martedì 12 novembre 2019

The Irishman (Scorsese 2019)

Martin Scorsese torna al genere più frequentato della sua filmografia, che ha contributo a rendere epico negli ultimi quarant'anni, ma lo fa con una pellicola più intima e malinconica delle altre, in cui i grandi temi dell'amicizia, del tradimento, dell'onore, si stemperano in quello dell'età che avanza (trailer).
Una produzione di 159 milioni, per un film che, senza i soldi di Netflix, non avrebbe visto la luce, e che, per questo ha avuto una mediocre distribuzione in sala. Compromessi che probabilmente vedremo sempre più spesso e che continuano ad alimentare polemiche. Una cosa è certa, pellicole come questa meriterebbero sempre di essere viste prima in sala, perché concepite per quel tipo di fruizione.
È già leggenda la storia secondo la quale sarebbe stato proprio Robert De Niro a far conoscere a Scorsese il libro dell'ex investigatore Charles Brandt I Heard You Paint Houses (2004), con la richiesta di poter interpretare il protagonista, Frank Sheeran. Così è stato, e poi Scorsese gli ha affiancato attori del calibro di Al Pacino, Joe Pesci, Harvey Keitel e una serie di altri buoni interpreti, tra cui spiccano i nomi di Bobby Cannavale, ormai volto immancabile quando si tratta di italo-americani, Ray Romano, Jesse Plemons, Anna Paquin, Stephen Graham, Gary Basaraba, oltre a una serie di caratteristi già visti in serie tv come Boardwalk Empire e I Soprano.
Un cast di altissimo livello per un film davvero eccezionale e che non si arrende al tempo utilizzando ogni mezzo: così come Quentin Tarantino in C'era una volta a... Hollywood ha cambiato la storia dell'eccidio di Cielo Drive, qui Scorsese riesce a filmare il suo protagonista in quattro diverse età, senza ricorrere ad altri attori. Potere del cinema!
Il personaggio di Robert De Niro, attraverso una serie di analessi e prolessi, viene immortalato giovane, adulto, maturo e vecchio,  attraverso il comune ricorso al trucco e, per gli anni più lontani, alla computer grafica curata dalla Industrial Light & Magic, un effetto abbastanza straniante e non sempre convincente nella resa, ma una novità interessante per le possibilità di suoi sviluppi futuri. La stessa cosa, anche se in maniera meno evidente, dato che non si torna così tanto indietro nella loro vita, accade anche per altri personaggi. Proprio questi effetti speciali sono stati alla base della lievitazione dei costi e del passaggio della produzione dalla Paramount a Netflix.

Frank Sheeran (Robert De Niro) è un ultraottantenne d'origine irlandese, l'irishman del titolo, che ha partecipato alla Seconda guerra mondiale combattendo in Italia, ha lavorato per tutta la vita come camionista, un impiego che gli ha permesso di entrare in contatto con la mafia e di essere membro del sindacato più importante degli Stati Uniti, quello dei Teamsters.
Trasportatore di carne, viene avvicinato presto dalla malavita e da chi possiede locali in cui quella carne viene servita, come Felix Di Tullio, che tutti chiamano "Skinny Razor" (Bobby Cannavale). Da qui, il passo verso i grandi boss è breve: la casuale conoscenza di Russell Bufalino (Joe Pesci) gli darà la possibilità di avere come avvocato, nei momenti di difficoltà, il cugino, William Bufalino (Ray Romano), e di ricevere incarichi sempre più importanti anche dal potentissimo Angelo Bruno (Harvey Keitel). Nei ricordi di Frank, il passaggio da un lavoro onesto all'ingresso nella malavita appare la cosa più naturale del mondo: "Era come nell'esercito, eseguivo gli ordini".
Questa capacità di risolvere problemi (per citare il Mr. Wolf che fu proprio di Keitel in Pulp Fiction), lo renderà un elemento fondamentale anche per il fondatore dell'unione degli autotrasportatori, Jimmy Hoffa, interpretato da uno straordinario Al Pacino, l'uomo che, secondo la voce narrante dello stesso Frank, "negli anni '50 era più famoso di Elvis e negli anni '60 più dei Beatles, il più potente dopo il Presidente". Una curiosità, proprio su Jimmy Hoffa era liberamente modellato anche il sindacalista James Conway O'Donnell interpretato da Treat Williams in C'era una volta in America (Leone 1984).
Quel potere, però, era costituito da un consenso in cui la corruzione aveva un ruolo determinante, cosicché nella vita di Frank mafia e sindacato erano semplicemente due facce della stessa medaglia. Brandt, e Scorsese di conseguenza, però, vanno oltre, e attribuiscono a questi poteri anche le decisioni su chi far insediare alla Casa Bianca, da Kennedy a Nixon. La storia del film, così, si incrocia con la macrostoria, dall'ascesa al tracollo dei Kennedy, con le vicende di Cuba e dell'invasione della baia dei Porci (1961) - finalizzata, per Russell & co., a recuperare il controllo sui casinò dell'isola dopo la chiusura voluta da Fidel Castro l'anno prima -, fino allo scandalo Watergate (1972).
Frank sarà un uomo di fiducia di Russell e Jimmy in tutti questi anni, riuscendo anche a placare, all'occorrenza, il carattere orgoglioso e irascibile di Jimmy, i cui scontri con un altro boss come Tony Provenzano (Stephen Graham, l'Al Capone di The Boardwalk Empire) diventano momenti di commedia esilaranti nel film.

