Michele Apicella è diventato anziano, ora è un giudice, poco conta che si chiami Vittorio, è sempre lui e non fa concessioni a nessuno, tantomeno a suo figlio: le inquietudini di un tempo si sono trasformate in dramma.
Tre piani, tratto dall'omonimo romanzo dello scrittore israeliano Eshkol Nevo (2015) e preannunciato da un teaser musicale interpretato dalle attrici e dal regista che ha divertito molto (vedi), è un film rigorosamente morettiano e chi ama il regista romano non può non riconoscere che bastano poche inquadrature per comprenderne l'autore. Gli undici minuti di applausi al festival di Cannes lo dimostrano (trailer). Non solo, infatti, rivediamo la rigidità di Apicella, anche se declinata sui toni della tragedia e non della commedia (due facce della stessa medaglia), ma stavolta per molti versi siamo dalla parte opposta de La stanza del figlio (2001): allora la perdita di un figlio in un incidente, mentre, in una delle tre storie raccontate ora, la morte di una persona causata da un figlio irresponsabile
I tre piani sono quelli di un condominio romano (Prati, via Giuseppe Montanelli, 3-5, ad un passo dal lungotevere delle Armi): in ognuno di essi abitano famiglie, le cui sofferenze costituiscono la materia principale di questa pellicola.
Monica (Alba Rohrwacher) esce di casa a tarda notte per recarsi in ospedale e partorire: è sola poiché suo marito Giorgio (Adriano Giannini) è fuori città per lavoro e si ritrova a fare leva esclusivamente sulle sue forze. In strada assiste ad un clamoroso incidente: Andrea (Alessandro Sperduti), il giovane figlio di Vittorio (Nanni Moretti) e Dora (Margherita Buy), torna ubriaco alla guida, travolge la moglie di un altro condomino e si schianta nell'appartamento al piano terra, dove vivono Lucio (Riccardo Scamarcio), Sara (Elena Lietti) e la piccola Francesca. Quest'ultima viene spesso lasciata dai genitori a casa di altri condomini, Renato (Paolo Graziosi) e Giovanna (Anna Bonaiuto), un'abitudine che prosegue nonostante il primo abbia problemi di memoria, una difficoltà che li farà perdere nel circondario durante una passeggiata. Anche se tutto si risolverà per il meglio, Lucio, un uomo che semplifica tutto ripetendo spesso un insulso "non è normale", parlando di Renato e non solo, si convincerà, senza alcuna evidenza e persino dopo i controlli medici e psicologici sulla bambina, che Francesca abbia subito qualche tipo di abuso sessuale.
Tra violenze, aggressioni, denunce dichiarate, altre messe in atto e una sostanziale pessima comunicazione, i rapporti tra i familiari e tra gli amici del condominio deflagrano, complici dissapori antichi e nuovi: tutti hanno delle colpe, che è molto difficile, se non impossibile superare. Andrea odia sinceramente i genitori, soprattutto il padre, da sempre durissimo con lui e che, quando era bambino, lo costrinse ad una sorta di processo per aver preso delle monete dal suo portafoglio (sembra di risentire Hitchcock che racconta a Truffaut di essere stato messo una sera in galera dal padre che aveva un amico che lavorava lì per punirlo). Sua madre è comunque ritenuta colpevole dal ragazzo per non essersi mai ribellata a quell'uomo che, come scopriremo durante la storia, decideva per lei i vestiti, le scarpe, e tanto altro. Allo stesso tempo, Andrea sembra essere il tipico prodotto di una famiglia alto borghese, convinto che ogni malefatta gli debba essere condonata, tanto più che, da figlio di due giudici, chiede apertamente che i genitori facciano qualcosa per toglierlo da quella situazione.
Lucio è costantemente sospettoso e questo allontana molto Sara, che lo vorrebbe capace di vedere il bicchiere mezzo pieno: a questo si sovrappone l'arrivo della nipote adolescente di Renato e Giovanna, Charlotte (Denise Tantucci), che gioca a fare la Lolita con Lucio, e la frattura diventa insanabile.
Anche la coppia del terzo appartamento ha serie difficoltà: Monica ha la madre in sanatorio, si sente davvero troppo sola e ha problemi di sovrapposizione tra realtà e fantasia. In questo stato di cose si avvicina pericolosamente al fratello di Giorgio, Roberto (Stefano Dionisi), dalla condotta non proprio specchiata...
Un paio di omaggi cinefili, oltre la suggestione hitchockiana già citata, meritano di essere evidenziati. Il primo è nelle ombre cinesi con cui Monica intrattiene la piccola Beatrice, da sempre considerato uno degli spettacoli anticipatori della settima arte, risalenti al II a.C. e per questo uno dei più antichi del cosiddetto pre-cinema (come non pensare, peraltro, a quelle dell'oppieria di C'era una volta in America?); il secondo è rappresentato dal corvo visto da Monica nei momenti più estatici e che, anche se privo di parola, ha una funzione epidittica simile a quello di Uccellacci e Uccellini (Pasolini 1966).
Allo stesso tempo hanno un grande ruolo alcuni oggetti significanti - in una lettura costiana del film (A. Costa, La mela di Cézanne e l'accendino di Hitchcock, 2014) - e, in particolare, nella storia di Vittorio, Dora e Andrea: l'automobile, naturalmente, quella con cui il ragazzo entra rumorosamente in scena; una valigia, con cui la donna porta le vecchie scarpe del marito in un centro accoglienza per extracomunitari e che è simbolo di anni passati insieme, pur se in maniera monotona; ma soprattutto una segreteria telefonica, che Vittorio riattiva dopo decenni, regalandosi (in)volontariemente la nostalgia della voce del figlio quando era solo un bambino, in un ricordo amorevole e straziante insieme, un mezzo che sarà utile anche a Dora per tirar fuori quello che non ha mai osato esternare, quando ormai sembra inutile, eppure, forse, non del tutto...
"Il mondo è più grande di questo condominio" dice uno dei personaggi, ma quel condominio è un micromondo in cui azioni ed emozioni vanno oltre quell'angolo di strada, non c'è dubbio!
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