lunedì 20 febbraio 2023

Decision to leave (Park Chan-Wook 2022)

Park Chan-Wook si cimenta in un neo noir, che coniuga un poliziesco tradizionale a dinamiche psicologiche complesse, tra agenti, relazioni matrimoniali e non, morti casuali o omicidi premeditati, moventi e indizi. Un po' Hitchcock, un po' Almodovar, tra romanticismo, amore distruttivo, perversa seduzione e abissi dell'animo umano... 
A Pusan, seconda città della Corea dopo Seoul, gli agenti sparano al poligono e commentano il tasso di omicidi nei loro discorsi quotidiani, per poi essere chiamati al sopralluogo per la morte di un uomo caduto da un dirupo (trailer).
Si tratta di Ki Do-soo (Yoo Seung-mok), il marito di Song Seo-rae (Tang Wei), con cui si stava arrampicando su una parete rocciosa prima della disgrazia. Quando Jang Hae-jun (Park Hae-il) andrà ad interrogare la vedova, però, questa ha già tolto la fede, un dettaglio che insospettisce non poco gli inquirenti, una sensazione che aumenta quando sotto le unghie dell'uomo viene trovato il DNA della moglie, che continua a sostenere si sia trattato di un suicidio, persino quando il contapassi del cellulare di una sua paziente allettata mostrerà un numero incredibile.
Tutto è come sembra o no? Secondo uno schema classico, Chan-Wook sviluppa la trama del suo film riecheggiando motivi che ci ricordano il cinema del passato. Fatalmente, Hae-jun si innamorerà della donna su cui indaga (una sorta di James Stewart-Scottie in Vertigo) e avrà con lei una relazione extraconiugale, riducendo di molto la propria obiettività sul caso. Sua moglie Jeong-an (Lee Jung-hyun), peraltro, vive a Ipo, dove lavora nella centrale nucleare del luogo, e Hae-jun la vede solo nel finesettimana, una routine che aumenta l'insoddisfazione della coppia e favorisce la sua relazione con Seo-rae. Quest'ultima sembra molto meno coinvolta del suo amante e troverà presto un secondo marito, Im Ho-shin, con cui andrà a vivere proprio a Ipo, famosa per la sua nebbia, mentre Hae-jun tornerà a casa per vivere con la moglie tra depressione e insonnia. Le due coppie si incontreranno e il passato tornerà con tutta la sua forza.
L'abusato motivo della donna che utilizza le sue armi seduttive per ingannare il detective è acuito da quella che potremmo definire inimicizia territoriale: la donna del mistero, di cui non bisognerebbe fidarsi ma della quale il protagonista non può non innamorarsi perdutamente, è anche una donna cinese in un contesto coreano; il male viene da fuori (e il fattore linguistico è fondamentale, anche se noi lo perdiamo). D'altro canto Seo-Rae, da infermiera di persone molto anziane, ha un passato in cui ha assistito e agevolato persino la morte della madre.
Nulla è mai chiaro e i silenzi parlano più di mille parole, così come gli sguardi tra i personaggi, che possono accogliere, allontanare, giudicare e tanto altro: sta allo spettatore seguire il filo rosso lasciato dal regista, ma che si interrompe, cambia direzione, si aggroviglia nei meandri dei comportamenti e della psiche umana.
La regia si fa notare - e non a caso ha vinto il Prix de la mise en scène di Cannes -, perché Chan-Wook gira con classe, con grande senso estetico e, oltre i movimenti di macchina, con carrelli e panoramiche, split screen naturali, ecc. all'inizio e alla fine del film ci regala due bellissime inquadrature dall'alto che mostrano l'esplorazione del luogo in cui è morto Do-soo e il mare. Nella primissima parte, invece, è da notare un'ellissi a tre elementi, davvero una novità assoluta forse, che passa dal saké versato ad una flebo che goccia per poi arrivare al braccio della nonnina che Song Seo-Rae accudisce, fino al te' in una tazza.
Il finale marino è evanescente, magico e crudele, come solo il cinema orientale a volte sa esserlo.

Nessun commento:

Posta un commento