Inutile dire che Scorsese gira con una maestria che è un piacere per gli occhi e per il cinema, e lo fa sin dall'inizio, quando inquadra un corridoio attraverso una porta, un semplice surcadrage la cui cornice sparisce poco dopo, poiché la mdp inizia a muoversi in un bel piano sequenza in avanti e poi anche in altre direzioni, come a cercare qualcuno, finché non trova, seduto su una sedia a rotelle, il protagonista, rigorosamente di spalle e di cui vediamo solo un grosso anello identitario, per poi girargli attorno e mostrarci, generando un effetto di sorpresa finale, un vecchissimo Bob De Niro. Al tutto fa da sottofondo musicale In still of the night, successo anni '50, che rimanda all'epoca dell'inizio della storia e anticipa il flashback che costituirà il resto della narrazione. La musica si abbassa per farci ascoltare la voce di Sheeran che parla del suo passato, quando pensava che "imbiancare case" fosse un lavoro da imbianchini... sarà poi la mdp a spiegare perfettamente il senso figurato di quell'espressione, I Heard You Paint Houses, che leggiamo anche in caratteri cubitali a tutto schermo, bianco su nero.
Gli applausi, dopo questi pochi minuti, potrebbero già essere necessari, ma da qui in poi ci sono altre tre ore e mezzo di puro cinema, così piacevoli che alla fine si vorrebbe andare ancora avanti.

Scorsese ha grande attenzione per l'identità di ogni personaggio e per i tanti volti che si vedono durante il film, molti dei quali sono esistiti veramente (per le loro biografie reali, leggi). Alla loro prima apparizione ferma l'immagine e monta in sovrimpressione nome, modalità e data di morte, d'altronde come dirà Frank "su tutti prima o poi c'è la data di quando te ne vai".
Le epoche delle varie parti del film, invece, sono precisate da tanti elementi interni della scenografia e dei costumi, ma anche, data la cinefilia del regista dai titoli dei film, cosicché è facile comprendere che siamo sul finire degli anni '50, quando sulla tettoia di una sala cinematografica sullo sfondo dell'inquadratura si legge il titolo di Three faces of Eve (La donna dei tre volti - Johnson 1957), e più avanti, sulla stessa tettoia comparirà The Shootist (Siegel 1976), non a caso ultimo film di John Wayne, pellicola malinconica del genere western, così come questa di Scorsese rischia di esserlo per il mafia movie.

