La famosa frase di Walt Whitman potrebbe fare da esergo al ginepraio psicologico che Luca Guadagnino orchestra nel suo ultimo film, che pone tante domande ma sceglie scientemente di non dare soluzioni. In After the hunt ci si inabissa così in un complesso groviglio tra quattro personaggi, governati e legati vicendevolmente da ambizione, stima, amore, prepotenza, vittimismo, paternalismo, egocentrismo, potere, attrazione e tanto altro.
Siamo nel campus di Yale, in Connecticut, una delle eccellenze accademiche statunitensi, dove vivono Alma (Julia Roberts), che insegna filosofia, e suo marito, Frederik (Michael Stuhlbarg), psicoterapeuta (trailer).
La loro stanca relazione di coppia appare ormai fortemente squilibrata e sembra essere piuttosto quella del medico con la paziente, di un uomo che ha abdicato a un amore ricambiato ma che comunque è nutrito dal sentirsi utile per la donna amata. Eppure qua e là le sue rinunce fanno capolino in maniera evidente e abbastanza esilarante.
Vicino ad Alma, e inseriti quotidianamente in famiglia, ci sono anche il suo giovane e affascinante collega, Hank (Andrew Garfield), e una sua allieva, Maggie (Ayo Edebiri), che la considera un modello accademico e umano. Che Hank abbia una relazione con Alma è cosa nota per Fred, che accetta lo stato di cose in maniera piana, la fedeltà della moglie nei suoi confronti non è più una sua necessità, poiché la priorità è quella di poter tenere Alma con sé... o forse potersi sentire migliore di lei guardandola dall'alto in basso.
Un giorno, però, Maggie rivela ad Alma di essere stata stuprata da Hank e nulla appare più così chiaro. La ragazza, nera, non binaria, fidanzata con Alex, che ha scelto l'identità plurale, è figlia dei massimi finanziatori di Yale; la sua accusa potrebbe configurarsi come semplice vendetta nei confronti di un uomo narciso e presuntuoso, la cui aggravante, agli occhi di Maggie, è quella di essere l'amante di Alma. Hank, dal canto suo, è consapevole del suo fascino, non è abituato ai rifiuti e ha la fama di flirtare con molte studentesse; allo stesso tempo viene da una famiglia semplice e considera Maggie una studentessa mediocre, che ha copiato gran parte della sua tesi di laurea, ma che è diventata così popolare grazie ai suoi genitori.
Alma combattuta tra cosa sia giusto e cosa sbagliato, cosa sia vero e cosa falso, si consuma fisicamente, e l'interpretazione di Julia Roberts è una delle migliori dell'attrice degli ultimi anni.
Tutti hanno dei privilegi, tutti sono potenzialmente colpevoli. Le soluzioni possibili sono tante e un vecchio articolo di giornale complica ulteriormente le cose... eppure tutti restano in piedi, tutti hanno un sorprendente successo, a certe quote non sembra possibile cadere fragorosamente.
Dopo alcuni minuti che introducono i personaggi, accompagnati dal ritmo cadenzato della lancetta dei secondi di un orologio, i titoli di testa ci danno la sensazione di aver iniziato un film di Woody Allen, poiché scorrono bianchi su fondo nero e caratterizzati dal font Windsor, proprio come quelli che il regista newyorchese ha usato quasi sistematicamente da Io e Annie (1977) in poi. La sensazione, poi, viene amplificata dalle note di un brano classico come A child is born di Tony Bennett & Bill Evans.
Il contesto universitario e l'alto profilo sociale in cui si muovono i protagonisti, nonché le ambigue relazioni tra di loro, non fanno che aumentare la sensazione di star per vedere un nuovo Mariti e mogli (Allen 1992) o, meglio ancora, un nuovo Match Point (Allen 2005), e in effetti le consonanze sono molteplici, ma al passo con i tempi attuali, le questioni relative al sesso dei protagonisti non più polarizzate in maniera univoca. Omaggio, critica, separazione della vita di un uomo dalla sua carriera di artista?
