giovedì 8 dicembre 2022

Bones and all (Guadagnino 2022)

Un cannibal road movie. Potremmo definire così l'ultimo film di Luca Guadagnino, che stavolta cerca di tenere a bada la componente estetizzante del suo cinema, punta sulla sceneggiatura e sulla metafora tra amore e cannibalismo, e tra cannibalismo e minoranze lgbtqia+. Resta invece salda la componente identitaria del regista palermitano, la sua predilezione per l'ambiguo, per il gender crossing, che in questo caso si associa ad un film difficilmente inscatolabile: un horror, un racconto di formazione, una storia sentimentale per adolescenti (trailer).
Dal punto di vista interpretativo, la cosa migliore del film è rappresentata da Mark Rylance nei panni di Sully, indubbiamente il cannibale più inquietante della pellicola, i cui protagonisti principali sono però la brava Taylor Russell, l'adolescente afroamericana che accompagniamo nel viaggio per gli Stati Uniti e nell'acquisizione della consapevolezza della propria identità, e Timothée Chalamet, il Lee che con lei farà buona parte del viaggio, un po' più fuori parte, ma qui importante anche nella veste di produttore.
Tratto dall'omonimo romanzo della scrittrice statunitense Camille DeAngelis (2015), il film è ambientato negli anni '80 nella provincia degli Stati Uniti. Maren (Russell) vive sola col padre, Frank (André Holland), perché la madre è morta, ma solo più avanti scopriremo perché. Che siano gli anni '80 lo capiamo subito, poiché Maren, come in un classico horror di quel periodo, esce dalla finestra della sua camera e raggiunge la casa di un'amica, dove altre coetanee hanno organizzato un pigiama party. Qui, peraltro, la musica portante è quella di Save a prayer dei Duran Duran.
Le finestre degli horror anni '80, però, quelle a cui arrivavano sempre i fidanzati delle protagoniste, per esempio, non erano mai avvitate come questa... Maren di fatto deve "liberarsi" per raggiungere le amiche e lì, con un morso, stacca il dito di una di loro. Da quel momento inizia la fuga con il padre, evidentemente pronto a quell'evenienza, e il road movie può avere inizio.
Dal Maryland si parte verso ovest e, anche quando il padre rinuncerà a starle vicino, comunicandoglielo con una musicassetta (altro feticcio anni '80) che la ragazza ascolterà di tanto in tanto e noi con lei nel corso del film, Maren proseguirà in quella direzione, la direzione più tradizionale della storia degli Stati Uniti, seppur a zig zag, quella della ferrovia, quella verso il west. E su quell'itinerario, che la porterà in Ohio e in Indiana, in Kentucky, Minnesota e Nebraska, incontrerà prima Sully (Rylance) e poi Lee (Chalamet), entrambi cannibali come lei: il primo le insegnerà che non è l'unica ad esserlo e a come l'olfatto aiuti a riconoscersi tra simili; il secondo le farà scoprire l'amore.
Il cannibalismo fa quasi da sfondo alla vicenda ed è affrontato nella sua quotidianità, trattato persino con naturalezza. In tal senso, non deve sorprendere vedere i personaggi parlare, camminare con le bocche ancora insanguinate dopo il lauto pasto.
A proposito ancora degli anni '80, in una delle case delle sue vittime, Lee trova il poster dei Kiss e il loro Lp Lick It Up (1983) ricordando che quel disco è il primo in cui compaiono senza i volti truccati che fino ad allora li avevano distinti.
Sully è caratterizzato dall'iconografia del cacciatore: gilet con tante tasche e soprattutto collezionista di trofei, con una macabra treccia costituita dai capelli di tutte le sue vittime, che tanto rimanda agli scalpi degli indiani d'America.
Come anticipato, il film è un percorso di iniziazione, un vero e proprio romanzo di formazione per la giovane Maren, che passerà dal sentirsi vittima di una malattia alla conoscenza della propria differenza, fino all'accettazione e alla normalizzazione della sua particolarità.
Inevitabile la riflessione sull'analogia di percorsi simili per chi, nella realtà, si ritrova spesso a vivere anni nell'ombra, nel silenzio, senza rivelare le proprie tendenze sessuali per colpa di una società che ancora oggi glielo rende impossibile o quasi.
Anche imparare a riconoscersi è un momento fondamentale e non è un caso che nel film ad insegnarlo a Maren sia un uomo molto più grande di lei. La connessione con le minoranze sessuali, poi, diventa particolarmente esplicita nella sequenza del luna park, in cui Lee lusinga e rimorchia un giostraio gay, che sfoggia una rutilante camicia che ripete l'immagine della Gioconda di Leonardo: fatalmente quel pasto inizia tra le piante come un rapporto omosessuale.
La colonna sonora, con musiche di Trent Reznor e Atticus Rossè, è molto romantica, d'atmosfera, malinconica, talvolta ossessiva come il genere horror richiede. In una sequenza, Guadagnino gioca anche col sonoro generando un effetto davvero raro: l'arpeggio extradiegetico di una chitarra si sovrappone alla musica intradiegetica diffusa dalla radio dell'automobile.
Un accenno al titolo, che viene spiegato davanti a un falò da Jake (piccola parte per Michael Stuhlbarg) che usa l'espressione idiomatica "bones and all" per parlare di un pasto completo, consumato "fino all'osso" (non a caso il titolo dato nell'edizione italiana al romanzo della DeAngelis).
Proprio uno di quei pasti completi, rivissuti grazie ad un flashback da Lee, permette a Guadagnino di citare 2001. Odissea nello spazio (1968), poiché mostra il personaggio colpire la sua vittima brandendo un bastone nello stesso modo in cui uno degli uomini primitivi di Kubrick teneva un femore con cui uccideva uno dei suoi simili nella celeberrima scena dell'ellissi, dalla preistoria allo spazio (osso-navicella), sulle note di Così parlò Zarathustra di Strauss, all'origine dell'intelligenza umana e quindi della violenza.
E anche lo scontro con Sully rimanda ad una celeberrima sequenza per cinefili: l'inquadratura dall'alto della stanza fa subito pensare all'ultima sequenza di Taxi Driver in cui la musica di Bernard Hermann faceva da sottofondo alla mdp che Martin Scorsese aveva sistemato proprio nello stesso modo di Luca Gudagnino in questo film.
Chiudo l'analisi cinefila, di una pellicola che sembra occhieggiare qua e là a Elephant (Van Sant 2003) e a Solo gli amanti sopravvivono (Jarmush 2013), con il cameo di Jessica Harper, iconica protagonista del primo Suspiria (Argento 1977) e già inserita nei panni di Anke Meier da Guadagnino nel suo Suspiria (2018). Stavolta è la nonna di Maren, Barbara Kerns, ricoverata nell'ospedale psichiatrico di Fergus Falls, impazzita e senza mani, come il dantesco Mosca dei Lamberti (Inf. XXVIII, 103-111), ma qui la condanna dei moncherini la donna se l'è procurata da sola, in un attacco famelico, segno del passaggio genetico del cannibalismo.
Eppure, nonostante la loro peculiarità che li porta ai limiti della società, anche i cannibali (e leggete ancora le minoranze) vivono le insicurezze delle storie d'amore e pensano a una vita più comune, cercando casa e sperando di riuscire a vivere un po' come tutti, "Non pensi che sia una persona orribile?", chiede Lee, e Maren risponde semplicemente "quello che penso è che ti amo".
Un po' Disney, un po' fiaba, decisamente un po' troppo didascalico. 

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