Gli anni '50 sono quelli in cui Russell, sposato con Carrie Sciandra (Kathrine Narducci, già in Bronx e ne I Soprano), rappresentante di quella che la sceneggiatura definisce "aristocrazia della mafia", controlla tutto usando come base e copertura un negozio di tendaggi. Il montaggio della storica collaboratrice di Scorsese, Thelma Schoonmaker, è perfetto nell'assemblare tutte le parti del film, composto da continui flashback che a volte, come detto, diventano virtuosismi puri, inseriti all'interno di altri flashback. Non possono, quindi, mancare le sequenze di montaggio in cui appunto vediamo gestire tutti gli affari a Russell e i legami con gli altri protagonisti con la voce narrante di Frank che ne spiega le evoluzioni, la stessa che ci accompagnerà anche nel finale, con la resa dei conti e i ralenti altrettanto identitari della coppia Scorsese-Schoonmaker.
I duetti tra gli attori sono ovviamente costanti e si susseguono uno dopo l'altro, a partire da un dialogo tra Frank e Russell in italiano, che il primo conosce per il suo passato da soldato durante la guerra mondiale e l'altro perché siciliano, di Catania, come tiene a precisare, mentre in sottofondo la musica di Robbie Robertson occhieggia, non a caso, al tema di Nino Rota per Il Padrino di Francis Ford Coppola (1 e 2).
Frank è un perfetto uomo vissuto in quegli anni e in quel contesto, come ne abbiamo già visti nei film di Scorsese e non solo. Anche se irlandese, quindi, tanto più interpretato da De Niro, ricorda altri personaggi dell'attore. Quando perde la testa per difendere una delle tre figlie solo perché è stata rimproverata dal salumiere, per esempio, ricorda immediatamente la furia di Jake La Motta che ribalta il tavolino in Toro Scatenato (Scorsese 1980) e forse, ancora di più, quella di Lorenzo Aniello in Bronx (De Niro 1993), poiché come questo usa gli stessi modi bruschi per portare in strada la figlia Peggy al cospetto del malcapitato così come quello spingeva il piccolo Calogero da Sonny per riportargli il denaro guadagnato illegalmente.
Tante le battute della sceneggiatura di Steven Zaillian e le gag che meritano di essere ricordate dopo la visione del film.
Uno dei committenti malavitosi, per assegnare un lavoro a Frank, fa riferimento al suo passato di soldato in Europa durante la Seconda guerra mondiale: "lascialo come hai lasciato Berlino, raso al suolo"; il potente boss di poche parole, Angelo Bruno, sentenzia "i soldi puoi tenerli, a lui non serviranno", facendo intuire che il suo nemico ha le ore contate.
E poi un membro della CIA noto per le orecchie grandi e così identificato dalla malavita organizzata, che continua ad essere chiamato in quel modo anche quando con un'operazione di chirurgia estetica ha risolto il problema, causando il disappunto di chi lo osserva e non trova più il suo carattere distintivo.
Ad Al Pacino e al suo Jimmy viene riservato uno splendido mantra che tanto ricorda quello di Ramon-Volonté in Per un pugno di dollari (Leone 1969; vedi): anche in questo caso, infatti, è sulla sopravvivenza di fronte a due armi, ma stavolta, invece di pistola e fucile, in mano all'uomo da cui difendersi ci sono pistola e coltello: "con la pistola aggredire, con un coltello scappare" ("charge with a gun, with a knife... you run").
La reazione alla notizia dell'attentato a Kennedy
Jimmy Hoffa è forse il personaggio più riuscito della pellicola, senza nulla togliere a quelli interpretati da De Niro e Joe Pesci. Come altre figure scorsesiane, come il Tommy De Vito-Joe Pesci di Quei bravi ragazzi soprattutto, è quello che perde il controllo con più rapidità, da qui non solo gli scontri con Tony Provenzano, ma anche la rabbia contro i Kennedy, che gli hanno messo Bob (Jack Huston) alle calcagna come procuratore generale. Per questo dopo l'assassinio di JFK, Scorsese non manca di inscenare la sua indicazione di togliere la bandiera a mezz'asta sull'edificio sede dei Teamsters, condita dalla frase "adesso Bobby Kennedy è solo un avvocato". E poi la sua golosità per i gelati, che gli vediamo mangiare in diverse scene, anche con Peggy, la prima delle quattro figlie di Frank che ha un debole per lui e con la quale, una volta cresciuta (Anna Paquin), ballerà un lento in occasione della festa del padre, che fa subito pensare all'analoga sequenza di Scent of a Woman (Brest 1992) con Gabrielle Anwar.
La bandiera a mezz'asta non convince Jimmy
La morte di Kennedy permette a Scorsese un'altra sottolineatura: non ci mostra l'avvenimento a Dallas, ma il momento della notizia che arriva ai protagonisti, riuniti in un bar per una pausa da un processo in tribunale, con i volti non esattamente sorpresi in direzione del televisore e quello di Jimmy che tradisce una certa soddisfazione, mentre subito dopo la tv ha già triturato ciò che è successo e manda in onda la pubblicità del Nescafè.

