giovedì 17 novembre 2022

Triangle of sadness (Östlund 2022)

Dopo aver vinto il premio Un Certain Regard con il bellissimo Forza maggiore (2014) e la Palma d'oro del 2017 con The Square, lo svedese Ruben Östlund, a 48 anni, torna a vincere Cannes con questo film, il primo in lingua inglese, sicuramente meno rigoroso, forse anche un po' troppo allungato, ma che arriva forte e chiaro come un macigno in una sala da pranzo. Che quella sala, poi, sia in uno yacht e che la cena si svolga con il mare ingrossato, rende tutto a un passo dai Monty Pyhton, come suggerisce il gadget che viene fornito agli spettatori prima di entrare in sala, un sacchetto con l'avvertenza “questo film può farti sentire sottosopra” (trailer).
Il titolo della pellicola viene spiegato nella prima delle tre parti in cui è divisa, ambientata nel mondo della moda, dove una serie di modelli fanno provini e ad uno viene chiesto di fare attenzione al "triangolo della tristezza", cioè quella zona del volto tra le sopracciglia e il naso.
Una sfilata che li vede in passerella cattura la nostra attenzione soprattutto per le frasi che si leggono nella scenografia, cose come "cinismo travestito da ottimismo" o "siamo tutti uguali", che anticipano i motivi tipici del cinema di Östlund, fatto ancora una volta di critica feroce nei confronti della società, e di continui scontri, o quantomeno di vertiginosi baratri, tra classi, tra uomini e donne, tra ideologie, ecc.
Anche i marchi possono essere agli antipodi e meritano atteggiamenti differenti, come dimostra il momento da commedia sferzante in cui un fotografo chiede ai modelli un'espressione Balenciaga, seria e accigliata, e subito dopo una da H&M, che risulta fatalmente sorridente e rilassata.
Carl (Harris Dickinson) e Yaya (Charlbi Dean), invece, sono una coppia di modelli che ci traghetta dalla prima alla seconda parte del film. Nel loro campo è la donna che guadagna di più e il denaro è un elemento determinante, che causa contrasti, dissapori, discussioni: lui la ritiene una "femminista da operetta", mentre la ragazza, che è anche un'influencer, ostenta la propria sicurezza, e il suo ruolo dominante, considerando la loro relazione quella tra due amici che si piacciono in attesa di trovare un uomo che la sfoggi come moglie.
Un rapporto di grande superficialità in buona sostanza, cosicché sorprende vedere tra le mani di Carl l'Ulisse di Joyce, che legge mentre prende il sole. Eppure sullo yacht in cui sono in vacanza i due modelli non sono certo i soli a essere strani.
L'equipaggio, ad esempio, fa incontri motivazionali il cui obiettivo è dimostrare di essere pronti a servire in ogni modo i ricchissimi clienti: l'entusiasmo che sprigionano è un chiaro segno di come la lotta di classe in quel contesto sia totalmente ignota. Tanto più che tra i clienti ci sono, tra gli altri, Dimitrij (Zlatko Burić), un sedicente "re della merda", imprenditore di fertilizzanti, lì con moglie e amante; una coppia di anziani signori inglesi che commerciano in bombe e mine antiuomo, ovviamente per difendere la democrazia (sic), e la stessa moglie di Dimitrij, Vera (Sunnyi Melles), che per capriccio chiede che tutto l'equipaggio smetta di lavorare per farsi un bagno in mare, scatenando la folle quanto buffa corsa ad accontentarla.
E proprio per questo, la cena con il capitano Thomas, un iconico e sornione Woody Harrelson, viene ritardata di una mezz'ora. Proprio a lui, peraltro, statunitense con simpatie comuniste, spetta sfidare a suon di citazioni l'anticomunista magnate dei fertilizzanti e, dopo i diversi botta e risposta, il capitano chiude con l'amara considerazione che per gli omicidi di Kennedy, Martin Luther King e Malcolm "è stato il mio governo a premere il grilletto".
La terza parte, ambientata su un'isola, vede i sopravvissuti della nave costretti a convivere lì, proprio loro, privi di alcuna abitudine alla rinuncia: c'è chi prega, chi beve le ultime bottiglie d'acqua, senza alcuna parsimonia, ma c'è anche Therese, donna invalidata da un ictus che ripete continuamente "In den wolken" (=nelle nuvole), un consiglio per lo spettatore per elevarsi o l'ennesima critica nei confronti di una società incapace di tenere i piedi per terra. Proprio lì, non a caso, la gerarchia sociale si ribalta ed è Abigail (Dolly De Leon), che sulla nave era solo l'addetta alle pulizie, a diventare il capo del gruppo e a ottenere anche una serie di privilegi, che nella vita precedente non avrebbe mai ottenuto...
Östlund gira con classe e la mdp usa carrelli e diversi movimenti anche inaspettati, tra i quali si segnala soprattutto un bel ricorso alla panoramica invece del campo e del controcampo per riprendere il dialogo tra Carl e Yaya all'interno di un taxi.  
Anche la colonna sonora ha un ruolo basilare nel film. Ne fanno parte brani classici o d'atmosfera come la Toccata e fuga in Fa minore di Bach o The Ocean di Linnea Olsson, Lush Life di Billy Strayhorn o Egyptian Fantasy di Vincent Peirani, ma anche pezzi pop come Lady di Modjo o Life di Des'ree. 
Di certo, usciti dal cinema, non dimenticherete New Noise, il pezzo del gruppo heavy metal Deadly Weapon che fa da sottofondo alla lunga sequenza dello yacht che oscilla causando l'acme del grottesco pythoniano del film, che ci regala l'ennesimo contrasto: una sala sfarzosa, con tanto di riproduzione della Nascita di Venere di Botticelli (che nascita non è, bensì approdo di Venere sull'isola di Cipro) e tavoli splendidamente imbanditi, con posate e stoviglie pregiate, tra ospiti vestiti in abito da sera, che improvvisamente subiranno gli effetti delle onde nel peggior modo possibile.
La violenza delle immagini e la durezza contro la società moderna rimanda inevitabilmente al Luis Buñuel de Il fascino discreto della borghesia (1972), alla Lina Wertmüller di Travolti da un insolito destino... (1974), al Lars von Trier di Melancholia (2011). In quella sequenza specifica, però, molti di voi penseranno a Il senso della vita (1983) e cercheranno tra i tavoli la figura massiccia di monsieur Creosoto senza successo.

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