lunedì 7 ottobre 2019

Joker (Phillips 2019)

Todd Phillips, finora noto soprattutto per la trilogia Una notte da leoni, sfodera un capolavoro mettendo in scena una storia inedita, che recupera il personaggio del più acerrimo nemico di Batman e l'ambientazione di Gotham City, per poi concentrarsi a raccontare le sue misteriose origini, terreno fertile poiché da sempre lasciato nel mistero dai creatori del fumetto Bob Kane, Bill Finger, Jerry Robinson (trailer).
Sono tre gli elementi che rendono Joker un film difficile da dimenticare: il soggetto, che ha in sé l'idea geniale di spiegare la follia del personaggio con i suoi disturbi psichiatrici e l'isolamento cui è costretto da chi lo circonda; l'interpretazione sublime di Joaquin Phoenix, sempre più a buon diritto da annoverare tra i più grandi attori viventi; la palese connessione della trama con lo scorsesiano Re per una notte (1983), amplificata dalla presenza di Robert De Niro nei panni che nell'illustre precedente erano stati di Jerry Lewis.
Arthur Fleck (Joaquin Phoenix) lavora come clown in una piccola società che impiega i pagliacci per la pubblicità di esercizi commerciali o per intrattenere i bambini negli ospedali. Come il Rupert Pupkin interpretato da De Niro per Scorsese, vive da solo con la madre, sogna di diventare un comico e di essere intervistato in un talkshow di successo presentato dal suo personaggio televisivo preferito: lì il Larry Langford (Jerry Lewis), qui Murray Franklin (Robert De Niro). E come Pupkin, questo amore da fan(atico) lo porta a immaginare lo spazio casalingo come uno studio televisivo, riproducendo da solo tutti i momenti della sua trasmissione preferita, battute, interviste ed entusiasmo del pubblico compresi. Come Pupkin, infine, nella sua realtà schizofrenica, si convince anche di avere una relazione con una vicina di casa.
Anche la madre di Arthur, Penny, ha problemi di instabilità mentale, lo chiama "happy" - anche se un giorno il figlio risponderà "non sono mai stato felice un solo minuto della mia vita" - e ha bisogno di lui per le normali operazioni quotidiane. In passato la donna ha lavorato per il ricco e potente Thomas Wayne, oggi candidato a sindaco della città di Gotham, e a suo avviso sarebbe proprio lui il padre di Arthur. È forse inutile precisarlo per i tanti appassionati, ma Wayne ha anche un figlio piccolo, quel Bruce, che qui vediamo solo un bambino, ma che da grande diventerà Batman.
Non so se, come ha detto Josh Brolin, solo chi ha sofferto può apprezzarlo a pieno, ma indubbiamente Joker è un film sulla sofferenza, sulla solitudine, sull'emarginazione e sull'indifferenza. Tutto quello che conosciamo di Joker-Arthur Fleck è infatti determinato dal difficile passato e dall'altrettanto complicato presente: la sua forma di risata patologica, incontrollabile ai primi segni di nervosismo, gli causa spesso problemi e, più di una volta, quella reazione viene scambiata come provocazione.
Non è un caso che nella prima sequenza il protagonista viene irriso da un gruppo di ragazzi che, mentre sta svolgendo il suo lavoro, gli rubano il cartello pubblicitario e scappano: la lunga rincorsa per raggiungerli vale ad Arthur solo una serie di calci e pugni in un vicolo buio commentati da un umiliante "tanto lui è un mollusco".
La scena è un simbolo, che nel corso della storia si ripeterà: Arthur prova a emanciparsi da una condizione di disagio, ma attorno a lui non c'è il benché minimo aiuto. Accade così con i colleghi, con il datore di lavoro, con gli sconosciuti sull'autobus e sulla metropolitana: nessuno comprende la sua condizione e nessuno è disposto ad accoglierlo con favore; persino far ridere un bambino può causare la diffidenza della madre del piccolo che gli inveisce contro.
Tra una mortificazione e l'altra, Arthur si arrocca sempre più nella sua realtà fatta di solitudine e schizofrenia, mentre le sue difficoltà vivono un ulteriore incremento quando, per il taglio dei fondi, chiude anche il consultorio pubblico dove era seguito da una psicoterapeuta.
La sua occasione di riscatto però arriverà, quando verrà invitato in tv al Murray Franklin Show, dove il mattatore televisivo, che lo ha notato sul palco in uno spettacolo off in un locale di Gotham, lo ha soprannominato "Joker", non certo per fargli un complimento... È il cinismo e la corsa all'audience a valergli quell'invito, Arthur ne è consapevole, ma al sogno di una vita non si può rinunciare, nemmeno a queste condizioni...

