martedì 11 aprile 2023

The Whale (Aronofsky 2022)

Adattandolo dall'omonima pièce teatrale di Samuel D. Hunter (2012), Darren Aronofsky, cinque anni dopo Madre!, gira un altro film disturbante, ma rispetto a quell'horror scentrato e poco riuscito, questo dramma psicologico, tra letteratura americana e complesse dinamiche familiari, è un deciso passo avanti, pur conservando alcuni eccessi ampiamente rinunciabili.
La sceneggiatura, firmata dallo stesso Hunter, nonostante alcuni passi a vuoto fortemente didascalici, resiste alle due ore di pellicola, e la prova di Brendan Fraser, ben affiancato da Hong Chau e dalla giovanissima Sadie Sink, amata dagli appassionati di serie tv per il suo ruolo di Max in Stranger Things, rendono il film un'opera toccante, spingendo lo spettatore a empatizzare con il protagonista (trailer).
Charlie (Brendan Fraser) è un uomo obeso, al punto da aver compromesso la propria deambulazione e la salute degli organi, cosicché il suo cuore è ormai a un passo dal collasso.
Pesa 250 chili, vive solo e tiene corsi di letteratura on line, ma, vergognandosi della sua immagine, con gli studenti tiene la telecamera del pc spenta. Nel suo passato una moglie, Mary (Samantha Morton), e una figlia, Ellie (Sadie Sink), lasciate dopo essersi innamorato di un suo studente, Alan, la cui morte lo ha spinto verso una depressione e un odio per la vita che lo hanno condotto fino a quel punto di autolesionismo.
Charlie si muove col deambulatore, usa grossi maniglioni appesi al soffitto per mettersi a letto, per farsi la doccia e anche le azioni più comuni, per lui, diventano un'impresa. Ad aiutarlo c'è Liz (Hong Chau), un'amica di lunga data che va spesso a trovarlo e che, da infermiera, cerca di limitare i danni di una situazione già compromessa.
La casa di Charlie è frequentata anche da Thomas (Ty Simpkins), un giovane ragazzo della New Life, che vuole provare a spingerlo verso la fede in Cristo. La vita del protagonista, però, subisce un'impennata di emozioni e di senso, quando Ellie, la figlia ad un passo dal diploma che non vede da quando aveva otto anni, si presenta da lui chiedendo un aiuto didattico, ma con tanto rancore...
La mdp non esce per tutto il film dall'appartamento di Charlie e lo spettatore è costretto a condividere i suoi spazi, le sue difficoltà, i suoi pasti. Aronofsky indugia sul consumo compulsivo di cibo: Charlie mangia secchi di pollo fritto, snack dolci che occupano interi cassetti, patatine fritte, sandwich ricolmi di maionese e salse varie, pizze che ordina tutte le sere in larga quantità. Anche col runner che fa le consegne si comporta come con gli studenti: gli lascia i soldi nella cassetta della posta e fa depositare le pizze fuori dalla porta senza incontrarlo.
L'isolamento autoimposto, la depressione, il rapporto col mondo, l'omosessualità, la religione, i sensi di colpa nei confronti di moglie, figlia ed ex compagno, c'è tutto questo nel film e nella straordinaria interpretazione di Brendan Fraser - arrivato a pesare oltre 130 kg -, che è valsa il premio Oscar a lui come miglior attore protagonista e ai truccatori per lo stravolgimento della sua immagine.
E poi, tra i tanti temi, quello letterario, poiché la lettura e l'insegnamento della letteratura sembrano essere l'unico lenimento all'infinito dolore provato dal protagonista. The Whale, infatti, è anche un piccolo saggio di letteratura americana, un omaggio di Hunter a due grandi autori dell'Ottocento: Herman Melville e Walt Whitman. Dal primo la pellicola prende persino il titolo per Moby Dyck, che in originale è proprio The Whale (1851), capolavoro indiscusso dell'American Renaissance. Il romanzo viene più volte citato durante la storia, poiché Charlie ne legge dei passi e ne ricorda altri ricavati da un vecchio tema che si rivelerà importante per la trama. Fin troppo chiaro il rimando alla sua stessa vita, dall'ossessione del capitano Achab all'identificazione più diretta col cetaceo stesso ("questo libro mi ha fatto riflettere sulla mia vita").
Di Whitman, invece, considerato il padre della poesia americana, ascoltiamo Canto di me stesso (Song of Myself), una delle liriche della sua raccolta più famosa, Foglie d'erba (1855), inserita nel film perché è proprio la sua analisi il compito in cui Charlie aiuta la figlia. È con questa poesia che il protagonista tenta di ricucire il rapporto con Ellie, inizialmente per nulla interessata né alla letteratura (definisce Whitman “una checca sfigata vissuta nell’Ottocento”), né al padre ("faresti schifo anche se non fossi così grasso"). Il suo tema si limita ad una serie di dati presi da Wikipedia e Charlie, invece, legge le prime righe del componimento e le interpreta come un'apertura verso il mondo partendo dalla consapevolezza di sé, ciò che spera per il futuro della figlia adolescente, temendo forse in lei gli stessi atteggiamenti di chiusura che vede in se stesso, nella speranza di "sapere di aver fatto almeno una cosa giusta nella vita", come urla alla moglie Mary.
Lo scontro con la ragazza prima e con la moglie poi, la vera scena madre dell'intera pellicola, lo porterà all'accesso bulimico più clamoroso, in una sequenza volutamente irritante e senza speranza, nonché alla rinuncia al suo lavoro, dopo la richiesta di scrivere qualcosa di "vero" e "onesto" ai suoi studenti, in una sorta di parodia del rapporto professore-allievi de L'attimo fuggente (Weir 1989), in cui peraltro la famosa Capitano mio capitano era anche lì una poesia di Walt Whitman.
A Liz, furiosa con tutti coloro che pensando a se stessi peggiorano le condizioni di Charlie, spetta la battuta più bella sui sensi di colpa del suo assistito: "non credo che a questo mondo qualcuno possa salvare qualcun altro".
Ellie, invece, è durissima non solo con il padre, che cinicamente ringrazia per averle fatto capire che tutti sono stronzi sin da quando era bambina con il suo abbandono, ma anche con Thomas, davanti al quale si lascia andare a un'invettiva contro la religione, che considera un mezzo per credersi migliori degli altri. Di giorno in giorno, però, dapprima interessata solo ai soldi che il padre ha depositato su un conto per lei, si avvicinerà a quell'uomo, comprendendone le fragilità e la sincera umanità. Un simbolo di tutto questo è il piatto sul davanzale in cui Charlie lascia del cibo per gli uccelli che vi si posano, un gesto di attenzione e di altruismo che Ellie continua a notare in quelle lunghe giornate costantemente piovose.
Un simbolo fin troppo scontato anche questo: a Moscow, in Idaho (città nativa di Hunter), sembra piovere sempre, come nella Los Angeles di Blade Runner, e non a caso vedremo il sole una volta sola in tutto il film, nel momento della sublimazione, quasi mistica, ascensionale di Charlie. Decisamente troppo anche nell'enfasi del film. Aronofksy ancora una volta perde la misura in una pellicola che spingendo meno avrebbe sicuramente dato di più.

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