lunedì 10 novembre 2025

Libera (Corsicato 1993)

Il ritorno in sala di Libera, dopo il suo restauro in 4k effettuato a Cinecittà, riporta sul grande schermo l'opera con cui Pappi Corsicato debuttò nel 1993 e che fu uno squarcio nel panorama cinematografico italiano del tempo.
Un film a episodi che ruppe con la tradizione; con una Iaia Forte straordinaria; con visività e cromatismo almodovariani trasposti nella realtà partenopea; con toni da telenovela del tempo conditi da frasi tormentone come "io sono tuo padre!"; con le immagini che narrano più delle parole, per stessa volontà del suo regista, poco sceneggiatore e molto influenzato anche da Jacques Tati, oltre che da Almodovar e dai melodrammi statunitensi degli anni '50, come quelli di Douglas Sirk.
Questo e tanto altro ha raccontato recentemente lo stesso Corsicato in un incontro alla Festa del Cinema di Roma, che si è tenuto in Sala Sinopoli dell'Auditorium il 20 ottobre scorso. E così ha ricordato che il suo primo film non poteva avere altra attrice protagonista se non Iaia Forte, sua amica da sempre, che poi aveva studiato recitazione al Centro Sperimentale di Roma, mentre lui era andato a studiare cinema a New York.
Da lì, peraltro, il regista napoletano era tornato dopo che Donne sull'orlo di una crisi di nervi (1988) di Pedro Almodovar aveva vinto premi in Italia e, folgorato da quel film, aveva chiesto al regista spagnolo di potergli fare da aiuto nel successivo progetto. E, così, fu suo assistente sul set di Lègami (1989), anche se a suo dire non fece nulla, ma di certo rubò tanto con gli occhi, perché Libera sembra davvero uscito da un'ideale factory del cineasta castigliano.
Tre episodi al femminile, che vedono protagoniste donne che vivono in realtà differenti e imparano ad essere come sono, irregolari e fuori dai canoni, altro elemento con cui Corsicato aveva convissuto sin da bambino. Contesti matriarcali, così frequenti nel meridione italiano, in cui le donne erano sì vittime supine del mondo maschile, ma che nel loro piccolo prendevano decisioni su tanti aspetti della vita quotidiana familiare. Le donne, per il regista napoletano, erano più interessanti rispetto alla bidimensionalità maschile, poiché più sfaccettate e più complesse.
Enzo Moscato nei panni di Don Arcangelo
Tre episodi grotteschi, surreali, comici, con al centro sesso, identità di genere, agnizioni, matrimoni fallimentari e critica ironica ma spietata della morale comune, mai rispettata eppure tanto sbandierata dal benpensantismo borghese.
Nel primo, Aurora (Iaia Forte) è una donna che, a detta del parroco, ha fatto un buon matrimonio con Franco, un uomo ricco, non certo come sua sorella, che ha sposato un "pezzente e impotente". Vive al Centro Direzionale di Napoli, allora da poco completato, è ricca ma sola: il marito è sempre fuori per affari e le avance di una sua vecchia fiamma, dal nomignolo poco incoraggiante, Pistoletta (Ninni Bruschetta), possono fare breccia in lei...
Cristina Donadio/Carmela
Carmela (Cristina Donadio) invece sembra vivere in una telenovela argentina. Abita in un basso napoletano con Bastiano, il figlio ventenne appena tornato dal riformatorio che non ha mai conosciuto suo padre. Sopra di loro, l'appartamento di Miriam, una sarta specializzata in abiti da sposa che non ha mai fatto sesso in vita sua.
Libera (Iaia Forte), infine, è un'edicolante di Scampia che si ritrova a lavorare con il solo dipendente Mimmo, dato che suo marito Tanino (Manrico Gammarota) continua a darsi malato, e, grazie a una pura casualità, decide di sfruttare la cosa ottenendo grandi guadagni. 
L'idea a Pappi Corsicato, come ha ricordato alla recente Festa del Cinema, giunse da una notizia di cronaca che parlava di una donna che spiava l'ex e lo riprendeva. E tutto, peraltro, partì da Libera, nato come cortometraggio nel 1991 e poi, dopo il successo avuto, ampliato dal regista partenopeo con l'aggiunta di altri due episodi per farne una lungometraggio, che fu presentato al Festival di Berlino 1993 e che vinse il Nastro d'argento come migliore opera prima.
Tante le scene dei tre episodi che restano in mente, a partire dalla sequenza degna di un videoclip trash di Aurora, in cui il parroco, don Arcangelo (Enzo Moscato), infastidito dall'incenso e dal chierichetto che lo sta spargendo in chiesa, inizia a cantare e ballare attorno all'altare sulle note di Angeli negri di Fausto Leali (1968; vedi), in cui vira quella che era iniziata come l'Ave Maria di Schubert. È solo l'inizio di scene surreali, coloratissime, che proseguono con la terribile serenata neomelodica in playback di Pistoletta, davanti ai grattacieli del Centro Direzionale, vestito con un abito verde molto largo, come di moda in quegli anni, "scortato" da due padrini che sembrano membri della camorra, in un'Alfasud targata Firenze.
In Carmela, c'è Miriam che, tutore al collo per una precedente colluttazione, prova a fare sesso con chiunque, per poi denunciare il tentativo di stupro a ogni proprio fallimento; ma anche la caduta dalle scale di Italia (Iaia Forte), che perde la verginità con il tacco della scarpa, un incidente che rimonta alle dicerie che Pappi Corsicato ricorda di aver ascoltato da bambino nel proprio quartiere.
