sabato 26 novembre 2022

La stranezza (Andò 2022)

Roberto Andò e Luigi Pirandello, passando per Leonardo Sciascia, il trait d'union tra i due, amico di Andò e allievo di Pirandello. Non poteva che essere lui il regista de La stranezza, che con tanta cultura, ironia, filologia e inventiva racconta una serie di potenziali antefatti che avrebbero potuto ispirare il capolavoro di Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca d'autore, che il 9 maggio del 1921 andò in scena al Teatro Valle di Roma, dividendo completamente il pubblico tra entusiasti sostenitori e inferociti detrattori, che arrivarono quasi alle mani (trailer).
Fantasia e realtà si guardano allo specchio per tutta la durata del film, proprio come accade nel dramma di Pirandello, che è insieme soggetto e ispirazione della pellicola. E lo spettatore non può far altro che lasciarsi trasportare in questa continua e ambigua dualità, consapevole che, a differenza degli autori e degli spettatori, "chi nasce personaggio non muore più".
Con un dolly alla Sergio Leone, tanto più con il treno in basso che corre sulle rotaie (ed è subito C'era una volta il West!), Roberto Andò dà magniloquenza all'inizio della vicenda, che parte dall'interno di quel treno, dove sta viaggiando Luigi Pirandello (Toni Servillo), in crisi creativa, che ha persino sospeso le udienze domenicali con i suoi personaggi. Il maestro sta andando a Palermo per dare l'estremo saluto alla sua balia, Maria Stella (Aurora Quattrocchi), e in questa triste occasione conoscerà i becchini del paese, Sebastiano Vella (Salvatore Ficarra) e Onofrio Principato (Valentino Picone), teatranti dilettanti.
Tra pomodori e carrube in essicazione al sole, l'esistenza scorre placidamente, ma è la sera che tutto prende vita con le prove del teatro a cui partecipano in tanti, non solo Bastiano e Nofrio, come vengono chiamati i due, ma anche il parroco del paese, che ci tiene particolarmente a non vedersi ridurre la parte, e diversi membri della comunità, spesso lì perché imparentati con il don di turno, anche se del tutto incapaci a recitare. E così nascono divertenti qui pro quo sul palco, come l'esilarante seduta spiritica o l'ambigua battuta "non ho nessuno... scòpo e sono felice", che l'accento siciliano, unito alla pausa nel momento sbagliato, rendono particolarmente comica, tanto più con il commento e le facce di Bastiano e Nofrio.
Pirandello si incuriosisce, finge di non sapere nulla di teatro e si limita a dichiararsi professore di letteratura a Roma (dal 1897 insegnava Istituto Superiore di Magistero), complice l'epoca, in cui i personaggi noti non erano anche "volti noti", e inizia a sbirciare il lavoro dei due becchini a teatro, divertendosi. Più avanti l'inganno finirà e, come Pirandello, sarà invitato allo spettacolo, la tragicommedia La trincea del rimorso, durante la quale l'intervento di alcuni spettatori, che si sentono parodiati, gli darà una grandiosa idea...
Belle le location, che coinvolgono diverse città della Sicilia, ovviamente Palermo, ma anche Catania, Erice, Trapani. Del capoluogo si riconoscono Villa Wirz, ma soprattutto l'interno del palazzo tardoquattrocentesco Ajutamicristo, in stile gotico-catalano, con il suo bel cortile su due livelli con archi sorretti da colonne e il portale archiacuto che fa da sfondo ad alcune scene.
Un po' di teatro classico, per costruzione della scena e per il testo della sceneggiatura, la sequenza in cui Pirandello incontra nel teatrino di provincia il suggeritore Battaglia (Antonio Ribisi La Spina), che conosce da una vita e che quindi, a differenza degli altri, lo riconosce immediatamente: subito dopo l'agnizione, i due recitano, alternandosi, un frammento del discorso di Marco Antonio al funerale di Giulio Cesare dell'omonima tragedia di William Shakespeare.
Del teatro più recente, invece, resta traccia in qualche locandina: si leggono i titoli di Malìa, opera del 1893 musicata da Francesco Paolo Frontini con libretto di Luigi Capuana, e quello de  La Giara dello stesso Pirandello (1916).

Andò dà un piccolo spazio anche all'incontro di Pirandello con Giovanni Verga (Renato Carpentieri), la cui delusione per il paese che lo ha dimenticato e che ora vuole premiarlo è perfettamente riassunta in una bella battuta metaforica: "vogliono togliere la polvere da una fotografia".
Nella coppia Bastiano-Nofrio, il primo è il personaggio più divertente, quello dalle espressioni e dai movimenti più comici, ma di fatto è la spalla del secondo, a cui spettano le battute più importanti. È lui che sintetizza il senso della commedia - "siamo nelle mani di Dio e a Dio ci piace ridere" - ed è sempre lui che, una volta arrivato sotto la villa di Pirandello, si rifiuta di entrare spiegando a Bastiano che "non è paura, è dignità... certe volte conviene rimanere nell'ombra".
Bellissima l'immagine ripetuta di Pirandello nel suo studio, seduto in poltrona, che riflette, pensa ai suoi personaggi e alla sua futura opera, mentre la mdp gli gira attorno. È quello il luogo del processo creativo e, proprio in una di queste occasioni, una visione spiega tanto del film. Al drammaturgo, infatti, appare Maria Stella che gli dice "vieni qui che ti faccio passare la stranizza", laddove stranizza non è solo il titolo del film, che rimanda alla particolare forma teatrale verso cui l'ispirazione guiderà il maestro nella sua nuova opera, ma anche e soprattutto lo stupore, la meraviglia, come nella bellissima Stranizza d'amuri di Franco Battiato. Quello stupore, quella meraviglia che saranno negli occhi di Nofrio e Bastiano seduti in platea del Teatro Valle la sera del 9 maggio del 1921!

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