domenica 26 ottobre 2025

L'oeuvre invisible (Tembouret - Rodionov 2025)

ANTEPRIMA FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2025

È un piccolo gioiello il documentario di Avril Tembouret e Vladimir Rodionov, incentrato sulla figura del regista francese Alexandre Trannoy, appassionato cineasta che non portò mai a termine un film per i più disparati motivi.
Di lui ne parlano gli attori che l'hanno conosciuto e che ci hanno lavorato, nomi del calibtro di Jean Rochefort e Anouk Aimée. Anche se, la storia ce lo ricorda più volte, la sua attrice preferita du Marlene Dietrich, che reputava l'icona migliore per il suo cinema.
Di lui da giovane è rimasto pochissimo, solo la sua presenza con una camicia a scacchi sullo sfondo di una scena de La strada di Fellini (1954), mentre compie dei salti circensi dietro ai protagonisti Anthony Quinn e Giulietta Masina.
Poco altro, se non un filmato amatoriale e familiare in cui vediamo il regista raccogliere l'uva per la vendemmia nel suo terreno.
Tra i titoli delle sue potenziali pellicole, L'uomo dell'alba, che aveva quasi completamente realizzato con spezzoni tagliati di altri film, ma che in un incidente d'auto presero fuoco, e un'altra dozzina di progetti nei successivi dieci anni, tra cui La quinta stagione, con la stessa Aimée; Il serpente di Gibilterra, con Rochefort a interpretare il serpente; San Salvador con Aimée e Marcello Mastroianni. Una serie di debacle, pellicole distrutte da incendi, allagamenti, morte di attori, che gli sono valsi il soprannome di Don Chisciotte del cinema, fino alla sua morte, sopraggiunta nel 1980.
Rochefort è il più malinconico nel ricordarlo, e nelle sue parole c'è anche il racconto di Palladium, un film ideato da un suo amico proprio su Trannoy.
Altrettanto definitiva l'intervista al suo storico produttore, Robert Ackermann che, dalla sua villa di Los Angeles, racconta, ancora infuriato, che nel 1963 era riuscito a produrre The last Point proprio con Marlene Dietrich. Un sogno che stava per realizzarsi, quando un incredibile ripensamento spinse lo stesso Trannoy a bruciare tutto il materiale prodotto.
Poi, sopraggiunse un disturbo della personalità nella vita del regista, che nel 1969 in preda a una forte megalomania dichiarò di volere girare il film di Kubrick su Napoleone, fino a identificarsi con lui e a iniziare a girare a Fontainebleau, prima che l'inganno fosse scoperto e il progetto ovviamente bloccato e Trannoy portato a processo.
Le frasi più belle su di lui sono quelle degli amici: "La tua vita non era fare film, ma vivere nei film che immaginavi"; "non riesco a credere che Alexandre sia morto, non è da lui, preferisco pensare che sia andato a cercare altrove quello che non trovava qui".
Tembouret e Rodionov montano tra un'intervista e l'altra, la nebbia, una strada con la linea di mezzeria in stile Strade perdute di David Lynch, le vie di Parigi vuote... tutti simboli delle interruzioni e dei fallimenti di un regista di talento.

N.B. Da qui in poi meglio leggere solo se avete visto il film (o se non amate le sorprese)...

Eppure nelle prime immagini una chiave di lettura c'era forse, perché il geniale documentario dei due registi francesi è un bellissimo gioco surreale e solo alla fine scopriamo che Alexandre Trannoy non è mai esistito, dopo averlo ammirato e rimpianto per più di un'ora.
Il mockumentary, infatti, tra gli spezzoni d'epoca iniziali, mostrava Orson Welles, e chi se non il genio di F For Fake e di It's All True per leggere tra le righe la reale natura da prestigiatore - come lui, proprio con al fianco Marlene Dietrich - di questo ottimo film che raccontando un'opera davvero invisibile gioca con la realtà, con lo spettatore e con la storia del cinema? 

Nessun commento:

Posta un commento