lunedì 28 agosto 2023

Oppenheimer (Nolan 2023)

Christopher Nolan e il suo ennesimo film evento. Dopo tanta attesa, Oppenheimer è uscito e se ne sentirà parlare per un po', come per ogni recente pellicola del regista britannico.
La capacità di creare aspettative aè indubbia, il colossal dall'ingente budget da 100 milioni di dollari, girato in Imax 70 mm, verrà ripagato dagli incassi planetari, ma ancora una volta la sensazione è che Nolan realizzi un'enorme impalcatura senza convincere a pieno. Se però, in molti altri casi, i suoi film erano caratterizzati da parti iniziali folgoranti, e si sfilacciavano più avanti, con la conseguente difficoltà nel mantenere alta l'attenzione dello spettatore, stavolta la pellicola compie la parabola inversa e, dopo una prima parte lambiccata, ricolma di dialoghi sulla fisica, quantistica e non, riprende vigore grazie alla narrazione dei processi maccartisti ai danni del protagonista (trailer).
Ciò che convince di più nella seconda parte è soprattutto il dissidio umano e psicologico del protagonista successivo allo sgancio della bomba atomica che, va ricordato, venne effettuato dopo la resa della Germania e fu proprio Oppenheimer a spingere per il suo utilizzo. 
L'ambiguità morale è evidente: delirio di onnipotenza e volontà di passare alla storia o reale necessità di porre fine alla guerra per ottenere anche la resa del Giappone? Di certo la storia ha dato torto al fisico statunitense e alla scelta degli Stati Uniti. E sentire in precedenza Albert Einstein, nel Centro di Studi Avanzati di Princeton, dire a Oppenheimer che sapranno fermarsi all'occorrenza sa di sentenza cassandresca.
A tutto ciò si affianchino i motivi del rapporto con l'URSS, lo spionaggio sovietico, e di conseguenza un'altra grande domanda, che uno dei personaggi ripete in sceneggiatura: la bomba atomica segnò la fine della Seconda guerra mondiale o l'inizio della Guerra fredda? 
Una risposta non così facile, tanto più considerando che il territorio di scontro tra Strauss e Oppenheimer divenne la convinzione del primo di continuare su una politica nucleare aggressiva, in chiave antisovietica, pronta alla bomba H (tremila volte più potente dell'atomica), osteggiata dal secondo consapevole della tragedia già causata.
Detto questo, la netta impressione all'uscita dalla sala è che circoscrivere il soggetto a questa seconda pare e farne un film meno onnicomprensivo avrebbe permesso a Nolan di realizzare un'opera ben superiore a questa che, comunque, va detto, si basa sul libro Il padre della bomba atomica. Il trionfo e la tragedia di uno scienziato (American Prometheus) di Kai Bird e Martin J. Sherwin. E quel titolo originale vale le frasi in esergo alla pellicola, che rimandano proprio al mito di Prometeo.
Oppenheimer e Groves nel film e nella realtà
Cillian Murphy è meraviglioso, un attore davvero sempre più grande e nel ruolo di Robert Oppenheimer appare perfetto in tutte le situazioni, riuscendo a essere pienamente convincente da scienziato, nei momenti di massimo entusiasmo, in quelli di totale sconfitta, sia umana che professionale.
Attorno a lui, un cast incredibile, che regala grandi nomi in quasi tutti i ruoli, compreso qualche cameo: su tutti Gary Oldman che, dopo Churchill (L'ora più buia, Wright 2017), tra i suoi personaggi mette in curriculum anche il presidente degli Stati Uniti, Harry Truman. Prima di lui, sullo schermo vediamo Robert Downey Jr nei panni di Lewis Strauss, l'importante politico e imprenditore che prima sostenne Oppenheimer e in seguito ne divenne il principale oppositore; Emily Blunt in quelli della moglie del protagonista, Katherine detta Kitty; Florence Pugh è la sua amante comunista, Jean Tatlock; Matt Damon, invece, interpreta Leslie Groves, il generale che guidò il progetto Manhattan, diretto dallo stesso Oppenheimer e che portò alla costruzione del laboratorio di Los Alamos, nel deserto del New Mexico, dove venne realizzata la bomba atomica.
Oppenheimer e Einstein nella finzione e nella realtà
Nella truppa dei colleghi fisici Josh Hartnett è Ernest Lawrence; Casey Affleck è Boris Pash; Rami Malek è David Hill; Benny Safdie è Edward Teller, dallo spiccato accento ungherese; Kenneth Branagh è il danese Niels Bohr e Albert Einstein è Tom Conti. Infine, tra i grandissimi, spicca la presenza di Matthew Modine, nei panni dell'ingegnere Vannevar Bush, che fece da tramite tra gli scienziati del Progetto Manhattan e il presidente Franklin Delano Roosevelt, che terminò il suo terzo mandato il 12 aprile 1945, a pochi mesi dal lancio della bomba atomica del 9 agosto, quando c'era già Truman alla Casa Bianca.
Come anticipato, tutta la prima parte del film conduce alla bomba e a quel bottone rosso, su cui trema la mano di Enrico Fermi (Danny Deferrari). Nel 1942 Oppenheimer viene incaricato di dirigerne il progetto: il momento del test Trinity il 16 luglio 1945 è un momento tipico del cinema, che abbiamo visto numerose volte: quello dell'attesa di un intero gruppo di lavoro davanti al successo o al fallimento di un'impresa. Si pensi all'allunaggio, ai lanci nello spazio, alle operazioni militari, ai pozzi di petrolio (l'indimenticabile Il pertroliere - Anderson 2007), ma in questo caso soprattutto a Incontri ravvicinati del terzo tipo (Spielberg 1977), il cui incontro con gli alieni è forse la cosa che ricorda di più la sequenza girata da Nolan.
Oppenheimer è