E, anche in questo, Guadagnino sceglie la moltitudine e la poliedrica sfaccettatura degli aspetti. After the hunt risulta così un film brechtiano, in cui tutti sono colpevoli, e non a caso il primo dialogo riguarda la "morale collettiva", uno scontro tra generazioni sul "malcontento performativo".
Un altro studente, Arthur, afferma che in questo momento storico una donna come Alma ha raggiunto grandi risultati grazie al favore della società nei confronti delle donne. Quello che è senza dubbio vero, però, detto in quel modo suona dequalificante e sminuente, tanto più che Arthur è un uomo bianco etero cisgender che non si rende conto dei privilegi tra i quali è nato e cresciuto.
E, a proposito di privilegiati, una collega di Fred, Kim (Chloe Savigny), non tollera gli studenti di Yale che considera viziati e incapaci di sostenere un disagio o una pur minima ingiustizia. Ed è indicativo, forse, che nello studio della stessa Kim, una psichiatra, l'idea di giustizia sia sintetizzata dal poster di Clint Eastwood, pistola in mano, in Una 44 Magnum per l'ispettore Callaghan (1973).
Tanti altri riferimenti meritano attenzione: il preside di umanistica ha un piatto futurista su cui si legge "fascismo"; Alma va ad ascoltare una conferenza dal titolo "il futuro dello jihadismo è donna"; ha I Buddenbrok di Thomas Mann (1901) sul comodino, antonomastica storia di decadenza di una ricca famiglia; mentre parla con Kim in un locale gay, in sottofondo ascoltiamo il brano degli Smiths Heaven Knows I'm Miserable Now, con la sorpresa di entrambe che in un ambiente simile non si boicotti Morrissey per le sue frequenti affermazioni a dir poco controverse e destrorse.
Il contesto universitario e l'alto profilo sociale in cui si muovono i protagonisti, nonché le ambigue relazioni tra di loro, non fanno che aumentare la sensazione di star per vedere un nuovo Mariti e mogli (Allen 1992) o, meglio ancora, un nuovo Match Point (Allen 2005), e in effetti le consonanze sono molteplici, ma al passo con i tempi attuali, le questioni relative al sesso dei protagonisti non più polarizzate in maniera univoca. Omaggio, critica, separazione della vita di un uomo dalla sua carriera di artista?
E, anche in questo, Guadagnino sceglie la moltitudine e la poliedrica sfaccettatura degli aspetti. After the hunt risulta così un film brechtiano, in cui tutti sono colpevoli, e non a caso il primo dialogo riguarda la "morale collettiva", uno scontro tra generazioni sul "malcontento performativo".
Un altro studente, Arthur, afferma che in questo momento storico una donna come Alma ha raggiunto grandi risultati grazie al favore della società nei confronti delle donne. Quello che è senza dubbio vero, però, detto in quel modo suona dequalificante e sminuente, tanto più che Arthur è un uomo bianco etero cisgender che non si rende conto dei privilegi tra i quali è nato e cresciuto.
E, a proposito di privilegiati, una collega di Fred, Kim (Chloe Savigny), non tollera gli studenti di Yale che considera viziati e incapaci di sostenere un disagio o una pur minima ingiustizia. Ed è indicativo, forse, che nello studio della stessa Kim, una psichiatra, l'idea di giustizia sia sintetizzata dal poster di Clint Eastwood, pistola in mano, in Una 44 Magnum per l'ispettore Callaghan (1973).
Tanti altri riferimenti meritano attenzione: il preside di umanistica ha un piatto futurista su cui si legge "fascismo"; Alma va ad ascoltare una conferenza dal titolo "il futuro dello jihadismo è donna"; ha I Buddenbrok di Thomas Mann (1901) sul comodino, antonomastica storia di decadenza di una ricca famiglia; mentre parla con Kim in un locale gay, in sottofondo ascoltiamo il brano degli Smiths Heaven Knows I'm Miserable Now, con la sorpresa di entrambe che in un ambiente simile non si boicotti Morrissey per le sue frequenti affermazioni a dir poco controverse e destrorse.