Una recensione a parte meriterebbero gli oggetti. Dagli orecchini/cd di Aurora, che ha anche una "splendida" mano in porcellana motorizzata per offrire drink colorati, al vestito di Pistoletta che con "l'ecoluce" dell'appartamento cambia colore a ogni inquadratura. In questa casa iperaccessoriata Aurora ha anche un videotelefono con un monitor da primi pc anni '90 che oggi appare ancora più comico di allora. E poi gli arti e le teste dei manichini di Miriam, che puntualmente cadono dal balcone quando Carmela esce di casa, oppure le statuine elettriche clamorosamente kitsch della Madonna di Lourdes, dotate di ampie corone stellate luminose. Decisamente pacchiani anche i tappetini-souvenir delle città italiane appesi alle pareti: Siena in casa di Carmela, Venezia in casa di Libera.
La tv è ovunque, e Libera ne usa una all'interno della vetrina di un negozio persino come specchio. Anche la sorella di Pistoletta, per esempio, è prima molto sbrigativa con Aurora perché deve vedere la sua telenovela preferita ("nun me fa perder' 'a puntat' "), e poi parla con il fratello che sta guardando le televendite degli elettrostimolatori anticellulite che allora andavano di moda.
Tra gli oggetti significativi c'è il rasoio di Bastiano, che prova a lavorare come garzone del barbiere, ma alla prima rasatura taglia di netto un orecchio di un cliente, stile Van Gogh, o cinematograficamente parlando, come l'orecchio dell'inizio di Velluto Blu (Lynch 1986).
Esilaranti i titoli dei porno di cui vediamo i poster nel primo episodio (Unioni sessuali americane, Mamma ho perso l'uccello, La cameriere lo vogliono duro).
Tanta cinefilia, anche diretta, nei film visti in tv dai personaggi, a partire da Aurora, che guarda Cleopatra (Mankiewicz 1963), con Liz Taylor. L'episodio dedicato a Carmela inizia sulle ultime battute de La donna che visse due volte (1958), con la protagonista che piange guardando lo schermo che è fuori dall'inquadratura e che noi vediamo riflesso e in controparte su uno specchio. Ma il film di Hitchcock avrà un richiamo nella trama, con le trasformazioni di Carmela che rimandano a quelle di Madeleine/Judy. Sempre in Carmela, inoltre, Bastiano guarda il disneyano Cenerentola (Jackson 1950), così come Miriam canticchia Goldfinger, il mitico brano di Shirley Bassey di Agente 007 - Missione Goldfinger (Hamilton 1964).
Il figlio di Carmela
Nello stesso episodio, incentrato sul complesso rapporto tra la donna e il figlio, non può mancare un accenno al tango di Violino Tzigano, la canzone che rimanda immediatamente a Mamma Roma (Pasolini 1962), con Anna Magnani ed Ettore Garofolo che ballano su quelle note (vedi).
Anche in Libera c'è tanto cinema, prima con il cliente pornomane che non sa come chiedere i vhs più erotici, mentre la donna gli propone Ladri di biciclette e Charlot pompiere. E poi, con i video amatoriali prodotti da Libera stessa, all'insaputa del marito, grazie alla fantasia della sua amica prostituta, Immacolata, che declina la sua capacità di avere look sempre differenti ("sennò gli uomini si annoiano") ad amplessi cinefili che occhieggiano a CleopatraLa mummia, ecc. 
Pistoletta/Ninni Bruschetta e la sua serenata
Le citazioni più ricercate, però, sono rappresentate dalla scena in cui Libera dà al marito la medicina in un bicchiere lattiginoso e, data la tensione del momento, tutto fa pensare a quello che Cary Grant porta a Joan Fontaine ne Il sospetto (Hitchcock 1941); e dalla pubblicità dell'agenzia di "investigazioni Raimondo Chandler", che la protagonista chiama al telefono, pronunciandola rigorosamente Candler, e che rimanda, con il nome italianizzato, allo scrittore de Il grande sonno (1939), poi portato al cinema da un gigante come Howard Hawks (1946) con Humphrey Bogart, nei panni del detective Philip Marlowe, e Lauren Bacall.
Infine proprio Libera, in una delle ultime scene, guarda in tv Angoscia di George Cukor (1944), del quale vediamo uno dei tanti momenti drammatici in cui Ingrid Bergman dialoga con Charles Boyer che la manipola psicologicamente (proprio dal film, intitolato in originale Gaslight, deriva il termine gaslighting).
E anche la colonna sonora è eccezionale per associazioni e caratteri trash. Oltre i brani già citati ascoltiamo musiche popolari greche, come Nihtes Magikes, all'inizio della pellicola, ma poi si alternano tantissime canzoni italiane, come La notte di Salvatore Adamo, quando il venditore di musicassette (Vincenzo Peluso) inizia a ballare con Bastiano, o Indifferentemente di Sergio Bruni, all'inizio di Libera.
Corsicato gira bene, usando con classe la mdp, che spesso per esempio ruota con panoramiche di 180° attorno ai personaggi. Inoltre, gioca con le ellissi - su tutti, in Libera, il tempo che passa in base alla pila di giornali da vendere che si assottiglia - e gli stacchi, che più di una volta avvengono con la mdp che si avvicina ai vestiti degli attori fino ad arrivare al nero, in un espediente che per i cinefili è subito un rimando ai cambi rullo, per creare l'effetto di un unico piano-sequenza, in Nodo alla gola (Hitchcock 1948).
L'esordio di Pappi Corsicato ovviamente, essendo giocato sulle ossessioni dell'epoca, ha ceduto al tempo e scenografie, costumi, acconciature lo rendono una pellicola vintage che oggi aumenta il suo lato kitsch. Tutto questo rende il film ancora più divertente, mentre la carica dissacratoria non ha ceduto di un passo e vale oggi quanto allora, in quello che va considerato un imperdibile cult anni '90.

Nessun commento:

Posta un commento