Il film è recitato meravigliosamente, Joaquin Phoenix è perfetto nel descrivere il disagio e la sofferenza nonostante, di fatto, il suo volto per gran parte delle sequenze esploda in risate incontrollate. Ogni espressione facciale, ogni movimento, ogni parola comunica tutto il suo malessere, che spesso evidenzia anche in forma scritta, come nelle terribili frasi sul diario che le fa tenere la terapeuta, "spero che la mia morte abbia più senso della mia vita" o "il lato peggiore della malattia mentale è che la gente vorrebbe ti comportassi come se non l'avessi".
Difficile quanto inutile paragonare il suo Joker a quello altrettanto magnifico di Jack Nicholson nel Batman di Tim Burton (1989), poiché si tratta di due personaggi opposti: allora un antagonista all'interno del fumetto propriamente detto; qui un protagonista assoluto, un misfit della società moderna. E Phillips, giustamente, gli lascia completamente la scena: è inimmaginabile il suo film senza l'interpretazione di Joaquin Phoenix che, in qualche modo, riprende amplificandola quella già fornita nel recente A beautiful day (Ramsay 2017), dov'era un uomo isolato che viveva da solo con una madre anziana e malata. Se allora vinse il premio come miglior attore a Cannes, stavolta punta dritto all'Oscar.
Si è detto dello Scorsese di Re per una notte, senza dubbio il film più vicino a Joker, a partire dall'idea dei quindici minuti di celebrità di Warhol come punto di arrivo per una mente disturbata e isolata dalla società, ma dall'immaginario scorsesiano arriva anche la bellissima sequenza casalinga in cui Arthur si muove da solo tenendo una pistola in mano, in una citazione rivisitata di Travis, il protagonista di Taxi Driver (1976), forse il più grande misfit del cinema degli ultimi decenni. E come Travis, anche Arthur ucciderà, con la differenza che laddove il film di Scorsese s'interrompeva, con i giornali che celebravano Travis come un eroe metropolitano, qui l'anonimo pagliaccio diventa davvero un modello e assurge a simbolo della rivolta sociale dei poveri contro i ricchi, cosicché persino la sua mise diventa una divisa per i manifestanti.
Oltre all'ottima sceneggiatura, scritta da Todd Phillips con Scott Silver, e alla presenza di Phoenix, a dar lustro al film si aggiungono una perfetta fotografia, diretta da Lawrence Sher, e una bellissima colonna sonora, che unisce brani della tradizione americana degli anni d'oro a composizioni originali della musicista islandese Hildur Guðnadóttir, e che si è già aggiudicata il Soundtrack Stars Award del 2019.
Due pezzi interpretati da Frank Sinatra: That's life, scritta da Dean Kay e Kelly Gordon nel 1963, ma incisa da Sinatra nel 1966, riprende il saluto-mantra di Murray Franklin che congeda i suoi telespettatori con "e ricordate... questa è la vita!"; la malinconica Send in the Clowns, invece, viene cantata dai ragazzi sulla metropolitana che si prendono gioco di Arthur, creando quella dissonanza che tanto ricorda quello che fece Stanley Kubrick con Singing in the rain in Arancia meccanica (1971).
Nella ricca cinefilia di questo film, vanno aggiunti altri riferimenti, tra cui un paio di titoli in cartellone che si leggono in uno dei cinema di Gotham City: Blow out (De Palma 1981) e Zorro, The Gay Blade (Medak 1981), che danno un riferimento cronologico preciso ai fatti narrati; ma, soprattutto, Arthur guarda in tv il musical Voglio danzare con te (1937) in cui Fred Astaire canta Slap that bass, e Tempi moderni di Charlie Chaplin (1936), che viene proiettato in una serata di gala. È l'occasione in cui Arthur incontra Thomas Wayne e le note che accompagnano la sequenza sono quelle di Smile di Jimmy Durante, brano composto proprio da Chaplin che poi lo inserì nella pellicola, anche se poi il testo della canzone verrà aggiunto nel 1954 da John Turner e Geoffrey Parsons.
A completare la colonna sonora, qualche brano rock a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, come White Room  dei Cream (1968) che si attaglia perfettamente alla scena di rivolta per le strade di Gotham e poi Rock & Roll part 2 di Cary Glitter (1972), le cui note fanno da sfondo ad una sequenza che è già diventata un cult, quella in cui Joaquin Phoenix scende le scale in abiti sgargianti da Joker e danza gradino dopo gradino, qui sì strizzando l'occhio all'imprescindibile Jack Nicholson.

1 commento:

  1. Un gran bel film, non un capolavoro, perché sono un po' fastidiose le troppe evidenti citazioni.

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