venerdì 25 agosto 2023

Emily (O'Connor 2022)

Al suo primo film da regista, l'attrice anglo-australiana Frances O'Connor gira un biopic su Emily Brontë, ma lo fa in maniera oleografica e in scia di numerose opere simili, letterarie e in costume. Laddove tutto è inevitabilmente già noto, tanto più all'esordio, ci si aspetterebbe qualcosa di più, senza dubbio. Eppure il film inizia con un bel movimento di macchina, che lascia ben sperare: Emily (una bravissima Emma Mackey, già eroina di Sex education e poi in Barbie) è sdraiata su un divano; la mdp la riprende in prospettiva centrale e poi si avvicina roteando sul volto in primo piano; titoli di testa. Poi però, praticamente più nulla, fatta eccezione per un paio di bei surcadrage che sfruttano le finestre su panorami collinari degni di un western (trailer).

La storia parte dalla fine e, dal capezzale di Emily, la sorella Charlotte (Alexandra Dowling) le chiede perché il suo Cime tempestose sia così pieno di gente egoista: è l'inizio del lungo flashback che costituisce il film.   

La personalità di Emily viene fuori già dalle prime scene, quando passa il tempo con le sorelle, soprattutto Charlotte e Anne (Amelia Gething); quando chiede al pastore William Weightman (Oliver Jackson-Cohen) "come fa Dio a infilarsi nella pioggia, non si bagna?", mostrando tutto il suo scetticismo nei confronti della religione, nonostante anche suo padre sia un reverendo protestante. 
Il rapporto con Charlotte è fatto di strisciante competitività e di continue provocazioni che indispettiscono Emily, tacciata dalla sorella maggiore di essere innamorata di Weightman e di essere chiamata da tutto il paese "la strana".
Pungolata per l'ennesima volta, Emily esplode in una serata in cui la famiglia è riunita intorno alla tavola e il padre passa loro una vecchia maschera regalata alla moglie defunta, con cui i figli da bambini giocavano a interpretare i personaggi di Shakespeare, della Bibbia, ecc. Emily la indosserà per impersonare proprio la mamma, facendo piangere Charlotte e spaventando anche il fratello Branwell (Fionn Whitehead). Qui la O'Connor non riesce a fare a meno di rendere tutto più teatrale e ai limiti dell'esoterico, a scapito del suo film, conferendo alla sequenza il carattere di seduta spiritica, che coinvolge anche gli agenti atmosferici, con il vento "tempestoso" che invade la sala. Tutto davvero oltremisura.
Mentre la distanza tra Emily e Charlotte si acuirà quando Charlotte riuscirà a diventare insegnante, scatenando nella sorella un ulteriore senso di inadeguatezza, Emily legherà sempre di più col fratello, con cui condivide la stessa voglia di libertà. E a illustrarlo interviene un'altra sequenza che nel tentativo di emozionare genera l'effetto opposto, con i due fratelli che urlano da una collina il loro mantra, "libertà di pensiero" ("freedom in thought"), che si tatuano persino: neanche a dirlo, la mdp li inquadra da dietro, come Il viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich (Amburgo, Kunsthalle, 1818), dipinto romantico per antonomasia.
Anche il gioco preferito di Emily e Branwell strizza l'occhio allo spettacolo ed è pienamente metacinematografico (La finestra sul cortile docet): acquattati davanti alle finestre di nobili case, si ritrovano a spiare e a doppiare i personaggi che vivono le loro vite, rendendo il quotidiano straordinario, essenza dello spettacolo e, forse, del cinema ancora di più, per quella sua capacità di sospendere l'incredulità più che a teatro. 
Emily ha grande facilità nell'inventare storie (bisogna pur dimostrare il suo talento da scrittrice nella vita reale), ma insieme al fratello fuma anche oppio e poi, come la Mouchette di Bresson (1967), i due si lasciano rotolare sulle colline. Ma più che in Bresson sembra di essere in Piccole donne.
Il film, nonostante qualche buona trovata, non riesce mai a decollare, non ha tensione e ciò che pervade lo spettatore è soprattutto la noia del già visto, privo di brillantezza,  in un costante ossequio delle regole e della tradizione.
Neanche la relazione segreta di Emily con William porta una scossa in una pellicola che, fatalmente, resta monocorde, persino quando il pastore la lascia - per il peccato mortale commesso - in preda ai tormenti amorosi, alla depressione e ai sogni, alla fuga verso Bruxelles, a una disperazione che fa pensare istintivamente ad Adele H (Truffaut 1975)... ma quel capolavoro Emily resta lontano anni luce.
In questa fase, forse, la cosa migliore del film, una sequenza che monta spazi vuoti, alla Ozu, pieni di senso, la chiesa, la casa, gli ambienti che i due hanno frequentato e che ora denunciano la desolazione della separazione.
Peccato, però, che tutto venga condito ancora del feulleitton più prevedibile, fatto di lettere, inganni e agnizioni.
Se, però, si è resistito a "sono strana?" "Lo sono tutti se li osservi bene", si è consapevoli che si può arrivare fino in fondo e, quando appaiono sullo schermo i tre tomi di Cime tempestose, la poltrona torna meno scomoda, si ritrova la pace con la sala, tutto parte da lì, tutto finisce lì, per fortuna...

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