principalmente un film dialogico e tutto ciò che precede la sequenza appena citata e fatto di nozioni di fisica, non sempre comprensibili ai più, in una parte di sceneggiatura ostica e lambiccata, che tanto ricorda quella analoga di Interstellar (Nolan 2014). Una sorta di trattato (non so dire quanto esatto o liberamente interpretato, per mancanza di studio in merito), che inevitabilmente allontana dalla vicenda umana dei personaggi, rendendo questa sezione eccessivamente scientifica, più adatta a un documentario che a un film, tanto più che poi Niels Bohr, tra un calcolo e un teorema, arriva a dire al protagonista, che non si sente ferratissimo in matematica (sic), che la matematica la deve sentire, come la musica (altro sic, in grassetto). A questa frase corrisponde subito dopo la scena di Oppenheimer che lancia bicchieri di cristallo a terra per studiare la morte delle stelle con il sottofondo di Igor Stravinskij. Decisamente un po' troppo.
L'unico accenno al lato privato del grande fisico statunitense in questa prima parte è probabilmente quella meno riuscita del film, l'amore per una sensualissima Jean Tatlock, una travolgente passione di corpi nudi che ha il merito di contrapporsi ai tanti discorsi di fisica e ingegneria. Non fosse, però, che alcuni momenti cadono nel ridicolo: vedere la donna che, per aumentare la propria eccitazione, chiede a Oppenheimer di leggere il Bhagwad Geeta, un libro sacro in sanscrito, fornisce nuovi orizzonti kinky apparentemente inesplorati, riuscendo al tempo stesso a far infuriare gli induisti. Siamo alla fine degli anni '30 e la Guerra civile spagnola è un tema forte per i comunisti americani, ma Robert, pur essendo contro i totalitarismi europei di quel momento, sceglie di non tesserarsi nel partito per sentirsi più libero.
Il film è completamente strutturato, e questo è un suo pregio, attraverso continui flashback su più livelli, in pieno stile Nolan: all'epoca appena descritta fanno da contrappunto l'udienza privata della commissione Gray contro Oppenheimer (1954) - accusato di connivenze con il comunismo -, finalizzata alla revoca dell'accesso alle informazioni riservate; e il più tardo processo a Lewis Strauss.
Tra le grandi trovate del regista, seppur non di immediata comprensione per lo spettatore, la differenziazione nell'uso del colore e del bianco e nero, con quest'ultimo che non designa gli anni più lontani nel tempo, ma le scene oggettive, in contrapposizione a quelle soggettive dagli occhi di Oppenheimer, che invece sono a colori. Una duplicità già sperimentata dal cineasta in Memento, dove il bianco e nero caratterizzava la narrazione in ordine cronologico e il colore per i flashback. Peraltro, la pellicola in bianco e nero per IMAX fino ad ora non era mai stata usata ed è stata una specifica richiesta di Nolan alla Kodak.
Anche l'uso del sonoro, come sempre nel regista londinese, ha una funzione espressiva e gli effetti accompagnano costantemente la narrazione. Resta nella memoria il silenzio assoluto a Los Alamos, nella notte del test atomico, quando, data la distanza dall'esplosione, tutto ciò che sentiamo sono i respiri dei membri dello staff del Progetto Manhattan: sono secondi di grande disorientamento e tensione, che si stemperano solo quando il rumore finalmente arriva.
La musica diretta dallo svedese Ludwig Göransson, già collaboratore di Nolan per Tenet (2020), è particolarmente ossessiva e dominata dal suono degli archi.
Non manca un po' di amara e agghiacciante ironia romanzata in sceneggiatura: la scelta delle città giapponesi su cui sganciare le bombe salvano Kyoto non solo per la sua valenza storico-culturale, ma anche perché uno dei responsabili la ricorda con affetto per esserci stato in viaggio di nozze; oppure il generale Groves, che chiede a Oppenheimer se ci sia il rischio che la bomba possa distruggere il mondo e, alla risposta che le "possibilità sono vicine allo zero", la replica è "sarebbe meglio zero".
Tra i momenti nolaniani più riconoscibili, infine, i sensi di colpa di Oppenheimer, che si fanno immagine nelle visioni di volti lacerati, di corpi carbonizzati, mentre il protagonista parla al suo staff rammaricato di non aver fatto prima per poter usare la bomba contro i nazisti (ed ennesimo brivido che percorre lo spettatore immaginando la bomba atomica in piena Europa). E altrettanto nolaniano è l'uso delle biglie come simbolo - ricordate la trottola di Inception? - che qui stanno a significare l'uranio utilizzato per la bomba, quell'uranio raccolto in una miniera del Congo da africani che per mesi lavorarono con cumuli radioattivi.
Per chiudere questa lunga analisi, c'è da dire che le parole più paralizzanti restano quelle che aprono i sensi di colpa che attanagliano Oppenheimer dopo l'esplosione della bomba, "e ora sono diventato la morte, il distruttore del mondo"; mentre le più realisticamente amare vengono messe in bocca ad Albert Einstein, ancora una volta l'unico in grado di vedere il futuro del protagonista: "ti daranno premi per scaricarsi la coscienza...".
Un Nolan visionario come sempre, forse migliore del solito, e comunque ipertrofico, eccessivo, verbosissimo, senza misura, ma d'altronde la misura non è mai stata il suo forte.

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