Altri fiori all'occhiello della pellicola sono la fotografia del messicano Rodrigo Prieto, già con Scorsese in The Wolf of Wall Street (2013) e in Silence (2016), e soprattutto la bellissima colonna sonora (ascolta), che pesca brani degli anni '50-'60-'70 e utilizza musiche originali, tra cui il bellissimo tema portante, del canadese Robbie Robertson, per la nona volta collaboratore del regista newyorchese per il quale realizzò la prima colonna sonora ai tempi di Toro Scatenato (1980).
Oltre alla citata In still of the night dei Five Satins (1956), già utilizzata in American Graffiti (Lucas 1973), si segnalano brani come I Hear You Knockin' , un rhythm and blues cantato da Smiley Lewis (1955) o Delicado di Percy Faith (1952),  fino a The Time Is Now dei Gold Diggers (1971).
Non mancano, infine, alcuni pezzi cinefili tratti da colonne sonore amate da Scorsese, come Le Grisbi che Jean Wetzel compose per l'omonimo noir francese con Jean Gabin (Becker 1954); ma anche il tema che Mario Nascimbene realizzò per La contessa scalza con Ava Gardner e Humphrey Bogart (Manckiewicz 1954); quello di Richard Hayman per Ruby, fiore selvaggio con Jennifer Jones e Charlton Heston (Vidor 1952) o la romantica versione italoamericana interpretata da Jerry Vale di Al Di La, (1962), brano di Luciano Tajoli inserito ne Gli amanti devono imparare (Daves 1962). E poi El Negro Zumbón, cantata da Flo Sandon's (pseudonimo della vicentina Mammola Sandon), composta da Armando Trovajoli per Anna (Lattuada 1951), sulle cui note ballava Silvana Mangano citata anche da Nanni Moretti in una famosa e ironica sequenza di Caro Diario nel 1993.
Tornando, infine, al film, la parte più toccante, e in questo gioco di rarefazione tra il bene e il male Scorsese è indubbiamente un maestro, è quella in cui ci vengono mostrati i grandi boss protagonisti della storia alla fine della loro vita, tra carcere e ospizi, non più in grado di camminare e costretti alla sedia a rotelle. The Irishman diventa così una sorta di Livella scorsesiana, in cui la malinconia per il tempo che passa prevale sui crimini efferati compiuti nei decenni precedenti. "Non ti rendi conto di quanto il tempo corre finché non ci arrivi" dirà un Frank ormai molto vecchio, ma ancora così razionale da andare a scegliersi la propria bara in un negozio di articoli funebri, al suo confessore.
Come sempre in Scorsese la componente religiosa è fondamentale, per un regista che ha più volte dichiarato che da bambino a Little Italy si cresceva avendo come modelli di riferimento i rappresentanti della Chiesa o quelli della mafia. 
Le sequenze dei battesimi delle figlie di Frank sono dei piccoli capolavori compositivi, quasi pittorici, che evidenziano il contrasto tra la solennità del rito e la teoria di invitati dai volti non certo raccomandabili, come spesso capita  con i committenti nei dipinti antichi. E non deve quindi meravigliare che Frank, anche quando ormai sarà l'unico superstite di un'era ormai tramontata, non penserà nemmeno per un attimo di confessare le sue malefatte alla polizia, ma lo farà con un giovane sacerdote, ultima speranza di redenzione per lui, simbolicamente amplificata dalla richiesta di lasciare la porta della propria stanza non completamente chiusa...

1 commento:

  1. Film capolavoro. Scorsese maestro assoluto. I 3 attori principali monumentali. Sceneggiatura e fotografia fantastiche. Il doppiaggio italiano eccellente. Non si capisce perché il film non abbia vinto gli Oscar principali.

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