attrice priva di talento che spera di sfondare, vive con un'avvocatessa senza lavoro, Pauline (Rebecca Marder), ed è fidanzata con il ricco André (Édouard Sulpice), figlio di un grande imprenditore di pneumatici. Il produttore Monferrand (Jean-Christophe Bouvet) è morto e Madeleine viene interrogata dal commissario di polizia, Gustave Rabusset (Fabrice Luchini), caratterizzato da un paio di baffetti "a spazzolino" di gran moda al tempo, con celebri esempi virtuosi e meno, che hanno in Charlie Chaplin e Adolf Hitler i due indubbi estremi.
Ozon gioca col fuoco, ma come detto lo fa con acume e un tocco degno di Ernst Lubitsch, realizzando una commedia noir sofisticata che regala cento minuti di cinema di alto profilo, rilassante ma allo stesso tempo in grado di farci riflettere.
Tutto ha i toni farseschi, da Andrè che, ritenendo impensabile lavorare per vivere, trova la cosa più naturale del mondo dire a Madeleine di voler sposare una ricca e brutta ereditiera per poi poterla avere liberamente come amante, un'ingegnosa soluzione che non trova l'entusiasmo della ragazza, all'intero processo di Madeleine, durante il quale, di fatto, si arriva a considerare l'omicidio di un uomo cosa da poco e che non implica conseguenze e con l'accusata che si dichiara prima innocente e poi colpevole.
A difenderla, la stessa amica Pauline, che durante il suo discorso paragona la sua assistita a Giuditta e a Medea, affermando poi che "ogni protesta è un appello contro una giustizia assente".
Madeleine e Pauline diventeranno così due eroine dei loro tempi, la prima trovando innumerevoli clienti che vogliono uccidere mariti e amanti, per poi chiedere il suo intervento nei processi (come accadrà con un'altra attrice, Simone Bernard, interpretata da Evelyne Buyle), e l'altra come star cinematografica, ma non certo per le sua capacità interpretative. Madeleine è così poco avvezza ad essere apprezzata per le sue qualità da attrice e considerare la sua bellezza come mero strumento di scambio che, anche quando l'architetto Palmarède (Dany Boon) vuole aiutarla, lei lo accoglie seminuda.
La sua fama di assassina, che sembra mandare in visibilio tutti e fa tornare da lei anche Andrè, non ha lo stesso fascino sul padre di questo: il signor Bonnard (André Dussollier) non la vuole assolutamente come nuora, ma quando non è la bellezza ad affascinare il denaro è una valida alternativa, che lo porterà ad esclamare "cos'è un'assoluzione se non un certificato pubblico di onorabilità?"
Ennesimo tocco di classe il momento in cui la pellicola diventa in bianco e nero e ci mostra il ghigliottinamento di Maria Antonietta: finita la breve sequenza, infatti, il film torna a colori e ci rendiamo conto solo allora che la regina di Francia è interpretata proprio da Madeleine.
E a proposito di riferimento al passato con allusione alla storia narrata, all'inizio del film vediamo l'ingresso di una sala cinematografica, che in cartellone presenta Amore che redime (1934), opera prima di Billy Wilder al fianco di Alexander Esway, la cui attrice principale è Danielle Darrieux, forse non un caso che sia stato scelto un film con una protagonista francese e con un ruolo da eroina di noir.
C'è spazio anche per un finto ricorso al passato nella nuova carriera attoriale di Madeleine, quando la vediamo recitare a teatro Il calvario di Suzette, con una collana e un vestito nero che le fascia il corpo come la seducente mangiauomini Lulù, interpretata da Louise Brooks nel capolavoro espressionista tedesco Il vaso di Pandora di Georg Wilhelm Pabst (1929).
Il rimando a donne di questo tipo è ancora più stringente quando in scena arriva una straordinaria Isabelle Huppert nei panni di Odette Chaumette, altra attrice che rivendica l'omicidio di Monferrand e vuole costituirsi per prendere parte di quello che ormai è un merito per tutti. A farlo, nella pièce teatrale, era un uomo... una significativa differenza! Peccato, però, che Rabusset non voglia assolutamente riaprire il caso, e per questo le risponde con un esilarante "l'omicidio è indisponibile". La verità, in fondo è secondaria, e Bonnard lo riassume con un altro paio di folgoranti battute: "non riconosco più la differenza tra bene e male" e "la cosa migliore sarebbe quella di non dire mai a nessuno la verità".
Un'ultima curiosità proprio sul personaggio di Odette, che non può non ricordare la Crudelia Demon de La carica dei cento e uno (1961): che non sia solo una suggestione di chi guarda appare evidente quando la vediamo incontrare proprio due splendidi cani dalmata.
Il finale, da metateatro al cinema, è un altro colpo di scena straordinario, e anche i titoli di coda, ispirati ai giornali, sono molto belli.
Mon Crime è un piccolo gioiello, un piccolo trattato, che andrebbe intitolato "Ozon e la leggerezza".

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