I dialoghi tra i personaggi, soprattutto dopo la rivelazione di Maggie, diventano dei confronti uno a uno ricchi di tensione, e il disagio percepito dagli spettatori è acuito da musiche ossessive. Sia Maggie che Hank parlano con Alma dando per scontato il sostegno della docente nei propri confronti: nel primo caso a far da sfondo ci sono le note incalzanti di Break With di Ryuichi Sakamoto, che ascoltiamo mentre la ragazza si rende insopportabile con la propria narrazione egoriferita che non prende in considerazione alcun altro punto di vista; nel secondo c'è il pianoforte dissonante di Trent Reznor & Atticus Ross (After the Hunt, One, Two, Three) che si fa sempre più cadenzato mentre il ragazzo parla della sua verità in un soliloquio del tutto simile a quello di Maggie, risultando un colpevole perfetto, il tutto peraltro amplificato da come divora avidamente pezzi di pollo, di certo non una scelta casuale della sceneggiatura.Di fronte a tutto questo, l'unica certezza è la difficoltà di giudizio che si trova ad affrontare Alma. L'unica certezza è l'incertezza, come in un Hitchcock d'annata (e penso soprattutto a Il sospetto, 1941; L'ombra del dubbio, 1946; Il ladro, 1956).
E quel titolo? After the hunt sembra citare una frase di Otto von Bismarck, "Non si mente mai così tanto come prima delle elezioni, durante la guerra e dopo la caccia". Di bugie tra i personaggi sembrano essercene tante, ma la caccia qual è? Tutti cacciano e, in qualche modo, tutti sono prede.
Tanti i brani di una colonna sonora che, come sempre nelle opere del regista siciliano, è molto curata: si va dal reggae di Satta Massagana (The Abyssinian) all'ossessiva Evil Nigger (Julius Eastman); dalla romantica L'incontro (Pietro Ciampi) all'elettronica Nothing Left To Lose (Everything But The Girl), fino alla malinconica E Preciso Perdoar (Ambitious Lovers).
La messa in scena di Guadagnino non è mai casuale e un'inquadratura lo dimostra meglio di ogni altra: Alma è in una stanza dell'appartamento che vediamo sulla destra, sulla sinistra la sua interlocurtrice, la domestica Flaviola, che è in cucina sulla sinistra; tra di loro una sedia contro una parete in un altro ambiente fa da split screen naturale tra i due spazi.
La lotta sociale per l'esistenza, tanto più in un luogo in cui l'ego e l'ambizione sono totalizzanti come l'università, è il tramite per evitare di omologarsi alla logica consolidata.
Tra Berthold Brecht e Woody Allen, irrompe un Guadagnino volutamente ambiguo, che ci racconta la crisi delle relazioni tra persone che vivono nel medesimo ambiente a colpi di privilegi, ognuno con le proprie esigenze e ognuno con la propria etica. D'altronde, per dirla con Alma che cita Adorno, "è possibile vivere in modo giusto in un mondo ingiusto?"
La lancetta dei secondi, regolare come un metronomo, dà serenità o fa saltare i nervi? A ciascuno la propria soluzione...
La lotta sociale per l'esistenza, tanto più in un luogo in cui l'ego e l'ambizione sono totalizzanti come l'università, è il tramite per evitare di omologarsi alla logica consolidata.
Tra Berthold Brecht e Woody Allen, irrompe un Guadagnino volutamente ambiguo, che ci racconta la crisi delle relazioni tra persone che vivono nel medesimo ambiente a colpi di privilegi, ognuno con le proprie esigenze e ognuno con la propria etica. D'altronde, per dirla con Alma che cita Adorno, "è possibile vivere in modo giusto in un mondo ingiusto?"
La lancetta dei secondi, regolare come un metronomo, dà serenità o fa saltare i nervi? A ciascuno la propria soluzione...







Nessun commento:
Posta un commento