Coup de chance, cinquantesimo film di Allen (in cinquantaquattro anni di carriera!), torna sui motivi del tradimento, tra passione ed etica, cui il regista aveva già dedicato l'eccezionale Crimini e misfatti (1989) e Match Point (2005). In questo frangente, però, al dramma preferisce l'operetta, ripensando ai gialli di George Simenon, citato persino in sceneggiatura, e alla poetica del caso di Eric Rohmer, di cui Melvil Popaud è un perfetto testimone - fosse solo per aver girato Racconto d'estate, Un ragazzo, tre ragazze (1996) -, ma che qui il suo personaggio nega costantemente...L'edizione italiana traduce il titolo fedelmente, ma resta un peccato che Un colpo di fortuna alle nostre latitudini fosse già stato dato a una bella commedia di Preston Sturges (Christmas in July, 1940).
Fanny (Lou de Laâge) è una bellissima ragazza statunitense perfettamente integrata a Parigi, che in seconde nozze ha sposato Jean Fournier (Melvil Popaud), un ricco uomo d'affari che, per sua stessa definizione, fa soldi facendo "diventare più i ricchi i ricchi". I due non sembrano avere molto in comune e tra gli amici di lui il giudizio su di loro non è dei più lusinghieri: su Jean la vulgata è che abbia scelto una moglie-trofeo da sfoggiare in società, su Fanny che lo abbia sposato per superare un primo matrimonio fallimentare e godere dell'agiatezza, degli abiti alla moda, dei salotti buoni della capitale francese e della villa di campagna. A sconvolgere questo menage alto borghese, il casuale incontro di Fanny con Alain, uno scrittore che al liceo era nella sua stessa scuola e che, complice il colpo di fortuna che sente di aver avuto in quel momento, dichiara di essere innamorato di lei da allora e persino di aver sposato la sua ex moglie perché le ricordava lei.
Tra lusinghe, messaggi e qualche pausa pranzo insieme, Alain, che rappresenta un uomo diametralmente opposto a Jean, riesce a fare capitolare Fanny nella sua soffitta bohemienne dopo un piatto di spaghetti e del vino a buon mercato... Da qui in poi, il tradimento si tingerà di rosso e Jean dimostrerà di non avere scrupoli nell'eliminare fisicamente chi lo ostacola. Ad arricchire l'intreccio il basilare personaggio di Camille (Valérie Lemercier), la madre di Fanny, che, come Diane Keaton in Misterioso omicidio a Mahattan (1993), inizierà a indagare sul genero, che pure ama in maniera totalizzante, e proverà ad aprire gli occhi della figlia. Woody Allen crea, ovunque giri ormai e non solo nella sua New York, mondi in cui si trova splendidamente a suo agio, tra upper class, rapporti di coppia, ribaltamento dell'etica comune.
In tal senso proprio Jean è il personaggio più determinante: l'uomo perfetto per tutti, impeccabile, ammirevole, amabile con la moglie, premuroso con la suocera, capace nel lavoro, apparentemente pieno di amici. Eppure il suo modo di fare affettato, sempre sopra le righe, appare decisamente costruito, e questo mette subito in allerta il pubblico, come la sua passione per i trenini elettrici, davvero hitchcockiana. Non è senza macchie nemmeno la bella e vezzosa Fanny, che vive come se fosse una vittima, ma che in realtà, nella sua comprensibile insoddisfazione, sceglie prima di essere una gatta morta narcisista, tanto da sorprendersi per il bacio di Alain, poi si tuffa nell'avventura senza la minima accortezza che la situazione imporrebbe, e quindi torna alla comoda agiatezza, il tutto con una svagatezza di chi è abituato a vivere nella bambagia e di chi pensa che sia "meglio non approfondire troppo".
Da una parte un uomo spietato, pronto a tutto per raggiungere i suoi fini, convinto di poter indirizzare la fortuna a suo piacimento ("la fortuna non esiste per me e disprezzo chi crede nel caso", oppure "la fortuna io la provoco"), dall'altra una donna poco intelligente che vive della sua bellezza. Entrambi caratterizzati da topoi altoborghesi: Jean si occupa di finanza e va a caccia di cervi; Fanny lavora in una galleria d'arte, che qui torna ad essere il mestiere fatuo per eccellenza per donne di buona famiglia che lavorano solo per tenersi occupate, e crede che "a un matrimonio riuscito non devi lavorare, non deve essere una fatica". E in effetti il suo lo interpreta proprio così, cambiando atteggiamento a seconda della convenienza del momento e interpretando le cose nel modo che le assicura più serenità. Il caso, però, ha sempre la meglio anche sui calcoli più studiati e, soprattutto, a prescindere dai comportamenti più o meno corretti e virtuosi delle persone. Per l'ambiguità di Jean, inoltre, si faccia caso alla sequenza in cui origlia dalla porta del bagno il dialogo tra madre e figlia: Melvil Popaud è perfetto nel trasfigurare il suo volto attraverso le espressioni, in un crescendo degno di Dr Jekyll e Mr Hyde, acuito dallo specchio al suo fianco che ne ritrae fisicamente e allegoricamente la doppiezza.
Con Woody Allen, ancora una volta, lo spettatore si immerge nell'alta società della tradizionale commedia holliwoodiana, di Lubitsch, Capra, Hawks, condita però dalle ossessioni relazionali che hanno sempre caratterizzato le sue pellicole. La bellissima fotografia di Vittorio Storaro e le note della colonna sonora jazz, su cui spicca la famosa Cantaloupe Island di Herbie Hancock, completano la magia della sala, per un ennesimo Natale con uno dei più grandi maestri della commedia degli ultimi cinquant'anni. Meglio non pensare a come saranno questi giorni dell'anno quando dovremo fare a meno del suo ultimo film.
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