domenica 27 ottobre 2019

Burning - L'amore brucia (Lee Chang-dong 2018)

Dal racconto di Haruki Murakami, Granai incendiati (1984), che almeno nel titolo riprende Barn Burning di William Faulkner (1939), non a caso lo scrittore preferito del protagonista, il sudcoreano Lee Chang-dong mette in scena un'affascinante storia tra romanticismo, thriller e differenze sociali, ambientata a Seul.
Il caso è il fattore scatenante della vicenda: il giovane Jongsu, infatti, vince alla riffa di un mercatino e, quando ritira il premio, Haemi (Jeon Jong-seo), una delle ragazze immagine lo riconosce poiché da bambini vivevano in case vicine (trailer). 
I due ragazzi iniziano una frequentazione che per Haemi sa anche di rivincita, dato che alle elementari Jongsu l'aveva annichilita con un "sei davvero brutta", che non ha mai dimenticato; ma la loro conoscenza si interromperà presto a causa della partenza per l'Africa di Haemi, mentre Jongsu continuerà a tornare in quella casa, per sfamare il gatto (invisibile?) della ragazza, masturbandosi al pensiero di quella passione interrotta.
Al ritorno di Haemi da Nairobi, però, le aspettative di quell'amore vagheggiato tramonteranno, poiché la ragazza arriverà al fianco di Ben (Steven Yeun, già visto nella fortunata serie tv The Walking Dead), per tanti versi agli antipodi di Jongsu. Quest'ultimo, pur di non rinunciare del tutto ad Haemi, accetterà di essere considerato un semplice amico, vedendola invece interagire con Ben, troppo ricco per la sua età, e sostenendo, di fatto, un triangolo che lo pone nella posizione più scomoda.
D'altronde all'inizio della storia l'avvocato del padre di Jongsu, appena saputo che il ragazzo si è da poco laureato in scrittura creativa - un dettaglio che denuncia l'origine letteraria del soggetto -, gli ha detto che "i protagonisti delle storie sono sempre pazzi".
Chang-dong evidenzia la distanza del tenore di vita di Ben e degli altri protagonisti: mentre, infatti, Haemi vive a Seul in una stanza di pochissimi metri quadri e Jongsu a Paju, in provincia, al confine con la Corea del nord, in una casa-fattoria in cui il padre alleva vacche, muovendosi con un vecchio pick up sgangherato, Ben ha una casa strabiliante, arredata con gusto (alle pareti c'è anche una stampa dell'Onda di Hokusai), guida una Porsche e ha amici facoltosi, oltre ad essere sostenuto da un'etica nella quale "giusto e sbagliato non esistono, esiste solo la morale della natura". 
Non a caso, alla domanda sul lavoro che fa, la risposta è più evasiva che mai, "faccio questo e quello", tanto da meritarsi da parte del suo rivale la definizione di Grande Gatsby, cioè una di quelle "persone misteriose che sono giovani e ricche e non si sa cosa facciano di preciso". Il bisogno dichiarato, poi, di dar fuoco ogni due mesi a una serra (fienile, granaio, riprendendo il titolo dei racconti di Murakami e Faulkner), dà la misura di onnipotenza e di impunità, che gli sono necessari per sentirsi vivo.
Jongsu, che inizierà a pedinare Ben per vederci più chiaro, scoprirà un'alta società sempre più lontana dalla propria realtà, con pranzi domenicali in famiglia consumati all'interno di gallerie d'arte, rigorosamente dopo la messa cristiana e ritrovi serali con amici, da uno dei quali viene pronunciata una battuta contro i cinesi che, detta da loro in quel contesto appare paradossale: "i cinesi sono come gli americani, continenti molto grandi non considerano gli altri, i coreani sì".
Jongsu, peraltro, ha avuto una vita difficile sin da bambino, quando, causa un disturbo della personalità di suo padre, è stato abbandonato lì con la sorella dalla madre che non vede da sedici anni, e ora si ritrova solo anche perché suo padre viene condannato in tribunale per aver percosso un poliziotto, evento davanti al quale il figlio rimane apparentemente impassibile.
A far da contrappunto alla disagevole condizione di Jongsu, che naturalmente investe anche lo spettatore e trova una perfetta metafora visiva nella mdp che lo riprende al computer per poi, pian piano, inquadrare tutta Seul, dal piccolo al grande, trasformando il protagonista in un puntino insignificante, ci sono i molti momenti poetici della storia, a partire da Haemi che si addormenta spesso nel bel mezzo di una conversazione in un modo così dolce che Jongsu non può fare altro che guardarla con amore. Ed è sempre lei che, giocando a tavola con un mandarino, dà una lezione di fantasia a Jongsu: "non pensare che qui ci sia un mandarino, ma dimentica che non c'è".
E ancora, nel piccolissimo appartamento di Haemi illuminato dal sole per pochissimi istanti al giorno, quando uno dei suoi raggi entra dalla finestra attraverso un riflesso sulla torre di Seul: sarà proprio quello l'attimo che Jongsu fisserà dopo aver fatto l'amore per la prima volta con Haemi. 
La sequenza più lirica, però, è probabilmente quella in cui i tre protagonisti, dopo una giornata passata insieme, si ritrovano all'esterno della casa di Jongsu al tramonto: Haemi, semiaddormentata, e dopo aver detto "voglio sparire come il sole al tramonto", si lascia andare ad una sensualissima danza africana, che la regia monta sulle note di Miles Davis, e non un Miles Davis qualunque, bensì, in un altro omaggio cinefilo, quello del brano Generique della colonna sonora di Ascensore per il patibolo (Malle 1958 - vedi 1 e 2).
Un film bello, inquietante e disturbante, con un consueto quanto inutile sottotitolo italiano, ma con una buona regia, coaudiuvata dal bel montaggio di Kim Hyeon e Kim Da-won e dall'ottima fotografia di Hong Kyung-pyo, oltre alle atmosfere amplificate dalla musica composta da Mowg. Penalizzato a Cannes 2018, dove non ha ricevuto premi, è stato poi ricompensato dalla partecipazione alla selezione per il miglior film straniero agli Oscar 2019 come rappresentante della Corea. A prescindere da tutto questo, una pellicola difficile da dimenticare!

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